Nuove povertà e diritti sociali
L’indigenza è la condizione umana di chi è privo delle risorse necessarie per la soddisfazione dei bisogni fondamentali
di Umberto Berardo
28 Aprile 2023
Essa toglie capacità, mezzi, opportunità e sicurezze che permettono di accedere a uno standard qualitativo accettabile di vita e perciò provoca l’esclusione sociale intesa anzitutto come privazione dei diritti umani fondamentali.
La soglia di povertà, che può essere temporanea o duratura, stabilisce il livello di bisogno e si parla di quella assoluta o estrema quando il reddito inferiore a seicentonovantanove euro non consente le spese minime per beni e servizi di prima necessità, mentre l’altra, definita relativa, esprime la difficoltà nella fruizione degli standard di vita al di là della semplice sopravvivenza in rapporto al livello economico medio dello Stato in cui si vive.
Dal 2017 i poveri in Italia sono saliti da 1,9 a circa 5,5 milioni di individui che rappresentano quasi il 10% della popolazione; se ad essi uniamo gli 8 milioni in povertà relativa, si raggiungono proporzioni che toccano il 23% degli abitanti.
Secondo gli ultimi dati Istat una famiglia su tre dichiara di aver visto peggiorare la propria condizione economica rispetto all’anno precedente.
L’incidenza del fenomeno varia evidentemente a livello territoriale, in ragione del fatto che si tratti di un nucleo domestico più o meno numeroso e costituito da componenti italiani o stranieri.
Questo aumento del disagio e della fragilità delle famiglie soprattutto nel Mezzogiorno riguarda non solo disoccupati e sottoccupati, ma ormai anche il ceto medio.
Le criticità che hanno determinato tale situazione vanno ricercate nella pesante crisi finanziaria del 2008, nella recessione indotta dalla pandemia, nelle guerre e in particolare in quella in Ucraina che assorbono una parte rilevante del bilancio dello Stato e nell’attuale stagflazione le quali tutte determinano una vera emergenza socio-economica per chi non ha un reddito certo e dunque vive di lavoro precario o peggio ancora di forme di assistenzialismo.
La crisi energetica ha provocato la richiesta di sussidi per il pagamento di utenze fondamentali quali quelle dell’energia elettrica e del metano.
Ciò che genera particolare preoccupazione in tale situazione è il riaffiorare di un sentimento di emarginazione, di avversione e di colpevolizzazione in quanti ne sono colpiti quasi che la loro condizione non dipenda da dati strutturali del sistema economico neoliberista ma da aspetti negativi di responsabilità personale.
Tale ostilità produce nel povero la paura di chi sente nei suoi confronti ostilità e diffidenza.
La carenza monetaria nelle famiglie incide fortemente sul futuro dei suoi componenti in tutti gli aspetti che riguardano la qualità della vita.
Il dato più impressionante è quello di una ricerca condotta di recente dalla fondazione “L’Albero della Vita” di Palermo che riguarda l’alimentazione e dalla quale risulta che il 68% del campione intervistato dichiara di non riuscire a garantire sempre tre pasti al giorno ai propri familiari.
La correlazione tra stato d’indigenza e basso livello d’istruzione e preparazione professionale è fortissima e questo deve farci riflettere sulla necessità prioritaria di garantire il diritto allo studio impedendo la dispersione scolastica.
Nell’ultimo Rapporto Caritas Italiana sulle Povertà emerge con grande chiarezza che lo stato di fragilità economica si manifesta nell’insufficienza del reddito, ma anche nei nodi della carenza abitativa, dell’assenza di lavoro e in altre forme di vulnerabilità quali l’emigrazione, le separazioni, i divorzi o la malattia.
Il grado di mobilità sociale è purtroppo assai limitato per chi si trova in una condizione di svantaggio e ciò non meraviglia in un sistema economico e finanziario che ha messo al centro il profitto e blocca con legislazioni inique ogni forma di realizzazione della giustizia sociale opponendosi perfino a criteri di riduzione delle disuguaglianze.
I dati OCSE ci dicono che l’1% più abbiente in Italia possiede il 25% della ricchezza nazionale netta e che il 20% ne possiede il 66%; questo dovrebbe chiarire che la povertà non è un fenomeno residuale, ma assolutamente strutturale generato da meccanismi perversi di redistribuzione iniqua di beni e servizi.
Oltretutto l’esclusione sociale è un utile strumento del sistema economico neoliberista per dividere i lavoratori e mantenere basso il livello salariale chiudendo gli occhi sulla colossale evasione fiscale delle grandi multinazionali nel settore della produzione, dei servizi e della finanza come sulla differente ripartizione della spesa sociale per fasce di età che penalizza fortemente i giovani sottraendo risorse agli investimenti e danneggiando il loro ingresso nel mondo del lavoro.
Rispetto a tale quadro drammatico secondo l’Istat il livello di fiducia dei cittadini nelle istituzioni politiche in una scala da 0 a 10 è di 3,3 per i partiti politici e di 4,5 per il Parlamento.
Il problema immenso che abbiamo di fronte è quello di cercare le soluzioni per uscire dal problema delle disuguaglianze crescenti e della povertà.
Fino ad alcuni anni fa l’unico strumento di contrasto all’esclusione sociale era rappresentato dalle diverse forme di assistenzialismo poste in essere da contributi statali o da sussidi di organizzazioni benefiche.
Papa Francesco nell’enciclica “Laudato Si’” sottolinea con estrema chiarezza che l’aiuto ai poveri con il denaro alimenta scarso senso di responsabilità e dunque può e deve essere sempre e solo un rimedio provvisorio per fare fronte alle emergenze derivanti da condizioni di bisogno.
Lo stesso Reddito di Cittadinanza, erogato dal primo aprile 2019 ai cittadini italiani, europei o extracomunitari in regola con permesso di lungo soggiorno e residenti da almeno dieci anni che si trovano al di sotto della soglia di povertà, pur avendo attenuato il disagio sociale, non ha certo risolto i problemi perché ha raggiunto meno della metà dei poveri assoluti, viene percepito nel 41% dei casi da nuclei familiari composti da una sola persona piuttosto che da famiglie con elevato numero di componenti e nel 70% da soggetti residenti al Sud pur in presenza del 42,6% delle famiglie povere residenti al Nord.
Certo la necessità di rivedere e indirizzare al meglio tale sussidio promuovendo sistemi di incentivazione al lavoro non era una ragione sufficiente per ridimensionarlo drasticamente come ha fatto il governo attuale con l’art. 59 della Legge di Stabilità in attesa della riforma organica delle misure di sostegno alla povertà e d’inclusione attiva che per ora rimane solo un annuncio.
Il superamento della disuguaglianza sociale deve a mio avviso fondarsi sui principi dell’art. 3 della Costituzione Italiana che recita testualmente “Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
I meccanismi capaci allora di promuovere il pieno sviluppo della persona umana devono riguardare il raggiungimento di taluni obiettivi indifferibili che possono essere conseguiti con efficaci politiche attive del lavoro, di ridistribuzione equilibrata del reddito, di rafforzamento e ridefinizione del sistema scolastico pubblico, di superamento dell’enorme divario retributivo in relazione alle mansioni esercitate e ai territori di residenza.
Anzitutto occorre rivedere l’attuale organizzazione perversa del lavoro che rappresenta la causa principale della disuguaglianza e raggiungere la piena occupazione con la riduzione dell’orario settimanale, l’eliminazione delle tante attività condotte in nero e la creazione del salario minimo indicato dal Pilastro Europeo dei Diritti Sociali.
È del tutto evidente in tale direzione che ogni attività lavorativa non può mantenere le forme attuali di precarietà soprattutto a livello giovanile, ma deve avere quella stabilità che sola può renderla dignitosa.
La seconda sfida da affrontare, non dimenticando che l’uguaglianza delle opportunità comincia proprio dall’istruzione, è quella della preparazione culturale e professionale la cui mancanza alimenta le difficoltà d’inserimento nel mondo del lavoro e dunque la povertà economica e sociale.
Naturalmente il sistema al quale dobbiamo pensare al riguardo è quello dell’educazione permanente che sola, insieme a un razionale orientamento scuola-lavoro, può aiutare nel reinserimento in caso di disoccupazione.
La formazione professionale deve utilmente orientarsi verso settori molto richiesti quali quelli di elettronica, meccanica, domotica, informatica, agraria, alimentare, artigianato oltre che nelle attività relative ai servizi.
I Centri per l’impiego non riusciranno certamente a coordinate e a favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e a promuovere interventi di politiche attive se saranno lasciati nell’abbandono in cui sono mentre continueremo magari a demandare tali compiti ad agenzie private come stiamo facendo ormai da anni.
Uscire dalla povertà, che è anche assenza di salute, significa avere accesso anzitutto a servizi pubblici efficienti in ogni settore ma in particolar modo a quelli nella sanità come tutela di un pieno stato fisico e mentale.
In Italia purtroppo viviamo al riguardo uno dei momenti più difficili con una scelta dissennata verso la privatizzazione del sistema sanitario che sta creando problemi davvero seri per tantissimi cittadini e in particolare per quelli più anziani e a basso reddito.
L’esclusione sociale è presente in misura inferiore nei paesi democratici e progressisti rispetto a quelli totalitari perché nei primi un sistema fiscale meno iniquo ha permesso di creare un welfare che garantisce un uso accettabile dei servizi anche se siamo dappertutto lontani da un’uguaglianza dei cittadini rispetto ai diritti per una cittadinanza degna di tale nome.
Per eliminare le gravi discriminazioni nella distribuzione del lavoro, nelle politiche retributive e fiscali come nella garanzia dei diritti civili e sociali non abbiamo altro modo che quello della lotta in grado di rivendicare pari opportunità e giustizia sociale.
In attesa che ciò possa realizzarsi è fondamentale fissare un reddito di base universale, legato a forme di occupazione non fittizia ma reale in attività di pubblica utilità, capace di eliminare ogni forma di esclusione sociale legata alla povertà e di garantire a tutti la dignità del lavoro con un’equa ridistribuzione dello stesso.
La finalità in definitiva dovrebbe essere l’eliminazione della povertà piuttosto che la sua sola riduzione.
di Umberto Berardo