Veggenza
L’austerità, come già diceva Enrico Berlinguer, non è oggi un mero strumento di politica economica
di Pasquale Di Lena (da eguaglianza.it)
21 Settembre 2023
Nei miei lunghi anni di militanza nel Partito comunista italiano prima, e poi, nel Pds e nei Ds, mi è tornato spesso in mente la parola austerità pronunciata da Enrico Berlinguer all’Eliseo di Roma, nel 1977, a conclusione di un convegno di Intellettuali militanti del Pci. Una proposta politica non presa in alcuna considerazione, anzi beffeggiata, di sorprendente attualità, che a me ha fatto sempre pensare non solo a un grande capo politico, da tutti riconosciuto tale, ma, ancor più, a un poeta che è tale se veggente.
Una proposta che consiglio di leggere nella sua interezza perché spiega che l’austerità non è oggi un mero strumento di politica economica cui si debba ricorrere per superare una difficoltà temporanea, congiunturale, per poter consentire la ripresa e il ripristino dei vecchi meccanismi economici e sociali.
Questo è il modo con cui l’austerità viene concepita e presentata dai gruppi dominanti e dalle forze politiche conservatrici. Ma non è così per noi.
Per noi l’austerità è il mezzo per contrastare alle radici e porre le basi del superamento del sistema i cui caratteri distintivi sono lo spreco e lo sperpero, l’esaltazione di particolarismi e dell’individualismo più sfrenati, del consumismo dissennato.
L’austerità significa rigore, efficienza, serietà, e significa giustizia; cioè il contrario di tutto ciò che abbiamo conosciuto e pagato finora.
L’austerità è per i comunisti lotta effettiva contro il dato esistente, contro l’andamento spontaneo delle cose, ed è, al tempo stesso, premessa, condizione materiale per avviare il cambiamento.
Così concepita l’austerità diventa arma di lotta moderna, sia contro i difensori dell’ordine economico e sociale esistente, sia contro coloro che la considerano come l’unica sistemazione possibile di una società destinata organicamente a rimanere arretrata, sottosviluppata e, per giunta, sempre più squilibrata, sempre più carica di ingiustizie, di contraddizioni, di disuguaglianze.
Quando poniamo l’obiettivo di una programmazione dello sviluppo che abbia come fine l’uomo nella sua essenza umana e sociale, non come mero individuo contrapposto ai suoi simili;
quando poniamo l’obiettivo del superamento di modelli di consumo e di comportamento ispirati a un esasperato individualismo; quando poniamo l’obiettivo di andare oltre l’appagamento di esigenze materiali artificiosamente indotte;
quando poniamo l’obiettivo della piena uguaglianza e dell’effettiva liberazione della donna cos’altro facciamo se non proporre forme di vita e rapporti fra gli uomini e gli Stati più solidali, più sociali, più umani, e dunque tali che escono dal quadro e dalla logica del capitalismo.
Pensieri non lontani da quelli di Papa Francesco, ispirati da valori che sono parti della storia, ovvero la continuità del presente con il passato.
Sono passati 46 anni dal pronunciamento di quel discorso di Berlinguer all’Eliseo rivolto agli intellettuali, che, come i politici, da lungo tempo hanno perso la voce dando spazio a un silenzio pesante al pari di quello di un clima che riporta indietro le lancette della storia. Sento la mancanza della cultura e della politica, soprattutto dello strumento che la rappresenta e ad essa dà voce con i suoi iscritti, il partito, quello vero dei militanti e non dei burocrati. L’organizzazione, lo studio, l’incontro, il dialogo, l’impegno, l’emozione, l’attenzione, la selezione, il progetto, il programma, la strategia, il successo, la sconfitta, la delusione, la rabbia, la speranza, il sogno di un nuovo domani. Il Partito, una scuola di vita per me che l’ho vissuto da iscritto, militante, segretario di una grande sezione di Firenze, componente di organismi dirigenti della federazione fiorentina e regionale.
Ecco perché non mi riconosco – anche se l’ho sempre votata – nella cosiddetta sinistra che, negli ultimi decenni, sinistra non è mai stata e non è. Non sono più un ambientalista che predica l’”energia pulita” o, se si vuole, “da fonti rinnovabili” per uno “sviluppo sostenibile”, per due ragioni: riconosco solo nel cibo l’energia rinnovabile e la parola “sviluppo”, vista la situazione del clima, mi fa venire i brividi al pari dell’altra, “progresso”. La parola che porta a “progressisti”, ovvero individui che, alla luce dei fatti, sostengono un “progresso” interamente prodotto da un sistema, il neoliberismo, che si guardano bene anche solo di nominarlo. Nemmeno un accenno in modo da poter giustificare la non volontà di combatterlo.
Mi sento sempre più impegnato per: il clima, preoccupato del suo malessere provocato dalle azioni insane di un sistema dominato dal profitto, e per la biodiversità, cioè la vita.
Ed è così che i miei compagni di oggi sono tutti quelli che lottano per la guarigione dell’uno e la ripresa dell’altra, perché entrambi sorgenti di speranza, cioè di serenità e benessere. La mia speranza è nelle nuove generazioni dopo l’attuale e quella che seguirà quando una fitta schiera di partigiani sarà protagonista, a livello globale, di una nuova Resistenza, la sola capace di risvegliare le coscienze oggi assopite dal consumismo del neoliberismo, il sistema che ha eletto come suo dio, il denaro.
di Pasquale Di Lena (da eguaglianza.it)