• 3 Ottobre 2023

Edilizia popolare o edilizia sociale?

L’Edilizia Residenziale Pubblica è complementare al Social Housing perché l’una mira a garantire l’accesso alla casa a coloro che hanno un reddito fisso, l’altro alle persone con svantaggi economici

di Francesco Manfredi-Selvaggi

5 Ottobre 2023

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La nostra Regione, adeguandosi alle altre, si è dotata di una norma per la categoria di alloggi da destinare a persone con svantaggi economici

L’impianto delle politiche abitative è stato concepito in un’epoca in cui le classi sociali erano molto più definite che oggi. Attualmente il quadro è assai variegato con una diversità di situazioni legate alle condizioni economiche ed anche alla posizione economica nella società delle persone. Abbiamo nuovi problemi legati a fenomeni emersi in epoca recente come la presenza degli immigrati, specie dall’est Europa, che giungono qui da noi per lavoro, sia badanti sia manovali in agricoltura o in edilizia, senza le famiglie che vengono lasciate nel paese d’origine; essi non acquisiscono la residenza perché dotati di un permesso di soggiorno temporaneo legato alla scadenza del contratto lavorativo.

Essi sono una categoria diversa dai migranti e cercatori d’asilo, per i quali pure va cercata una sistemazione alloggiativa che non sia l’albergo e il residence per una permanenza momentanea. Finora abbiamo parlato degli stranieri, ma il problema della casa è sentito anche da tanti connazionali. L’accesso ad una abitazione è difficile per i giovani a causa della carenza di impieghi stabili e quindi nell’impossibilità di fornire garanzie finanziarie necessarie per la concessione dei mutui da parte degli istituti di credito.

La nostra Regione con i fondi della legge 457 del 1978 nel periodo di validità del «piano decennale per l’edilizia residenziale» ha in più tornate erogato finanziamenti alle “giovani coppie”, termine che compare anche nella legge regionale sul Piano Casa; le agevolazioni previste, non solo finanziarie, rischiano di diventare inattuali perché c’è la tendenza delle nuove generazioni a non sposarsi proprio per la mancanza della casa. Detto diversamente, nessuno può assicurare che contraendo il matrimonio si avrà a disposizione un alloggio. Il tema matrimoniale si intreccia con quello della casa anche per altri aspetti, da quello delle unioni civili, a quello delle ragazze-madri a quello dei separati, questioni assolutamente contemporanee.

In definitiva, il quadro demografico è cambiato rispetto all’epoca in cui sono state varate le normative sull’edilizia residenziale pubblica. Si pensi solo alle condizioni di lavoro che sono diventate molto più instabili, con impieghi ormai insicuri. Vi è, inoltre, una maggiore frammentazione della società in cui non è più attuale la divisione tradizionale in classi in quanto si legge una segmentazione più spinta del ceto popolare. Ad ogni fase storica corrispondono specifici fabbisogni; vi è l’emersione di nuove forme di povertà e tematiche non presenti in precedenza come l’integrazione delle persone immigrate.

Va considerato, in aggiunta, che la gran parte della popolazione è divenuta vulnerabile, basta la perdita dell’impiego e quindi tutti potenzialmente siamo soggetti con i requisiti per il sostegno pubblico all’alloggio. Di fronte all’emersione di tali fenomeni ha fatto introduzione nel 2008 nella legislazione nazionale, con un apposito decreto, la dizione Edilizia Sociale per identificare le residenze che le norme dell’amministrazione regionale molisana riguardante il già citato Piano Casa specificano deputate alle «giovani coppie e alle categorie svantaggiate». Uno svantaggio, è da intendere, per un verso economico e per un altro legato alle disponibilità.

Proprio quest’ultimo punto porta a ritenere che la normativa italiana sul social housing sia ancora in fieri poiché fa riferimento per le caratteristiche degli appartamenti a quelle dell’ERP, mentre i portatori di handicap avrebbero bisogno di particolari accorgimenti distributivi. Questo argomento spinge a mettere in luce una specie di contraddizione la quale è quella che il concetto di social housing si associa nel modo di dire corrente a quello di case a basso costo essendo destinate a utenti con reddito minimo; se, invece, si riflette sul fatto che insieme ai disabili totali vi sono quelli parziali, tipo gli ipovedenti, e che chiunque in una certa parte della vita può perdere la facilità nei movimenti o subisce la diminuzione della vista o dell’udito, allora qualsiasi abitazione deve essere predisposta per superare qualsiasi barriera fisica.

Migliorare la vivibilità degli spazi interni, è ovvio, significa aumentare le spese e, perciò, vi è una certa contrapposizione tra social housing e case low cost. Ciò vale pure per i fabbricati improntati alla bioarchitettura che sono maggiormente costosi dell’edilizia ordinaria, anche se più salubri e nello stesso tempo a minor impatto ambientale. A proposito del risparmio energetico si ha un’eccezione essendo sì l’investimento iniziale elevato, ma in un certo numero di anni vi è l’ammortamento della spesa sostenuta. Per trarre una conclusione, i più alti standard abitativi sul libero mercato renderebbero inaccessibile la casa ai bisognosi.

Tra i fabbisogni da soddisfare vi è, molte volte, quello dei casi di disagio temporaneo per fronteggiare i quali c’è l’esigenza di uno stock di case disponibili per l’affitto nelle due tipologie di appartamenti arredati e non. Ciò in quanto è indispensabile provvedere all’alloggiamento di chi ha bisogni urgenti. Nella medesima logica rientrano pure gli ostelli e varie forme di residenze alternative, quello che si chiama informal housing che, è evidente, consiste in alloggi meno confortevoli. Tali sistemazioni possono essere inserite all’interno di normali palazzi residenziali ed, anzi, è auspicabile che in uno stabile vi sia un mix di categorie sociali, ai fini dell’integrazione.

Detto in modo diverso, non vi è l’obbligo di costruzioni ex novo; ottimale sarebbe ristrutturare agli scopi esposti manufatti vetusti, magari in centro storico, con azioni che spingano alla «rigenerazione» urbana. Con la nostra legge sul Piano Casa è previsto che ad intervenire siano imprese cooperative come avviene per l’Edilizia Convenzionata. È da presupporre che non è impedito di agire, usufruendo delle stesse premialità in termini urbanistici, alle associazioni no-profit, dando per scontato che l’ente pubblico non è in grado di offrire un contributo sostanziale. Vi è stato negli anni un indebolimento del ruolo delle istituzioni nella fornitura diretta di abitazioni, sostenendone l’acquisto con misure di agevolazione finanziaria che rientrano nel pacchetto individuale del «risparmio casa», una sorta di portafoglio personalizzato, le quali per quanto riguarda i possessori di reddito minimo non sono sufficienti. L’Edilizia Sociale è, in definitiva, un tentativo di risposta a tale emergenza.

(Foto: F. Morgillo – Case popolari a Boiano in via Veneto, il rione soprannominato Corea)

di Francesco Manfredi-Selvaggi

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