3 Sacchi di saggezza
Favola bengalese che vuol far riflettere. La favola è tratta da un libro bengalese, tradotto nella versione italiana da P. Antonio Germano, missionario in Bengladesh dal 1977
di p. Antonio Germano Das, sx. antoniogermano2@gmail.com
12 dicembre 2023
BREVE PREMESSA.
Per indicare la qualità o la virtù della saggezza nella lingua bengalese ci sono tre termini con sfumature diverse. Il primo livello è quello del buddhi, che corrisponde al nostro intelletto o intelligenza e cioè capacità personale di intendere e capire; il secondo livello è quello di cui si parla nella novella e cioè della saggezza umana, definita in bengalese come ghen; Il terzo grado è quello della sapienza, dono che viene dall’Alto e porta il nome di progga. La novella, che appare del tutto inverosimile, porta però un messaggio molto forte: la saggezza, volendo, è alla portata di tutti. Leggendola mi è venuta in mente una citazione che avevo riportato in uno dei miei primi diari in Bangladesh e porta la data del 6.8.’78. La citazione è tratta da Shiddharta, il romanzo di H. Hesse: “… Vedi, Govinda, questo è uno dei miei pensieri, di quelli che ho trovato io: la saggezza non è comunicabile. La saggezza, che un dotto tenta di comunicare ad altri, ha sempre un suono di pazzia… La scienza si può comunicare, ma la saggezza no”. (H. Hesse, Shiddharta, ed. Adelhi, p. 147). La novella è divisa in 2 puntate: la prima, quella riportata sotto, imposta il problema e cerca di trovarne la soluzione; la seconda ci porta a conoscenza della soluzione.
Nella novella si parla di morol e matubbor. Sono due parole per indicare i capi villaggio, che, di solito, sono una brutta genia. Nel racconto, eccezionalmente, essi svolgono un ruolo positivo. Evidentemente l’autore, con alle spalle tanta esperienza, voleva indicare loro il modo corretto per governare il villaggio. Questi capi villaggio meriterebbero un discorso a parte, che qui però non trova spazio. Ricorre spesso il termine dokan, che significa negozio con relativo dokandar, che è il negoziante. Questi dokan, che noi scherzosamente chiamiamo dokanini, sono disseminati un po’ dappertutto qui in Bangladesh. Purtroppo con l’avvento dei super mercati un po’ alla volta scompaiono.
***
Avvenne tanti anni fa. C’era un villaggio, situato in mezzo ad una catena di montagne, molto distante dalla città. Un giorno Morol si arrabbiò alla grande col figlio quindicenne: “Il costo di kg. 5 di riso è di 100 take e tu che conto hai fatto per pagarne 150? Non ti vergogni?” “Il negoziante ha detto che il prezzo è aumentato. Al negozio c’era un ragazzo della mia età. Anch’egli ha detto: Il prezzo del riso è aumentato, non lo sai?” “Stupidi come noi al mondo non se ne trovano. Ascolta, figlio mio, occorre chiamare un meeting. Vai di casa in casa e di’ alla gente di venire, al calar della sera, a prendere un the. Si tratta di un problema urgente e tutti devono essere presenti”. La notte vennero tutti. Morol appariva scuro in volto e pensieroso: “Fratelli miei tutti” esordì “di giorno in giorno agli occhi della gente appariamo sempre più stupidi: al mercato, nei luoghi pubblici, sempre e dappertutto. Il nostro villaggio un po’ alla volta sta cambiando aspetto. Un giorno si chiamava Monipur (la perla dei villaggi), oggi tutti lo chiamano Bokapur (il villaggio degli stupidi). Perché siam caduti così in basso e cosa occorre fare per risollevarci? Questo è l’argomento del nostro incontro”. “Morol, quante volte ti ho manifestato quello che penso! A noi manca la saggezza ed è per questo che la nostra situazione peggiora di giorno in giorno. Ma voi avete mai dato ascolto alla mia parola? Avete mai mandato qualcuno a comperare un po’ di saggezza?” “Morol, Nuru bhai ha detto cose giuste. A noi manca la saggezza ed è per questo che siamo nella merda (sto traducendo!). Oltre a ciò noi siamo pigri. Se non fosse così, da quando avremmo colmato la nostra deficienza.”.
“Ascoltatemi bene, tutti! La Persia è vicina alla nostra terra: soltanto sette giorni di cammino. Lì, nelle città, si trovano saggi ad ogni angolo di strada. In cambio dei soldi essi non ci venderanno la saggezza?” “E’ proprio così! Perché essi non dovrebbero venderci la saggezza?… Adesso il problema è quello dei soldi. Facendo una colletta, il problema è bel che risolto. Bisogna dire a tutti che, facendo i calcoli, ognuno riceverà quel tanto di saggezza in base a quello che ha dato”. “Nuru bhai ha parlato da persona saggia, noi poi che siamo i matubbor (i capi) del villaggio daremo il doppio. Dovendo governare il villaggio, a noi occorre maggiore saggezza”. Tutti si trovarono d’accordo nel fare la colletta e i morol-matubbor diedero il doppio. Poi, con tre asini, tre tra i più esperti commercianti intrapresero il viaggio verso la Persia: una settimana di cammino.
Giunti nella capitale, essi cominciarono a cercare il negozio della saggezza: “Scusi, fratello, sa dirci dove possiamo trovare la saggezza?” “Spiacente, fratello, non sono in grado di dirlo” “Fratello, sa dirci dov’è il negozio della saggezza?” “ghen o fan (qui c’è assonanza con l’inglese fan= ventaglio)? A quell’incrocio ci sono 3 0 4 negozi di fan.” “Fratello, vende per caso la saggezza?” “No, Fratello, provi più avanti”. “No! Non c’è più speranza! Su, torniamo a casa, cosa ne dite?” “No, Nuru bhai, tentiamo ancora un po’… Su, andiamo in quel negozio. Vedi là quanta varietà di sacchi… dokandar bhai, vende per caso la saggezza?” “Cioè?… Senti, fratello, da quale contrada venite?” “Noi abitiamo sulle montagne, il nostro villaggio si chiama Monipur”. “Cosa hai detto? Io sono di Monipur. Da venti anni non vi sono più tornato. Sedete, prendete un the e poi mi direte qual è il vostro problema”. “Evviva! Siamo salvi! Fratello, il nostro è un problema molto grave: non abbiamo la saggezza. Abbiamo fatto perciò una colletta e siamo venuti per comperare la saggezza per tutto il villaggio. Perché? Non si vende qui la saggezza?” “Mi spiego… Il prezzo della saggezza è troppo grande…, perciò io non la conservo nel mio negozio e non ne vendo neppure un pizzico. Venite qui fra un’ora. Io vi porterò tre sacchi di saggezza e su un foglio lascerò scritto come adoperarla”.
Consumato il pasto, essi tornarono al negozio. I tre sacchi erano pronti. Su ognuno di essi c’era scritto: SAGGEZZA DI PRIMA QUALITA’ FABBRICATA IN GIAPPONE. Il dokandar consegnò nelle mani di ciascuno un foglio, in cui era indicato il modo come adoperarla. Essi, saldato il prezzo, tornarono nella propria terra. Quando stavano per arrivare, i ragazzi, per primi, li videro e annunciarono: “Fratelli, gli zii stanno tornando con i sacchi pieni. Chi sa cosa stanno portando! Andiamo a vedere”.
di p. Antonio Germano Das, sx. antoniogermano2@gmail.com