Un paesaggio provvisorio
È quello delle aree dove si sviluppano le nuove arterie le quali non riescono ad essere assorbite in fretta nei contesti paesaggistici per cui si avverte nelle visioni panoramiche un senso di provvisorietà
di Francesco Manfredi-Selvaggi
19 Dicembre 2023
Partendo da un caso particolare che è quello della ditta Felice in agro di Casacalenda, il cui impianto di betonaggio sembra essere nato in funzione della costruzione della nuova arteria di collegamento nel tratto dalla Bifernina allo svincolo di Provvidenti, affrontiamo questioni più generali. La prima è quella della provvisorietà suggerita dalla provvisorietà del cantiere, questa attività insistendo sul sito del cantiere installato per la realizzazione della strada: percepiamo l’ambito interessato come un paesaggio, per così dire, provvisorio, tanto più che qui il tracciato stradale si interrompe in attesa del finanziamento del successivo pezzo che dovrà ricongiungerlo (vi è già un viadotto incompleto) con quello che porta a S. Elia a Pianisi, parte dell’unica direttrice viaria destinata a collegare la vallata del Biferno con quella del Tappino.
Il secondo tema che viene subito in mente di fronte a tale infrastruttura stradale, comprensiva dei manufatti connessi, appunto il cantiere, è quello della velocità delle trasformazioni paesaggistiche; in verità non è proprio così nella nostra situazione perché l’arteria iniziata il 30 settembre 1993 è stata dotata di uno svincolo efficiente per Casacalenda solo da pochi anni. Si è citata tale data perché in quel giorno dovettero trovare avvio tutti i progetti rientranti nel programma finale dell’Intervento Straordinario per il Mezzogiorno, l’ultima grande «infornata» di opere pubbliche che ha interessato il Molise.
Stiamo parlando di velocità delle mutazioni dei quadri visivi, una cosa alla quale noi molisani non eravamo abituati almeno fino, siamo negli anni 70, alla nascita dei due invasi, delle due fondovalli, dei nuclei industriali. In pochi decenni la vecchia immagine della regione è stata profondamente modificata lasciando i molisani quasi storditi dai cambiamenti in quanto di colpo ci si è trovati al cospetto di quadri visivi del tutto differenti. Ci si è calati in breve tempo in un mondo diverso e il Molise stava diventando irriconoscibile tanto sono state vistose le modificazioni dei panorami, specie in alcuni tratti del territorio come i comprensori, tra cui quello tra Ripabottoni e Casacalenda, attraversati dalle moderne strade.
Mai si era vista una simile rapidità nelle modificazioni delle vedute panoramiche, dovendo risalire probabilmente all’epoca romana quando venne creato il municipio della vicina Larino per trovare qualcosa di comparabile, non il medioevo essendo l’incastellamento un fenomeno di lungo periodo. Un arco temporale più breve per le modifiche alla configurazione territoriale lo si ha unicamente con gli eventi bellici, ma, per fortuna, il Molise non è stato fronte di guerra nel secolo passato, o con il terremoto e S. Giuliano di Puglia, centro non troppo distante da Casacalenda, ne è un esempio.
Il terzo punto tra gli argomenti di riflessione collegati alla faccenda del cantiere è quello del «non finito», il quale suscita un sentimento che equivale alla perdita di sicurezza dal punto di vista psicologico per il venir meno dei riferimenti visivi, scomparsi i “segni” del paesaggio tradizionale e non ancora affermatosi un paesaggio contemporaneo compiuto. Una strada, anche qualora completata, è una struttura che, per la sua rilevanza fisica, richiede un periodo non corto per essere assorbita nell’immagine dei luoghi. Ci stiamo assuefacendo al non finito che qui da noi impera in molti campi: dalla Ricostruzione post sisma non ancora conclusa neanche nel perimetro del «cratere» in cui c’è pure Casacalenda, alla baraccopoli, adesso siamo lontani da Casacalenda, di Rionero Sannitico per ospitare, sino a non molto tempo fa, persone con case distrutte da una frana, al formarsi, in assenza di un qualsiasi piano, di autentici insediamenti abitativi nella campagna di Campobasso.
Non finito è una definizione che può impiegarsi pure per i capannoni produttivi ormai dismessi e non convertiti ad altro uso, neanche a testimonianza dell’archeologia industriale con opportuni interventi di restauro, o i tanti P.I.P. lasciati vuoti (parte della zona industriale Fresilia a Frosolone, ad esempio,). Seppure sempre di non finito si parli, quello di prima va definito paesaggio della disorganicità, quest’altro dell’abbandono. Riprendendo le fila del discorso, abbiamo messo in relazione l’impianto di betonaggio da cui si è partiti con 3 effetti percettivi che esso determina e cioè la provvisorietà, la velocità e il non finito.
Bisogna, comunque, dare un peso alle cose: il sito di cantiere è una sorta di spia delle problematiche, una è l’arteria nel suo complesso a provocare, per il peso visivo, le sensazioni descritte. Le infrastrutture viarie attuali hanno sempre un grande impatto sul paesaggio che assorbe in sé quello delle opere connesse, per dirlo in altri termini. Una precisazione da fare che non si è fatta all’inizio è che si è presa la strada, quale esemplificazione, se non simbolo nell’età che stiamo vivendo della precarietà che ormai si è insinuata nella visione dei paesaggi. Costruire una arteria lo si fa velocemente poiché ci si avvale di tecniche avanzate, di grandi scavatrici meccaniche, non più il ritmo del lavoro manuale.
Pensare che l’esecuzione di tracciati che corrono lungo versanti montuosi, quello tra il Biferno e Casacalenda, la quale richiede l’effettuazione di squarci nei rilievi e riporti di materiali per rendere piano, la sede carrabile, ciò che è accidentato, si riescano ad integrare subito nel paesaggio è sbagliato: i processi naturali di riassestamento del terreno durano necessariamente un lungo tempo per cui vi è la provvisorietà nell’aspetto paesaggistico. I paesaggi preesistenti vengono alterati anche se la viabilità nuova segue percorsi precedenti e ciò lo si può constatare lungo l’antica statale per Termoli, tra Campolieto e Casacalenda; l’asse viario cambia, non è più ondulato come quello vecchio per seguire l’ondulazione del terreno e poi vi sono i viadotti per superare i corsi d’acqua oppure per passare con un gran balzo da una collina all’altra e gallerie.
Non è stato finora bonificato e restituito alla natura o trasformato in pista ciclabile il sedime della strada che viene abbandonato, a causa, è da ritenere, della norma che stabilisce che i percorsi stradali essendo beni demaniali sono inalienabili e perciò inamovibili. Lungo questa arteria, la quale non è corretto ritenerla una rettifica, un semplice riassesto della Sannitica, sono rare le stazioni di servizio, mentre i sovrappassi e gli svincoli aerei, magari a quadrifoglio, sono inutili. Le strade richiedono nella fase di realizzazione a volte cave di “prestito” e superfici da colmare con la terra derivante dagli scavi, sempre un’area da destinare a cantiere, anch’esse, nonostante siano temporanee, opere complementari al percorso viario e con il quale costituiscono un tutt’uno in termini di incidenza ambientale, di effetti di provvisorietà, di velocità, di non finito avvertiti dalla coscienza collettiva.
(Foto: F. Morgillo-Nuove infrastrutture viarie in costruzione nel Molise)
di Francesco Manfredi-Selvaggi