La ribellione della lentezza e dell’ozio
Viviamo il tempo senza passato, della velocità, del consumare subito, fagocitati dall’ansia di produrre, accumulare, indebitarsi, consumare. C’è bisogno, per dirla con Lafargue, di smettere di lottare per il lavoro, rallentare, ricomporre i legami. Un articolo di Alain Goussot, scomparso il 26 marzo 2016
di Alain Goussot
29 marzo 2016
Viviamo nel mondo della velocità, del fare tutto subito, del consumare tutto subito, del dimenticare il passato per vivere solo il presente, del non sedimentare nulla e del non curare le relazioni. L’era capitalistica, quella del capitalismo finanziario e ipertecnologico, ha ulteriormente accelerato il tempo di vita, sembra che non ci sia più tempo per le relazioni umane, la convivialità, la meditazione, il sogno e quello svago che umanizza ognuno. Siamo come fagocitati da questa ansia di produrre, fare, accumulare, indebitarsi, consumare senza riflettere più di tanto, senza fermarsi sul bordo della strada per respirare quello che Célestin Freinet chiama “le fonti chiare della vita”.
Non c’è più il senso della durata e quindi del tempo vissuto, come affermava Henri Bergson, tempo umano dove il corpo e la psiche sono un tutt’uno nell’esprimere quello che gli antichi greci definivano come il soffio dell’anima. Scrive l’educatore Gianfranco Zavalloni, nella sua “Pedagogia della lumaca”:
“Oggi la maniera per essere rivoluzionari è oziare e rallentare, far da sé e produrre localmente, perder tempo”.
Già il grande Jean-Jacques Rousseau nell’Emile e nelle sue “Fantasticherie di un passeggiatore solitario” affermava che la più grande virtù umana di un educatore è quella di sapere perdere tempo, sapere ascoltare se stesso e l’altro, sapere dare il tempo alla natura umana di fare vibrare la propria anima in armonia con il mondo vivente. Per Rousseau camminando in mezzo alla natura si ritrova il senso profondo dell’umanità come espressione dell’armonia del vivente. La lentezza del passo di chi passeggia sta anche nel “pensiero meridiano” di Franco Cassano che richiama i ritmi lenti e ad altezza d’uomo del Mediterraneo, un passo non solitario ma conviviale che coinvolge l’altro e costruisce i tempi dei legami umani e dell’amicizia.
È Paul Lafargue, il genero di Marx, forse per le sue origini in parte caraibiche, che parla del “diritto all’ozio” in un libricino pubblicato nel 1883 (fu un libro simbolo durante la rivolta del 1968, assieme a lettere ad una professoressa di don Lorenzo Milani e il libretto rosso di Mao) spiega che il proletariato si è lasciato fagocitare mentalmente dalla cultura capitalistica facendo del lavoro e della produttività (del lavoro veloce e alienante) un dogma; con ironia paradossale afferma che è un errore lottare per il diritto al lavoro, un lavoro che esaurisce, disumanizza, ma che bisogna lottare per il diritto alla lentezza, all’ozio, a quell’ozio che è cura dello spirito e della propria umanità in una ottica comunitaria, comunistica di equa distribuzione delle ricchezze e dei tempi di lavoro. Nel capitolo 1 del suo libricino intitolato “Un dogma disastroso” Lafargue, tra l’altro, scrive:
“Una strana follia possiede le classi lavoratrici della civiltà capitalistica. Questa follia trascina con sé miserie individuali e sociali che, da più di due secoli, torturano la triste umanità. Questa follia è l’amore per il lavoro, la passione mortifera del lavoro, spinta fino all’esaurimento delle forze vitali dell’individuo e della sua prole”.
“Nella società capitalistica, il lavoro, è alla base di tutte le degenerazioni intellettuali e di tutte le patologie organiche”.
In fondo, pure nelle loro differenze, cosa propongono Rousseau, Freinet, Zavalloni, Cassano e Lafargue? Tornare ai tempi umani della vita umana che è tempo di pensiero, di emozioni condivise, di meditazione e di ricostruzione di legami umani di solidarietà dove ognuno contribuisce alla vita della comunità a secondo i propri bisogni e le proprie capacità. Una pedagogia della lentezza, dell’ozio e del recupero dei ritmi della nostra umanità, umanità che ci mette in comunione con gli altri e con l’ambiente naturale, un modo di essere che è alla base di una nuova pedagogia comunistica intesa come un mettere insieme le nostre differenze recuperando il rimo vitale dell’esistenza e la vibrazione comune e solidali delle nostre anime.
di Alain Goussot* (da comune-info.net)
*Alain Goussot è docente di pedagogia speciale presso l’Università di Bologna. Pedagogista, educatore, filosofo e storico, collaboratore di diverse riviste, attento alle problematiche dell’educazione e del suo rapporto con la dimensione etico-politica, privilegia un approccio interdisciplinare (pedagogia, sociologia, antropologia, psicologia e storia). Ha pubblicato: La scuola nella vita. Il pensiero pedagogico di Ovide Decroly (Erickson); Epistemologia, tappe costitutive e metodi della pedagogia speciale (Aracneeditrice); L’approccio transculturale di Georges Devereux (Aracneeditrice); Bambini «stranieri» con bisogni speciali (Aracneeditrice); Pedagogie dell’uguaglianza (Edizioni del Rosone). Il suo ultimo libro è “La pedagogia di Lev Vygotskij. mediazione e dimensione storico-culturale in educazione” (con Riziero Zucchi), Lemonnier università.