• 19 Maggio 2016

Ha lasciato la città per andare a vivere a Ripalimosani

Alessia: “Amo i ritmi lenti, peccato sia tutto abbandonato” 

di  Patrizia Di Nunzio

19 maggio 2016

È senza dubbio tra i borghi più affascinanti del Molise, detto ‘il presepe’ per la magnifica veduta dalla fondovalle Ingotte, che gli è valsa anche l’apparizione in una scena del film ‘Non ti muovere’ di Castellitto. Eppure, passeggiando tra i vicoli del centro storico, lo scenario appare inquietante: sfacelo, intere stradine inghiottite dalla vegetazione, case in rovina che ricordano le tristi immagini dell’Aquila e dei centri interessati dal terremoto del 2009. Solo che qui la colpa non è di una calamità naturale, qui l’uomo ha fatto tutto da solo. Anzi, non ha fatto, dato che gli anni di assenza, di popolazione e istituzioni, oggi si fa sentire in maniera prepotente, e di quest’assenza la natura ha approfittato, riprendendosi a poco a poco tutto. I vicoli sono vuoti e silenziosi, la vita della comunità si è spostata ‘in alto’, e questa parte del borgo, che è poi quella più autentica, luogo primordiale da cui è sorto tutto il resto, è stata quasi dimenticata. Ormai sono in pochissimi ad abitare quaggiù, e le ragioni sono soprattutto pratiche: si tratta di posti scomodi da raggiungere e quasi tutte le abitazioni hanno bisogno di importanti lavori di ristrutturazione. 

Ma qualcuno ancora resiste, e ci sono anche persone che da fuori sono venute a vivere qui. Tra queste c’è Alessia, insegnante di pilates e titolare di un’agenzia di animazione e spettacoli per bambini. Da quando si è trasferita a Ripa, cinque anni fa, ha provato a portare l’attenzione di amministratori e abitanti sulle criticità del borgo antico. «Bisogna stare attenti a inoltrarsi nel centro storico perché ci sono zone letteralmente lasciate a sé stesse. – spiega – Parlo dei muri fatiscenti, che rischiano di cadere in testa a qualcuno, delle strade chiuse, del degrado (pochi anni fa solo un caso fortuito ha impedito a una persona di rimanere sepolta dal crollo di una parete, ndr). Secondo me la questione risale a molto tempo fa, gli amministratori di oggi sono eredi di decenni di disinteresse. Certo, capisco che sia difficile sbrogliare la matassa, ma non penso sia impossibile. Si dovrebbe trovare qualcuno che si occupi di questa rogna, perché è di questo che si tratta, e andare a spulciare le varie situazioni legate anche ai proprietari degli immobili fatiscenti». Sì, perché alle ovvie complicazioni che un’opera di risanamento comporterebbe bisogna aggiungere le problematiche legate al fatto che spesso queste case appartengono a più persone, alcune delle quali residenti all’estero, quindi avviare una riqualificazione diventa ancora più arduo. «Quando sono venuta a vivere qui sono partita con un fare ‘battagliero’, – continua Alessia – andando a chiedere chiarimenti al Comune, e gli amministratori mi hanno ascoltata con disponibilità. Ho anche parlato con le persone che abitano in zona, alcuni sostenevano la mia stessa causa, in altri invece ho trovato delle resistenze. Avevo anche provato a costituire un comitato, ma ho incontrato complicazioni anche perché non trovavamo una linea comune: qui la maggior parte della gente è anziana e non ci crede più. Ho lasciato stare anche per mancanza di tempo, perché se inizi un discorso di questo tipo lo devi portare avanti con impegno, e io non potevo. Per questo mi sento in colpa, avrei potuto fare molto di più». Poi Alessia racconta di una signora che vive in una casa pericolante, costruita accanto a un edificio in rovina, che sta cadendo a pezzi. La messa in sicurezza è stata fatta, ma il tempo è passato e la struttura ora è nuovamente a rischio. «Come può il Comune assumersi una tale responsabilità? – si domanda con amarezza – Dovrebbe avere l’obbligo di intervenire, è una situazione estremamente pericolosa. C’è bisogno di persone qualificate che si occupino della questione, ma l’argomento ‘centro storico’ è scomodissimo per tutti. Io ho deciso di comprare una casetta qui, sono riuscita a venire ad abitarci dopo aver fatto dei lavori di ristrutturazione. – racconta – Qualcuno mi ha detto che ero pazza, ma ho fatto questa scelta perché volevo condurre una vita semplice. Potrei trasferirmi altrove ma non lo faccio: qui i ritmi sono lenti, silenziosi, non ci sono macchine, il vicinato è amabile. Mi sento accolta e mi piace il rapporto confidenziale che ho instaurato con alcune persone. E poi amo questo senso di intimità, l’odore dei camini d’inverno, il cinguettare degli uccelli, passeggiare tra le viuzze e scoprire un dettaglio che prima non avevo notato. Ed è un peccato che sia così vuoto e abbandonato, sarebbe bello poter vedere il centro storico pieno di vita e sentire risuonare tra i vicoli le voci della gente». 

Alla domanda sul perché abbia deciso di vivere a Ripa, risponde dicendomi che da piccola è sempre stata attratta dal suo fascino. Poi, una volta cresciuta, avendo a disposizione un gruzzoletto che le permetteva di sfuggire alla prigionia dei mutui bancari, ha deciso di dare un’occhiata da queste parti, ed entrando per la prima volta nella sua attuale casetta ha provato un tale senso di familiarità da acquistarla subito. «A volte penso di lasciarlo l’appartamento, – continua – ma qui ormai c’è il mio cuore: sto benissimo, ho la mia libertà, ma allo stesso tempo vivo sulla mia pelle il degrado che mi circonda. A volte per esempio, tornando a casa la sera, mi ritrovo immersa nel buio e ho paura di quello che potrebbe succedermi». 

Alessia è anche propositiva, pensa ai migranti che vivono nel paese vecchio e immagina di creare al suo interno una realtà multietnica, realizzando delle botteghe di artigianato, facendolo così rivivere. Perché poi è soprattutto questo che manca, un pretesto per inoltrarsi tra i vicoli. L’ideale sarebbe rivalorizzare l’intera area, dando così ai ripesi la possibilità di riappropriarsi delle proprie origini. «Dovremmo imparare a lamentarci un po’ di meno e a fare un po’ di più» dice, e in questa piccola frase è racchiusa la consuetudine di un intero popolo, quello italiano. La ragazza auspica un collettivo rimboccarsi le maniche per cercare di fare qualcosa mai fatta in passato e creare un magico momento di condivisione. «Ma per fare questo bisogna coinvolgere il Comune, – conclude – deve prendersi questa responsabilità, è un suo dovere e non può tirarsi indietro. Quando le ultime persone anziane se ne andranno, chi rimarrà? Il centro storico si svuoterà completamente e il popolo ripese perderà la sua identità». 

Certo, non sarà facile, ma è un passo che è necessario fare, e se istituzioni e cittadinanza lavoreranno insieme si potrà forse realizzare lo stesso sogno che in tanti comuni italiani è già diventato realtà: quello di tornare a essere parte integrante di questa grande bellezza.                                                                             

di  Patrizia Di Nunzio (da primonumero.it)