Il cammino della democrazia in Italia
Aprirsi al cambiamento significa costruire un parlamento in ogni caso eletto dal popolo e mai nominato da chicchessia
di Umberto Berardo
20 maggio 2016
Matteo Renzi ha aperto la campagna referendaria sulle proposte di revisione della Costituzione Italiana sulle quali saremo chiamati ad esprimerci in ottobre.
Sostiene che la maggioranza parlamentare, per la verità piuttosto spuria costituita com’è da tronconi di destra e sedicenti partiti di centro sinistra, vuole una semplificazione procedurale nel funzionamento delle istituzioni, mentre chi non condivide le riforme proposte dal suo governo sarebbe legato allo status quo e dunque fondamentalmente reazionario.
Elena Boschi addirittura accomuna chi voterà “no” a quelli di Casa Pound.
Poiché in un nostro articolo di febbraio dal titolo “Dove portano le riforme costituzionali”, argomentando nei dettagli le ragioni, abbiamo dichiarato pubblicamente che nel referendum avremmo votato “no” e siccome non ci sentiamo né retrogradi, né tantomeno conservatori, proviamo a smontare il sofisma capzioso di Renzi, chiarendo che chi si oppone a modifiche che ritiene deleterie per la democrazia non è contrario a modifiche strutturali o funzionali delle istituzioni esistenti, ma le vorrebbe orientate al rafforzamento della sovranità popolare, del principio di rappresentanza reale e dei diritti piuttosto che indirizzate unicamente verso il potenziamento della governabilità attraverso leggi elettorali che limitano in maniera forte il diritto dei cittadini secondo il principio di “una testa, un voto”.
Aprirsi al cambiamento significa per il nostro concetto di democrazia non solo limitare al massimo la delega, possibilmente prevedendone anche la revoca per fondate e gravi ragioni, ma costruire un parlamento in ogni caso eletto dal popolo e mai, come si vorrebbe fare da parte del governo attuale, nominato da chicchessia.
I tanti esperti costituzionalisti che come noi si oppongono a questo tentativo maldestro di cambiare la Costituzione Italiana non sono tradizionalisti e desiderosi di bloccare ogni modifica della nostra Carta Fondamentale, ma sono attenti a preservare i principi in essa scritti con chiarezza per difendere gli assetti fondamentali del processo democratico.
La crisi dei partiti e la corruzione dilagante nelle istituzioni di ogni ordine e grado, conseguenti alla pretesa della politica di sottrarsi al controllo di legalità ed a quello del corpo elettorale, sta portando il nostro Paese sulla china di una democrazia malata che, con le riforme varate in parlamento, ci porterebbe verso un verticismo oligarchico lontano dalle possibilità di alternanza di governo e da una vera democrazia pluralista così chiaramente definita nell’attuale Costituzione Repubblicana.
Le forze politiche, legate addirittura a personalismi o aziende ed incapaci di darsi un codice etico e regole certe e trasparenti di funzionamento al punto che sono riusciti a bleffare perfino sulle primarie, possono solo accelerare la loro crisi se pretendono di far ingoiare al popolo leggi elettorali legate ad una visione elitaria ed antidemocratica del concetto di rappresentanza, una strutturazione confusa dell’elaborazione legislativa e programmatica, relazioni inesistenti tra elettori ed eletti, una costruzione verticistica della delega e dell’organizzazione del potere di governo.
Taluni movimenti, poi, che hanno la pretesa di essere l’alternativa ai partiti tradizionali e che blaterano sulla cosiddetta “democrazia digitale” nel web, hanno rivelato, come dimostrano recenti episodi di decisionismo affidati unicamente ai sedicenti “garanti”, di non essere riusciti se non a creare strutture all’interno delle quali la certezza delle regole e dei criteri deliberativi lascia molto, ma molto a desiderare.
Probabilmente per una democrazia reale dobbiamo ancora studiare modelli organizzativi della politica in un’epoca in cui le forme di comunicazione e di espressione offrono nuove possibilità anche tecnologiche di rappresentanza delle istanze delle popolazioni e dei territori sul piano pubblico ed all’interno delle istituzioni.
Noi crediamo che in una democrazia capace di garantire spazi effettivi a tutti e dunque anche alle minoranze, sia profondamente sottoscrivibile quanto afferma Giancarlo Caselli: ” la Costituzione Repubblicana disegna una democrazia pluralista, basata sul primato dei diritti eguali per tutti e sulla separazione dei poteri, senza supremazia dell’uno sugli altri, ma con reciproci bilanciamenti e controlli. A questa concezione di democrazia se ne vorrebbe sostituire un’altra basata sul primato della politica e non più sul primato dei diritti, dimenticando che, se è vero che in democrazia la sovranità appartiene al popolo, è altrettanto vero che ogni potere democratico incontra dei limiti prestabiliti. Tali limiti presidiano una sfera non decidibile, quella della dignità e dei diritti di tutti.”
Essere cittadini non prevede tanto e solo la possibilità di avere governabilità, pure necessaria, ma soprattutto la certezza del diritto elettorale, di quello ad un reddito decoroso garantito e di una vita civile dove sia assicurata la salute, l’istruzione ed il lavoro.
Questo è lo Stato che ci piacerebbe realizzare ed è un desiderio che parte da posizioni che riteniamo non progressiste, ma rivoluzionarie nel senso più nobile del termine.
Sono proprio queste le ragioni che ci vedono contrari alle riforme costituzionali proposte dal governo Renzi, convinti a votare “no” al referendum di ottobre ed a lavorare per costruire assetti istituzionali espressioni della volontà popolare e non delle decisioni verticistiche di maggioranze interessate a perpetrare solo il proprio potere.
di Umberto Berardo