Accorpare le diocesi?
Già il 23 maggio dello scorso anno papa Francesco nella basilica di San Pietro ai vescovi aveva suggerito di ridurre il numero delle diocesi italiane secondo un progetto già avanzato da Paolo VI nel 1966 che prevedeva di diminuirle in maniera consistente
di Umberto Berardo
07 giugno 2016
Sull’idea c’è sempre stata molta resistenza nelle chiese locali e dunque per un po’ essa è stata accantonata.
Oggi ritorna di attualità e pare che una commissione istituita dalla CEI stia studiando una riduzione delle diocesi da 226 a 190.
Numero di abitanti, estensione territoriale e particolari tradizioni di radicamento religioso i criteri che la Conferenza Episcopale Italiana indica per l’eventuale taglio delle diocesi, tra le quali ci potrebbero essere anche quelle molisane di Isernia-Venafro e Trivento.
Sembra che la stessa CEI abbia inviato alle Conferenze Episcopali Regionali una richiesta a far pervenire entro la fine di agosto 2016 un parere sul progetto di riordino delle diocesi.
Immaginiamo che i vescovi conoscano nel dettaglio le ipotesi in merito messe in cantiere dalla commissione istituita in proposito, anche perché leggiamo già di documenti elaborati da talune Conferenze Episcopali Regionali e da alcuni pastori di chiese locali che mettono ancora una volta in discussione i tentativi di riordino ed accorpamento delle stesse.
Attualmente le diocesi italiane sono 226 ripartite in 16 regioni ecclesiastiche.
Mentre il primo criterio di fusione ed accorpamento prevedrebbe novantamila abitanti, per gli altri si parla di un numero non sufficiente di sacerdoti e di eventuali problemi economici; molto aleatorio, invece, sembra restare quello relativo alle particolari tradizioni di radicamento religioso.
Sulla richiesta di parere della CEI la Conferenza Episcopale Abruzzese e Molisana chiede di conservare possibilmente lo stato attuale delle sue diocesi per ragioni storiche, geografiche, culturali e pastorali o, in caso si dovesse intervenire per fusione o accorpamenti per le diocesi di Sulmona-Valva, Isernia-Venafro e Trivento, che lo si faccia lasciando le stesse indipendenti ed unite ad altra vicina “in persona episcopi”.
Nel corso dei secoli la geografia ecclesiastica è già variata molte volte sia in Italia che più in generale nel mondo e probabilmente un riordino delle diocesi in Italia potrebbe avere una sua necessità di ordine amministrativo, economico e pastorale che andrebbe tuttavia esplicitata nei dettagli.
Sul tema ci sembra opportuno in questo momento porre alcune riflessioni di carattere metodologico, strutturale e funzionale.
Intanto la CEI dovrebbe esporre con più chiarezza le ragioni che spingono nella direzione intrapresa.
Ove l’ispirazione alla riorganizzazione delle diocesi fosse una spending review, dobbiamo ricordare che i costi delle piccole diocesi sono nettamente inferiori rispetto a quelle più grandi, giacché i ruoli amministrativi, solitamente ridotti nel numero, si reggono quasi sempre sul volontariato di sacerdoti e laici; in ogni caso, come in altri settori, il risparmio può essere cercato in maniera razionale e senza produrre danni che potrebbero, come dicevamo, creare problemi.
Nell’ipotesi che l’attuale geografia ecclesiastica generasse difficoltà per una mancata corrispondenza tra diocesi e province, vogliamo ricordare che queste ultime sono in via di trasformazione o progressiva eliminazione e che per le stesse regioni si pensa ad una diversa distribuzione sul territorio nazionale.
Sarebbe opportuno ancora che le Conferenze Episcopali Regionali attraverso i vescovi sentano osservazioni e suggerimenti del popolo di Dio e dei sacerdoti attraverso gli organismi di rappresentanza quali i Consigli Pastorali Diocesani ed i Consigli Presbiterali.
Occorre poi riflettere seriamente sulle difficoltà relative all’azione pastorale del vescovo nel caso di una diocesi spalmata su un territorio troppo vasto e su un numero eccessivo di parrocchie soprattutto in aree geografiche costituite da un’orografia ostile a movimenti logistici anche per difficoltà connesse al sistema viario ed ai mezzi di trasporto.
Scriviamo da anni ormai come le aree interne, deprivate sempre più di attività culturali, economiche e di servizi, si stiano desertificando sul piano umano e sociale.
Per popolazioni di piccole comunità di aree montuose, spesso abbandonate e senza relazioni umane, la presenza del vescovo e dei sacerdoti resta in molti casi l’unico punto di riferimento non necessariamente soltanto spirituale.
Non nascondiamo conseguentemente la nostra preoccupazione che una riforma della geografia ecclesiastica possa avere criteri magari troppo astratti e lontani dalle esigenze religiose del popolo di Dio che invece vanno ascoltate e tenute presenti.
Ciò che ci preme affermare è che il rapporto spirituale tra pastori e popolo di Dio non possa avere distanze territoriali ed umane troppo lunghe con il rischio di generare assenze o carenze d’impegno sul piano pastorale.
di Umberto Berardo