Elezioni e (r)esistenze molisane
Se c’è un dato politico emerso immediatamente dopo la chiusura dei seggi, prima ancora di addentrarsi in considerazioni specifiche e nell’analisi dei flussi, è l’incrinatura del patto tra Renzi e gli italiani
di Antonio Ruggieri (da ilbenecomune.it)
08 giugno 2016
Si sa che, specialmente quando si è disperati, si tende ad aggrapparsi anche alle promesse più improbabili. E neanche è servito agli italiani, per evitare di ricascarci, il brutto risveglio dopo il ventennio berlusconiano, con le sue promesse di piena occupazione e di benessere diffuso, tragicamente culminato tra scandali e olgettine.
È un fatto innanzitutto culturale: per mantenere in equilibrio un sistema occorre una dialettica politica improntata a perseguire gli interessi comuni e il rispetto rigoroso delle regole condivise da parte dei cittadini. Il che richiede sacrificio e dedizione. Altra cosa, che credere nei miracoli.
Renzi pensava di cavarsela proseguendo la narrazione berlusconiana senonché, avendo i fatti la testa dura, come si suol dire, ben presto è venuto fuori che mentre la maggior parte dei paesi dell’eurozona mostra evidenti segnali di ripresa, l’economia italiana stagna, o meglio cresce al ritmo dello zerovirgola.
Ci si è accorti che i vaucher sono serviti a nient’altro che a istituzionalizzare il lavoro nero e che il combinato disposto tra le misure per combattere la precarietà (v.di “garanzia giovani”) e l’abolizione dell’art. 18, è servito soltanto come copertura per regalare un po’ di soldi, sotto forma di sgravi fiscali, alle imprese degli amichetti. E che le centinaia di migliaia di nuove assunzioni dureranno il tempo degli sgravi, e poi… ciaone!
Perciò Renzi è uscito alquanto ridimensionato da questa tornata elettorale.
Iniziamo con il chiarire che non vale assolutamente nulla il discorso di chi sostiene che le amministrative non siano elezioni politiche. Un conto è il paesino di 500 abitanti e un altro conto è Roma, Milano, Napoli e Torino.
E non vale a nulla neanche sottolineare il dato dell’astensionismo, dal momento che è diventato praticamente fisiologico. Potremmo fare accademia per giorni e giorni sul nostro assetto civile e democratico, ma non è questo il luogo per dilungarci.
Cominciamo, invece, dalla Capitale. Rispetto alle amministrative del 2013, il PD ha perduto ben 80.000 voti, e se non fosse stato per l’aiutino di Berlusconi che ha puntato su Marchini, un fighetto che si contraddice da solo, Roberto Giachetti non sarebbe arrivato nemmeno al ballottaggio, visto che fino alle 5 di mattina il confronto con la Meloni è rimasto in bilico. A proposito: sul fronte centrodestra c’è da registrare il tentativo di scalata della coalizione fallito da Salvini.
In questo cimitero mentale e politico l’ha spuntata il M5S, e non perché sia una forza anti-sistema (almeno non lo è fino in fondo, come dimostra il dietrofront della Raggi sul personale amministrativo da “riqualificare”), ma semplicemente perché da essa ci si aspetta per lo meno quel minimo di trasparenza, di onestà e di lavoro di squadra, che finora sono mancati in tutte le precedenti esperienze.
Comunque, anche se la Raggi, a dire il vero, non pare esattamente un fulmine di guerra, il risultato del prossimo ballottaggio appare scontato. In questi giorni, i giornalisti di regime stanno scoprendo ciò che sapevano anche i bambini: i cinquestelle arrivano al ballottaggio e poi vincono perché sia che perda il centrodestra, sia che perda il centrosinistra, i rispettivi elettorati preferiranno un arbitro imparziale al nemico giurato.
Piuttosto, sarà interessante, osservare ciò che succederà a Milano, unica metropoli dove il blocco sociale dominante ha espresso due candidati sostanzialmente sovrapponibili (con il candidato del centrodestra, Parisi, storicamente di sinistra, e il candidato di centrosinistra, Sala, con un passato nell’amministrazione Moratti). A chi andranno i voti pentastellati? Staremo a vedere. Intanto, Napoli è la prima città derenzizzata, a dimostrazione che mettere in piedi una coalizione sociale vera a partire da ciò che si muove nelle periferie, non solo è indispensabile, ma persino possibile.
A proposito di periferie, nel piccolo, tenero e marginale Molise, il tempo non passa mai. A Isernia, unico caso in Italia, vanno al ballottaggio due formazioni di centrodestra con il candidato di Iorio, il generale D’Apollonio, in netto vantaggio su Melogli, mentre la candidata del PD, Rita Paola Formichelli, non va oltre il terzo posto, grazie allo scherzetto combinato da Cosmo Tedeschi, quarto con quasi 1800 voti. Il candidato di sinistra, Lucio Pastore, nonostante il suo impegno eroico a difesa della sanità pubblica contro il piano operativo di Frattura, non riesce a superare il 5%. In tutto ciò, la segretaria regionale del PD Micaela Fanelli, risulta non pervenuta.
Mentre Iorio si riprende Isernia, a Bojano vince il candidato di Frattura, Marco Di Biase, proprietario della clinica privata Villa Ester, non a caso una delle pochissime strutture neanche sfiorata dai tagli del Commissario Frattura. La cosa più strana è che nessuno dei suoi avversari ha raccolto la denuncia che noi abbiamo lanciato in un recente articolo ravvisando un evidente conflitto di interessi nonché un profilo di ineleggibilità stabilito dal “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti locali”. Neanche Massimo Romano, l’avversario più attrezzato (1634 voti, poco più di 300 voti in meno) per batterlo.
Morale della favola: mentre in tutta Italia, i poli tradizionali sono sempre più in crisi per effetto della scarsità di risorse con cui fino a ieri avevano coltivato clientele gonfiando il proprio consenso, nel Molise, i padroni di ieri e di oggi, facendo cascare dal tavolo le ultime briciole, come se niente fosse, si spartiscono quello che resta di una regione che ancora (r)esiste, ma non si sa fino a quando.
di Antonio Ruggieri (da ilbenecomune.it)