La sinistra e la traversata nel deserto!
Incontro-convegno domenica 19 giugno, organizzato dall’associazione “Dalla parte degli ultimi”
di Michele Petraroia
17 giugno 2016
Poco conta se Massimo D’Alema ha effettivamente rilasciato le dichiarazioni apparse sulla stampa o se ci si trova al cospetto di un abile anticipo tattico di Matteo Renzi per addossare le possibili sconfitte dei ballottaggi alla sinistra del PD. Il punto vero affrontato dai principali opinionisti italiani è se ci sia ancora una prospettiva politica per la sinistra nel nostro paese, dentro o fuori il PD. Il rischio che la sinistra del partito democratico finisca come la sinistra del PSI dopo l’avvento al Midas di Milano nel 1978 di Bettino Craxi, è più che reale.
La corrente di Riccardo Lombardi e di autorevoli compagni socialisti, venne prima blandita, poi bastonata e quindi rapidamente archiviata. I Democratici di Sinistra, con in testa Massimo D’Alema, Fassino e Veltroni, scelsero di dar vita al PD, insieme alla Margherita, illudendosi di non morire democristiani. Il gruppo dirigente dei post-comunisti, salvo le minoranze di Fabio Mussi e Cesare Salvi, era convinto di egemonizzare il nuovo partito, ampliare la base associativa e puntare ad avere la maggioranza parlamentare senza ricorrere ad alleanze di coalizioni. Sono stati sufficienti meno di dieci anni per trasformare il PD in una versione peggiorata della vecchia DC, con una sinistra interna afona, in affanno, e alle prese col dilemma di salvarsi aderendo ad una delle tante sfumature del renzismo, o contrapporsi, col rischio di essere spazzata via alla prossima tornata elettorale.
Dopo aver teorizzato che in Italia si vince al centro, che bisognava allargare il partito ai moderati e, che per darsi un tono, bisognava rompere col sindacato, la sinistra del PD è rimasta intrappolata nel proprio tatticismo esasperato, non ha detto con chiarezza cosa pensa delle modifiche alla Costituzione, salvo rare eccezioni, non ha contrastato il Jobs Act, l’Italicum o le altre controriforme, e stenta a lanciare un messaggio chiaro sulla prospettiva politica. Questa difficoltà non è tattica ma strategica, e non appartiene solo alla sinistra interna al PD ma anche alla galassia della sinistra politica e sindacale italiana.
Dentro o fuori il PD le sorti della sinistra sono segnate dagli errori storici di un gruppo dirigente post-comunista che era andato per suonare e se ne è tornato suonato, con un esercito a brandelli che ha smarrito il grosso della truppa nelle fila dei diversamente renziani. Se questo accade al centro figurarsi nelle periferie dove i post-democristiani infilati a destra e a sinistra non hanno mai mollato il potere. A poco serve oggi discettare sugli errori del passato perché la società va avanti e si organizza a prescindere dalla sinistra orientando i propri consensi verso i movimenti o in direzione della destra sociale.
Non esiste alcuna scorciatoia politica per riorganizzare e rilanciare i valori e gli ideali della sinistra nel nostro paese. Dentro il PD o ci si allinea o si muore, fuori dal PD non c’è spazio politico. Chi non vuole morire democristiano può provare a morire nella traversata nel deserto alla ricerca di un progetto politico di sinistra come quello di Sanders o del Sindaco di Londra, del sindacato francese o del Sindaco di Vienna. Non saranno i tatticismi a salvare la sinistra italiana, ma un nuovo slancio ideale, generoso e appassionato, di militanti determinati a non arrendersi all’omologazione conformista della gestione del sottogoverno nazionale e locale.
di Michele Petraroia