La politica nel buio
La politica sta vivendo un’involuzione che sembra allontanarla dal bene comune e portarla verso la gestione d’interessi di parte legati spesso a forme d’individualismo ed egoismi di gruppo
di Umberto Berardo
28 giugno 2016
Politikòs, come arte di governo della polis, è una definizione che risale ad Aristotele.
Da compito elitario dell’oligarchia, con il passare del tempo nella società moderna e contemporanea essa, forte di teorie innovative come ad esempio quelle di Montesquieu, Rousseau, Max Weber, di sistemi diversificati di gestione della cosa pubblica e di innovative dinamiche attuate da partiti e nuove organizzazioni sociali, cerca di divenire strumento allargato di management delle questioni sempre più complesse della società.
Pur nella diversità delle strutture da governo, inizialmente piccole sul piano territoriale e demografico e poi sempre più globalizzate a livello transnazionale, nelle moderne carte costituzionali sembrava acclarato che il potere decisionale dovesse appartenere al popolo sovrano e la politica occuparsi a livello di servizio delle necessità e del bene dell’intera comunità, chiamata a partecipare in modo responsabile ed attivo alla gestione diretta ed indiretta dei problemi della collettività e delle relative soluzioni.
È stato così che con l’aiuto di teorie intelligenti e di decise azioni di massa siamo riusciti a dare spesso un corpo sostanziale accettabile al sistema democratico ed ai principi fondamentali di convivenza come quelli di libertà, di fraternità, di uguaglianza e di giustizia sociale arrivando anche a creare, sia pure in modo imperfetto e spesso problematico, organizzazioni internazionali come l’ONU o comunità transnazionali come la CEE.
Ora la politica sta vivendo un’involuzione che sembra allontanarla dal bene comune e portarla verso la gestione d’interessi di parte legati spesso a forme d’individualismo ed egoismi di gruppo.
È il caso recentissimo del brexit in Inghilterra, ma anche dei muri di chiusura all’immigrazione come dei tanti provvedimenti presi a livello nazionale ed internazionale in difesa svergognata di utili e profitti legati soprattutto al mondo finanziario e ad un’economia di carta piuttosto che ai diritti della stragrande maggioranza della popolazione.
Questo per anni ormai ha fatto la politica a livello locale, nazionale ed internazionale riuscendo nell’obiettivo dei poteri forti che la stanno tenendo in scacco: porre la ricchezza sempre più nelle mani di pochi impedendo una sua equa redistribuzione.
Senza trovare giri di parole molti oggi ancora non vogliono ammettere che la politica ha perso ogni autonomia rendendosi schiava del mondo finanziario.
Nessuna meraviglia se si è capaci di osservare che chi è inserito nei ruoli istituzionali proviene quasi sempre da gruppi sociali ricchi o comunque benestanti!
Si capiscono solo così le scelte legate alle sedicenti riforme istituzionali indirizzate chiaramente a nuove forme di plutocrazia.
Sono chiaramente visibili anche una degenerazione legislativa sul diritto al lavoro, un’assenza degli Stati nella difesa dell’occupazione, la carenza di un salario minimo garantito connesso a funzioni sociali utili del soggetto e la mancanza di una tutela del risparmio come strumento utile a far fronte a necessità urgenti o legate alla terza e quarta età.
Sono queste le posizioni di tantissime forze politiche e di molti soggetti eletti o ormai nominati come rappresentanti del popolo che talora non hanno più un briciolo di onestà intellettuale e nemmeno di coerenza tra quanto dichiarano e gli atti che compiono o avallano.
Sì, amici carissimi, perché quando partiti o singoli esponenti politici si rinchiudono in circuiti di potere come i “circoli”, le “leopolde” o i “cerchi magici”, si ha davvero la sensazione di una distanza apicale, per non dire siderale, tra essi e quel popolo che, non sentendosi più sovrano, purtroppo si allontana sempre più non solo dal voto, come dimostrano anche i dati delle ultime amministrative italiane, ma anche dalle responsabilità sociali quali le rivendicazioni per la difesa dei propri diritti.
Purtroppo anche nel Molise, dove la qualità della vita nei diversi ambiti ha raggiunto livelli ormai insostenibili ai più, noi assistiamo ad una partecipazione davvero ancora molto risicata dei cittadini alle lotte in difesa ad esempio del diritto al lavoro, della qualità della salute, del livello dell’orizzonte culturale, della salvaguardia del paesaggio e del patrimonio ambientale.
Basti dire che rispetto ai tanti problemi ancora irrisolti sul piano sociale, abbiamo avuto sin qui solo una buona partecipazione alla manifestazione del 18 maggio a Campobasso in difesa della sanità pubblica, ma nulla si muove a livello sindacale sull’organizzazione ad esempio almeno di una giornata di sciopero generale per l’occupazione, soprattutto giovanile, la cui mancanza ha fatto riprendere la via dell’emigrazione a tanti ragazzi.
Vogliamo dire con chiarezza che la politica purtroppo ha smesso di occuparsi con progetti condivisibili dei problemi delle popolazioni e vive lontana da essi, racchiusa nei palazzi del potere dai quali ha perso perfino il contatto con la realtà.
È così che perfino la percentuale di cittadini che ancora si reca al voto cerca di esprimerlo per quello che ora chiamano il “cambiamento”, ma che noi ancora non riusciamo a capire in che cosa consista, visto il buio ideale, progettuale e programmatico intorno all’idea di comunità che si immagina di costruire anche da parte dei cosiddetti movimenti.
La politica, come dicevamo all’inizio, ha raggiunto i migliori risultati quando è stata capace di elaborare principi, idee e tecniche per una gestione umana, equa e razionale del bene comune.
Oggi non sta facendo questo ed allora è compito dei cittadini più responsabili ed attivi quello di impegnarsi ad eliminare ogni forma di corruzione, a costruire sinergie ed a cercare forse nuove strutture operative con codici etici definiti e condivisi per governare equamente gli interessi collettivi della comunità.
Per questo appare sempre più necessaria una coalizione dei molti contro gli interessi egoistici dei pochi.
di Umberto Berardo