Dentro il Giubileo della Misericordia
L’invito del papa non è tanto o solo a cercare l’indulgenza plenaria e cioè la remissione della pena per i peccati commessi, ma essenzialmente l’abbandono della via del male
di Umberto Berardo
13 settembre 2016
L’evento del Giubileo trae origine dalla tradizione ebraica anche nell’origine etimologica del termine; sono stati gli ebrei, infatti, ad istituire ogni cinquant’anni il yobel dal nome del caprone con il cui corno veniva annunciato l’inizio di un evento che aveva lo scopo di dare riposo al terreno per renderlo più fertile, di liberare gli schiavi e di restituire le terre confiscate superando in tal modo taluni ostacoli al raggiungimento di un’accettabile giustizia sociale.
Nella chiesa cattolica il Giubileo, chiamato anche Anno Santo, inizia nel 1300 con papa Bonifacio VIII e prevede fondamentalmente la conversione, la penitenza e la riconciliazione con l’amore di Dio, anche se storicamente ha prevalso spesso come suo fondamento quello della remissione dei peccati e dell’indulgenza, aspetti che hanno sempre portato scontri di natura teologica come nel 1516 con Martin Lutero.
Il Giubileo nella chiesa cattolica è previsto ogni venticinque anni, ma il papa ne può indire di straordinari ed è il caso di quello attuale indetto da papa Francesco che ha avuto inizio l’8 dicembre 2015 e si concluderà il 20 novembre di quest’anno.
Nella bolla “Misericordiae Vultus” il papa invita la chiesa tutta, attraverso una conversione spirituale, ad essere testimone della misericordia di Dio nella storia, vivendola chiaramente come amore per il prossimo.
Tale misericordia deve essere manifestata attraverso segni di amore e Francesco ne ha dato attestazione attraverso incontri, raduni e visite a persone in difficoltà.
Ci pare allora di capire che l’invito del papa non è tanto o solo a cercare l’indulgenza plenaria e cioè la remissione della pena per i peccati commessi, ma essenzialmente l’abbandono della via del male attraverso la conversione all’annuncio evangelico che guida alla condivisione attraverso pagine stupende come quella delle beatitudini.
Stare dentro il Giubileo in tal senso non consiste nell’aspettarsi solo il perdono di Dio per i peccati propri o altrui, ma essere soprattutto disponibili personalmente alla remissione di qualcosa nei confronti del prossimo.
Rimettere qualcosa agli altri in tal senso significa in sostanza essere capaci di sobrietà esistenziale rinunciando al superfluo, alla violenza fisica e psicologica, al denaro ed alla proprietà come fini, all’egoismo, alla superbia, alla cattiveria mentale, alla corruzione, all’invidia, al senso di superiorità nei confronti dell’altro per trovare le vie di una possibile apertura alla misericordia ponendosi nella condizione ad esempio di cancellare debiti, di sostenere chi soffre, di dare attenzione a chi si sente solo, di solidarizzare con chi ha bisogno condividendo ciò che si ha.
È ciò che troviamo scritto con estrema chiarezza nella Lettera di Giacomo “Avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi. Peccatori, purificate le vostre mani; uomini dall’animo indeciso, santificate i vostri cuori” (4,8) ed in maniera ancora più decisa nel passaggio successivo con ” l’avvertimento ai ricchi”.
Questo crediamo debba essere il cammino di un cristiano dentro il Giubileo e comunque sempre nel corso della vita secondo l’insegnamento di Gesù che chiama ad amare Dio con tutto il cuore ed il prossimo come se stessi e, nel Padre Nostro, a rimettere i debiti al prossimo come il Signore fa con noi.
Essere capaci di cambiamento, di perdono, di solidarietà e di misericordia è ciò cui siamo chiamati in questo anno giubilare, ma tale atteggiamento individuale, il cui emblema è la figura evangelica del buon samaritano, non è sufficiente; occorre altresì essere in grado di operare per eliminare sul piano strutturale tutte le ingiustizie e le iniquità che ancora esistono nella società ed anche nella Chiesa.
Questo ovviamente non richiede solo un comportamento personale vicino al Vangelo, ma anche la capacità di operare sul piano sociale e politico affinché si abbattano le disuguaglianze e si crei la giustizia sociale.
La preghiera come dialogo con Dio e la ricerca delle vie dell’amore nell’esistenza confrontando continuamente la propria vita con la scrittura sono i sistemi per maturare la misericordia come capacità di conversione, di perdono e di amore; diversamente l’attraversamento delle porte sante come puro atteggiamento di formalismo intimo ed esteriore in richiesta di indulgenze riuscirà solo ancora una volta ad esprimere l’ipocrisia di atei devoti lontani dalle logiche di Chi ci ripete “Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In quel giorno molti mi diranno: Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demoni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi? Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia.
Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande” ( Mt 7, 21-27 ).
di Umberto Berardo