“Pane e vino”
La nuova opera di Mario Antenucci, molisano originario di Roccavivara
di Umberto Berardo
12 gennaio 2017
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Dopo la pubblicazione di ben quattro raccolte di poesie Mario Antenucci, molisano originario di Roccavivara (CB), ha dato alle stampe una nuova opera, questa volta in prosa, dal titolo “PANE E VINO – Schegge di vita e semi di speranza” per i tipi di Arti Grafiche La Regione.
Si tratta di un autore che ha profonde radici nella sua terra di origine e ad essa s’ispira in poesia per descrivere paesaggi e figure umane, per ascoltare voci e suoni, per esprimere sentimenti ed emozioni, per analizzare comportamenti, per trasmettere idee, per cercare confronti, per creare immagini, metafore e musicalità stupende attraverso l’uso meticoloso di un lessico ricercato e nuove forme di linguaggio.
Con il suo nuovo saggio “Pane e vino” Antenucci apparentemente sembra impegnato in un’opera autobiografica relativa al periodo della sua infanzia.
In realtà il suo è anche un volume di ricordi, ma la narrazione della sua vita a Roccavivara è prevalentemente un’occasione per portare il lettore all’interno della società contadina del Molise negli anni che segnano le difficoltà esistenziali del secondo dopoguerra.
Partendo allora dai ricordi vivi della sua vita familiare, l’autore tratteggia con pennellate brevi, ma efficaci, la bellezza del paesaggio e del borgo natale, la struttura della famiglia patriarcale, la configurazione sociale della popolazione, le relazioni umane, i sistemi produttivi di un’agricoltura di sussistenza, la ricchezza culturale delle tradizioni, la varietà dei riti, l’organizzazione del tempo e dello spazio, ma soprattutto l’autenticità dei principi e dei valori cui s’ispirava la vita.
Lungo il fluire delle stagioni sono affrescati quadri di un percorso esistenziale tratteggiato con estrema oggettività e senza nulla concedere agli affetti o alla nostalgia.
Scorre allora in maniera attenta e diligente la descrizione della vita nei campi, delle tradizioni e delle festività più sentite, delle difficoltà di vita dei contadini, ma si respira anche nelle pagine del libro la genuinità di soggetti che non aspiravano tutti necessariamente e comunque all’arricchimento, ma avevano il senso della sobrietà e dell’altruismo.
La fatica del vivere è incarnata da personaggi tratteggiati con una maestria attenta alla persona, al suo modo di esprimersi, di lavorare, di rapportarsi agli altri e di trascorrere il tempo libero.
Di questa società Mario Antenucci dice di aver respirato l’aria ed in essa sostiene di aver trovato i fondamenti profondi del suo stile di vita; egli infatti chiude il volume scrivendo : ” La mia grammatica, la mia letteratura e la mia università sono state il mondo umile, il modo di saper ascoltare in silenzio dei contadini ” .
Questa è la ragione per la quale l’autore si augura che le “schegge di vita”, che sono state le basi della sua esistenza, possano essere “semi di speranza” per quanti sapranno ricercare nella civiltà contadina del Molise centrale gli elementi di un modo di vivere attento alle necessità di tutti.
È chiaro allora che il viaggio di Mario Antenucci a ritroso nel tempo non ha tanto uno scopo autobiografico, quanto piuttosto la necessità di fare memoria storica su elementi culturali, religiosi, sociali, economici, artistici e paesaggistici che potrebbero perdersi se non fossero ripercorsi dall’attenzione di chi cerca di riportarli al presente per farne un uso di riflessione, di confronto e di proposta.
“Pane e vino” è dunque un lavoro che aiuterà i più anziani a ricordare ed i giovani a conoscere una realtà socio-culturale ed umana lontana nel tempo, difficile e controversa, avara con tanti e forse anche discriminante per taluni, ma sicuramente ricca di principi, valori, linguaggi e tradizioni che vanno compresi e studiati.
All’interno di una società troppo protesa a comunicazioni veloci e talora superficiali questo volume è al contrario un invito pressante alla ricerca ed alla riflessione pacata e costruttiva sugli elementi della civiltà contadina che per tanti aspetti molto hanno ancora da trasmettere alle nuove generazioni.
di Umberto Berardo