Shoah
Una concezione antropologica non ancora superata
di Umberto Berardo
27 gennaio 2017
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Shoah è un termine ebraico che significa catastrofe, distruzione, ma ci lascia più ampiamente pensare ad una concezione profondamente distorta e disumana di pensiero sul modo di concepire e trattare l’altro.
Il 1° novembre 2005 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite stabiliva che, per ricordare le vittime dell’Olocausto nazista dei sei milioni di Ebrei, il Giorno della Memoria venisse fissato ogni anno al 27 gennaio, giorno in cui l’Armata Rossa liberò il campo di concentramento di Auschwitz.
In realtà lo sterminio degli “indesiderabili” da parte del nazismo si pensa abbia portato nei campi di concentramento all’annientamento di oltre quindici milioni di esseri umani, perché agli ebrei bisogna aggiungere prigionieri di guerra, oppositori politici, rom, sinti, jenisch, testimoni di Geova, pentecostali, handicappati, malati mentali ed omosessuali.
Da questo dovrebbe essere chiaro che la cosiddetta “soluzione finale” non riguarda unicamente il popolo ebraico, ma chiunque ritenuto inaccettabile dal nazismo e dunque indegno di vivere nella società.
Recentemente abbiamo visitato il quartiere ebraico di Praga dove nella sinagoga Pinkas chiusa al culto tutte le pareti riportano i nomi di 77.297 ebrei di Boemia e Moravia trucidati dai nazisti; sono talmente tanti solo lì da pensare che il numero di persone uccise riportate dai testi di storia è sicuramente approssimato per difetto.
In quello stesso luogo c’erano dei disegni di bambini deportati nei campi di sterminio.
Li abbiamo osservati a lungo, perché in essi traspariva tutto l’orrore della paura e della violenza che circondava quelle creature.
Indubbiamente la Shoah, con i momenti della persecuzione, della segregazione e dell’uccisione, ha rappresentato uno dei genocidi più terribili, violenti e disumani avutisi nella storia e noi rispetto a tale evento abbiamo il dovere della memoria, come stiamo giustamente facendo, per impedire che si possano ancora avere episodi così gravi.
L’antisemitismo di Adolf Hitler, esposto in Mein Kampf e sviluppato dalla rivista Der Stürmer, si concretizzò con le Leggi di Norimberga del 14 settembre 1935 che difatti, prima volontariamente e poi in modo coatto con le deportazioni dopo la “Notte dei Cristalli” del 9-10 novembre del 1938, escludevano gli ebrei da ogni aspetto della vita sociale, culturale, politica ed economica della Germania ; da allora tutte le attività di natura economica ed i servizi furono riservati unicamente agli “ariani”.
Molti ebrei riuscirono a trasferirsi clandestinamente in alcuni paesi europei e perfino in Asia ed in America, ma non siamo in grado di sapere quanti riuscirono a trovare queste vie di fuga rimanendo spesso nascosti e segregati per anni come accadde ad Anna Frank.
Le deportazioni nei tanti campi di concentramento organizzati dai tedeschi in tutta l’Europa e la soluzione finale, che prima sembrò prevedere con Adolf Eichmann il trasferimento degli ebrei nel Madagascar e poi verso est, mentre con Reinhard Heydrich ed Heinrich Himmler portò alla loro eliminazione fisica, sono il percorso terrificante della Shoah.
Le tecniche di sterminio sono state di un’atrocità sconvolgente!
Di fronte a questo orrore, oltre alle dirette responsabilità naziste, solo in parte messe in luce dal Processo di Norimberga, ci sono le colpe gravi di alleati, come il fascismo italiano, ed il silenzio di esponenti politici e religiosi di primo piano, ma anche di organizzazioni come la Croce Rossa Internazionale, che, senza una posizione ufficiale di condanna, di fatto poco fecero per impedire il processo di annullamento di milioni di esseri umani.
Perfino la proposta di alcuni rabbini di bombardare le linee ferroviarie che portavano ai campi di concentramento fu respinta il 4 luglio 1944 dal ministero della guerra americano.
Di fronte a queste rivelazioni sui gravi peccati di omissione della politica e perfino di tanta parte della cultura conniventi con la Shoah, per fortuna essa ha avuto testimoni e giudizi non solo postumi, ma anche all’epoca di cui potremmo fare tanti nomi.
Ci piace ricordare in particolare la riflessione di Primo Levi in “Se questo è un uomo” o di Anna Frank in “Diario” o di Hannah Arendt in “La banalità del male” o Dietrich Bonhoeffer in “Resistenza e resa: lettere e scritti dal carcere” o di Hans Jonas in “Il concetto di Dio dopo Auschwitz” o ancora di Zygmunt Bauman “Modernità ed Olocausto”.
Non possiamo non ricordare alcuni film di grande successo come Schindler’s List del 1993 di Steven Spielberg, Il pianista del 2002 di Roman Polanski e La vita è bella del 1997 di Roberto Benigni , solo per citarne alcuni.
Sulle tesi negazioniste dell’Olocausto da parte di movimenti antisemiti non crediamo ci si debba fermare più di tanto essendo stato dimostrato a sufficienza che le loro tesi non hanno alcun supporto accettabile di dati storici, come ha fatto rilevare opportunamente Bauman.
Si riflette ancora se la Shoah sia stato qualcosa intenzionale e dunque fondato ideologicamente o solo funzionale alla costruzione ed al rafforzamento del nazismo.
Noi riteniamo che quel genocidio abbia come ispirazione entrambi gli elementi concettuali e politici.
Anche sul ruolo e sulle responsabilità della popolazione tedesca ed in genere di quelle europee c’è ancora tra gli storici grande fermento di riflessione sulla conoscenza dell’allora antisemitismo in atto e sul consenso ad esso relativo.
È bene anche sottolineare che l’avversione per gli ebrei in Europa è sempre esistito sin dal Medioevo e si è incrementato nel corso dell’Ottocento soprattutto in Russia e Germania.
Sicuramente tra le cause della Shoah possiamo trovare quelle relative alla follia ideologica di tanti ispiratori del nazismo, a partire da Adolf Hitler, o intravvederle nel razzismo radicale delle dittature europee del XX secolo o ancora nella lotta per il potere economico e per l’espansione territoriale della razza ariana con l’esclusione dei cosiddetti indesiderabili, ma non comprenderemmo questo enorme genocidio se lo vedessimo in una sorta di unicità inviolabile e se non provassimo ad allargare l’orizzonte storico cogliendo tutti quegli eventi simili alla Shoah che hanno abitato la storia, che continuano ad esistere e che sono il frutto a nostro avviso di una concezione antropologica che a suo fondamento manca dei principi fondamentali di una convivenza realmente umana che sono quelli del diritto per tutti alla vita, alla libertà, all’uguaglianza, alla decisione democratica sulle regole comuni.
Sappiamo tutti che tali principi sono stati abbondantemente negati nel corso dei secoli a partire dall’istituzionalizzazione della schiavitù sin dalle più antiche epoche della vita sulla Terra.
Il concetto di proprietà sui beni materiali e perfino sulla persona altrui ha fondato la soggezione di quest’ultima al padrone e di interi popoli ai colonizzatori spesso presentati dalla storiografia ufficiale come fondatori di grandi civiltà.
Nessuno può dimenticare che quelle medio – orientali, ma anche quella greca e romana avevano a loro fondamento il concetto di schiavitù e di soggezione degli altri popoli.
È Gesù che nella sua predicazione affaccia l’idea profonda dell’eliminazione dell’asservimento e della libertà della persona umana. Sono messaggi di liberazione che lo porteranno in croce e determineranno quelle persecuzioni dei cristiani che sono uno dei primi grandi genocidi tentati nella storia.
Se volete un’altra immagine della mattanza dell’altro provate a guardare il film “Apocalypto” di Mel Gibson che racconta la violenza spaventosa tra le tribù Maya prima dell’arrivo dei colonizzatori europei in America dove il sopruso e l’aggressività senza limiti dei conquistatori sterminarono poi Incas ed Aztechi e più tardi al nord gli Indiani, segregando quelli rimasti nelle riserve.
Non sono stati nella storia dei genocidi anche la crociata contro gli Albigesi nella Francia medioevale, l’eliminazione degli Armeni in Turchia durante la prima guerra mondiale o quella dei Curdi da parte di diverse popolazioni mediorientali, la deportazione e gli stermini di intere popolazioni di contadini da parte di Stalin o quello della dittatura comunista in Cambogia tra il 1975 ed il 1976 o ancora quello degli Stati Uniti d’America con la guerra in Vietnam?
Ed oggi possiamo passare sotto silenzio le stragi e le violenze dell’odio interetnico tra Hutu e Tutsi, di Boko Haram, dell’Isis, del terrorismo o delle mafie diversamente chiamate?
Il giornalista Pino Aprile nei suoi volumi “Terroni” e “Carnefici” arriva a sostenere che, se genocidio è la metodica distruzione di gruppi etnici o religiosi, tale si può definire quanto accaduto con la conquista dell’Italia meridionale da parte dei Savoia.
D’altronde non è forse un olocausto all’interno dei nazionalismi e degli eccidi interetnici quello delle foibe che ricorderemo il 10 febbraio e che per anni è stata una strage dimenticata dagli storici?
È vero che il termine genocidio viene utilizzato per la prima volta al processo di Norimberga nel 1946, ma non riusciremo ad eliminare gli olocausti se non cancelleremo dalla civiltà umana la concezione antropologica di chi pensa che un qualsiasi essere umano possa recare sopraffazione e violenza verso l’altro fino a determinarne la morte.
Oggi occorre essere vigili e prevenire quanto può riportare la convivenza umana alla barbarie; in tal senso è necessario riflettere seriamente sulla ricostituzione dei movimenti neonazisti in Europa, sui bombardamenti indiscriminati con i droni, sui muri di filo spinato innalzati contro chi fugge da guerra, fame e miseria e sui sistemi economici che generano la morte per fame.
È solo il concetto di eguaglianza e parità di diritti tra le persone che può costruire sul piano culturale, etico e politico la non violenza e perciò stesso l’amore per l’altro.
L’uguaglianza ha ispirato tutte le grandi lotte di liberazione nella storia per il diritto alla vita e ad essa occorre continuare a riferirsi anche oggi nella barbarie che stiamo creando in nome del denaro, del possesso e del profitto.
Promuovere allora attività di formazione e percorsi educativi sulla Shoah è lodevolissimo, ma occorre forse allargare la memoria storica e portare i giovani a riflettere sulle cause di natura culturale, economica e politica che generano violenza sopraffattrice o indotta.
Non dimentichiamo che spesso l’orrore è stato più volte determinato da radicalizzazioni dello stesso pensiero religioso, mentre nei testi sacri delle diverse religioni il concetto di sacralità della vita umana viene più volte affermato con chiarezza.
Lavorare per eliminare le cause che portano molti a volere anche indiscriminatamente la morte dell’altro significa nella storia essere attori della giustizia sociale e dell’eguaglianza tra gli uomini che forse non ci daranno l’Eden, ma quantomeno una convivenza pacifica tra gli esseri umani.
di Umberto Berardo