Sprondasino, non solo un ponte
È il luogo della confluenza tra il Tratturello Castel del Giudice-Sprondasino e il Celano-Foggia, ma anche tra il Verrino e il Trigno. È tornato all’attenzione dei molisani con il ritrovamento della Pandetta presso questo ponte
di Francesco Manfredi Selvaggi
16 febbraio 2017
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Partiamo nell’analisi dei valori paesaggistici di questo luogo dagli aspetti culturali. Il più significativo di essi è quello legato alla presenza del tratturo, il Celano-Foggia che passa molto vicino alla confluenza del Verrino nel Trigno e che qui riceve il Tratturello Castel del Giudice-Sprondasino. Tratturello deve essere qualcosa di diverso da Braccio nella classificazione ufficiale operata dalla Dogana delle Pecore se vengono usati termini distinti, ma la funzione sembra essere identica; essa è quella di collegare due o più tratturi fra di loro. Infatti il Tratturello congiunge l’Ateleta-Biferno che tocca Castel del Giudice con il Celano-Foggia, appunto a Sprondasino, mentre il Braccio Trasversale Matese-Cortile-Centocelle lega insieme il Pescasseroli-Candela al Castel di Sangro-Lucera e al Celano-Foggia. Va evidenziato che il Tratturello nonostante la sua lunghezza limitata e la larghezza di soli 30 metri contro i 111 dei tratturi principali non è cosa da poco sfiorando il suo percorso il teatro italico di Pietrabbondante, non molto distante dalla zona in esame in cui ne trasporta con sé l’eco.
I pastori per trasferirsi dal Tratturello al Celano-Foggia devono guadare il Trigno, il corso d’acqua che prima della captazione della sorgente era davvero copioso, e questo è uno dei tanti pericoli dei quali è intrisa la vita dei transumanti che nel loro viaggio incontrano ambienti ostili di frequente, dalle altitudini delle montagne abruzzesi e molisane all’assolata e arida piana del Tavoliere, niente a che vedere con i racconti bucolici sulla transumanza. A Sprondasino c’era pure una delle Taverne che costellavano i percorsi tratturali, oggi non facilmente individuabili perché sicuramente l’edificio è stato rimaneggiato. Sono sparite le torri celle che i vecchi, seppur vagamente, ricordano e l’iscrizione murata nella facciata dopo il ritrovamento avvenuto una decina di anni fa ora si trova nel municipio di Bagnoli. La «pandetta», così si chiama, indica il pedaggio da pagare ed è stata apposta nel 1691, ma questo non significa che la taverna e, quindi, il punto di tappa del tratturo risalga a quel periodo, rimanendo incerto per l’assenza di strutture murarie con elementi architettonici riconducibili a un determinato stile l’epoca della sua istituzione.
Attraverso lo studio della rete delle taverne si può mettere in luce il sistema di relazioni di tipo economico e sociale ch intercorrevano tra popoli anche molto distanti fra loro e ciò per secoli. Così come c’è l’incrocio tra Tratturello e Tratturo c’è pure quello tra Trigno e Verrino con il quale abbiamo iniziato e al quale adesso torniamo soffermandoci sul Verrino. Esso rientra quasi del tutto in un Sito di Importanza Comunitaria e l’unico tratto escluso è proprio quello dello sbocco. È una semplice curiosità: il pezzo di Verrino escluso dal SIC sta nel territorio comunale di Civitanova la cui giurisdizione territoriale su questo fiume è limitata a tale piccola porzione di asta fluviale, davvero un minuscolo segmento. Agli inizi degli anni ’80 l’intero corso d’acqua fu interessato da consistenti opere di sistemazione idraulica finanziate con i fondi FIO ridisegnando la sagoma dell’alveo che assume una forma simmetrica rispetto ad un canale centrale, la «savanella», perennemente bagnato.
La sezione fluviale diventa eccessivamente uniforme, per chilometri e chilometri. La spesa fu decisa a seguito della frana che causò il crollo del cosiddetto ponte della «salsiccia», più a monte, nella fascia mediana del Verrino, vicino all’abitato di Agnone, ma si giustifica pure perché ha consentito il passaggio della fondovalle Verrino, per la cui realizzazione necessitava il restringimento dell’alveo. L’arteria ha bloccato in maniera definitiva il dinamismo che è una caratteristica dei corpi idrici di pianura. Potrebbe sembrare una contraddizione quella del riconoscimento delle valenze naturalistiche del Verrino tali da includerlo nella Rete Natura 2000 e le pesanti trasformazioni cui è stato sottoposto e forse lo è, anche se la principale distonia è quella della sicura attribuzione di un codice identificativo di uno degli habitat ricompresi nella lista del Corine, i quali sono delle particolari associazioni vegetali nelle quali le specie interagiscono fra loro in modo stabile, che è poi l’essenza del concetto di ecosistema.
Invece, qui ci troviamo di fronte ad una giovane età del biotopo la quale fa pensare che sia possibile una sua evoluzione verso uno stadio successivo, il cui assetto non è pronosticabile con facilità. Gli habitat riconosciuti lungo il Verrino sono connotati dalla presenza del Salice e del Pioppo i quali vengono definiti una vegetazione azonale perché riscontrabili sulle sponde di molte aste fluviali, a prescindere se ci si trovi in pianura, collina o montagna, in quest’ultima meno di frequente. Ad eccezione del Trigno che subito dopo l’innesto del Verrino è anch’esso SIC con habitat assai differenti; due SIC legati a fiumi, vicinissimi e, nello stesso tempo, tanto distanti fra loro per caratteristiche botaniche. Lo iato che intercorre tra i due SIC è dovuto alla presenza di un impianto di frantumazione di inerti, attività industriale che predilige la localizzazione lì dove il corso d’acqua diminuisce la pendenza aumentando il deposito di materiale trasportato nella sua corsa iniziata dalla sorgente montana.
È un sito condizionato paesaggisticamente dallo svincolo che unisce la fondovalle Verrino alla Trignina. La viabilità odierna è basata sulle fondovalli, mentre prima i tracciati viari preferivano le alture. Ha perso importanza l’antico ponte di Sprondasino, un vero nodo territoriale in quanto verso di esso si dirige una pluralità di strade, sovravanzato per intensità d’uso, fisicamente (e percettivamente!) dai viadotti. A segnare il panorama sono i ruderi alti 4 metri della torre posta su uno sperone roccioso dominante sul greto del fiume il cui toponimo Terravecchia fa pensare all’esistenza di un qualche insediamento umano; esiste perlomeno dal XIII secolo poiché è citato nel Catalogo dei Baroni. La lettura storica del nostro ambito si complica per un altro toponimo che identifica la piana tra Trigno e Verrino che è Fara, di origine longobarda.
In questo luogo dovette accamparsi Antonio Caldora il quale oltre ad essere feudatario di Carpinone lo era pure di Sprondasino, prima del decisivo scontro con Alfonso il Magnanimo nella pianura di Sessano in cui fu sconfitto permettendo agli aragonesi di impadronirsi del regno di Napoli. Un’area densa, in definitiva, di rimandi storici e di valore ecologico che ne fanno un momento unico nel paesaggio molisano, un fatto, si fa per dire, unificatore per la capacità di essere uno snodo di cammini, di sistemi naturali, per questa via un simbolo di biodiversità.
di Francesco Manfredi Selvaggi