Le reliquie
Nel mondo del culto delle immagini, dei simboli e delle reliquie bisogna fare riflessioni molto profonde
di Umberto Berardo
20 marzo 2017
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Alcuni giorni fa abbiamo letto che ad Isernia sarebbe arrivato il “cuore” di San Pio ed abbiamo poi in effetti seguito in televisione l’evento relativo con processione e funzione religiosa in cattedrale.
Relativamente a tale evento i commenti registrati su internet sono stati talora pacati e razionali, altre volte preconcetti o saccenti, altre ancora entusiasti.
Per noi è stata l’occasione per la riflessione, il confronto ed una ricerca sull’origine, la funzione e lo sviluppo del culto delle reliquie, ovvero di una salma o dei suoi resti.
Si tratta di una tradizione antichissima in ambito laico con il culto degli eroi o di personaggi famosi, ma prevalentemente religiosa ed appartenente al cattolicesimo, al buddismo ed a qualche tradizione islamica, non presente invece nell’induismo e nel jainismo.
Nel cattolicesimo nacque con le persecuzioni dei primi secoli, in particolare come venerazione del corpo dei martiri o come pietas per i defunti; poi si diffuse in forma di pratica devota legata alle indulgenze in epoca costantiniana e soprattutto nel Medioevo quando sorsero usi strumentali ed abusi che portarono successivamente alla messa in discussione del fenomeno da parte della Riforma protestante, anche se già nel “De pigneribus sanctorum” , scritto tra il 1115 ed il 1119, già l’abate francese Guiberto di Nogent ne denunciava eccessi e business nelle pratiche.
Nel corso dei secoli gli abusi si sono moltiplicati fino a raggiungere talora vere e proprie forme di commercio.
Il V Concilio di Cartagine del 398 e quello di Nicea del 787 validarono il culto delle reliquie e ne fecero una prassi.
Quando nel VI secolo si fece strada il riconoscimento ufficiale della Chiesa per la santità di una persona il fenomeno delle reliquie si diffuse fino a giungere non solo alla traslazione del corpo dei santi presso cappelle, monasteri e santuari, ma anche allo smembramento delle spoglie mortali con la credenza sempre più diffusa nel relativo potere intercessivo e taumaturgico.
Nel 1821 si ebbe in Francia la pubblicazione di un “Dizionario critico delle reliquie e delle immagini miracolose” con l’elenco di resti ed figurazioni miracolosi esistenti allora in Europa e con la testimonianza di una religiosità molto vicina alla superstizione e perfino alla necrofilia.
L’autore, Collin de Plancy, dopo un ventennio si convertì al cattolicesimo e difese quanto prima aveva aspramente criticato.
Oggi tutte le questioni relative a tale fenomeno sono affidate alla Congregazione delle Cause dei Santi.
Riconosciuta la sua autenticità, una reliquia può essere classificata in quattro classi, a seconda delle relazioni con la vita di Cristo o dei santi in senso diretto o indiretto, deve avere l’autenticazione ed essere posta in reliquiari recanti i sigilli del vescovo.
La chiesa cattolica non impone, ma suggerisce il culto delle reliquie ed ha cercato di definirne l’uso con il Concilio di Trento, ma anche con il Vaticano II come con il canone 1190 del codice di diritto canonico e con il Catechismo della Chiesa Cattolica nella parte seconda al capitolo quarto dove si affronta il tema della religiosità popolare.
Che gli esseri umani a livello laico e religioso abbiano particolari considerazioni ed affetto per tutto quanto si riferisce a persone con le quali si sono avuti particolari relazioni di stima, di considerazioni o di affetto non è solo accettabile, ma lodevole.
Di qui sono nati il culto dei morti, l’elogio dei giusti e la venerazione dei santi.
Il fondamento teologico e spirituale di tali forme di religiosità si ricerca nella convinzione che la dimensione del contatto materiale con il corpo di un santo o con una sua reliquia serva a partecipare dell’energia e della Grazia ivi contenuta.
Francamente crediamo che non sia il contatto fisico con una persona giusta a renderci a nostra volta onesti quanto la testimonianza di vita che essa ci ha dato ed alla quale possiamo guardare con affetto e riconoscenza.
Può certo aiutare a comprendere la povertà di Francesco d’Assisi l’osservazione del saio che indossava, ma non è necessario andare ad Assisi per riconoscere la grandezza di vita di quest’uomo.
Ci sono poi usi, tradizioni e costumi sui quali potremmo fare lunghe esemplificazioni che, fuori da ogni simbologia accettabile, entrano a nostro avviso nel feticismo, nella superstizione e nel paganesimo.
In un viaggio nel mondo del culto delle immagini, dei simboli e delle reliquie noi pensiamo che si debbano fare riflessioni molto profonde per evitare di dare forme distorte ad una fede che deve avere a fondamento quel Dio che nel messaggio evangelico ha messo al centro non le apparenze o le figure di esseri umani, ma la verità ed il bene proclamati con chiarezza e forza da quel Gesù di Nazareth che per questo è venuto al mondo, è stato crocifisso ed è risorto.
D’altronde a scorrere con attenzione il passaggio del Catechismo della Chiesa Cattolica sopra citato si legge al n. 1676 “È necessario un discernimento pastorale per sostenere e favorire la religiosità popolare e, all’occorrenza, per purificare e rettificare il senso religioso che sta alla base di tali devozioni e per far progredire nella conoscenza del mistero di Cristo”.
A tale importante affermazione si fa seguire un brano della Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano del 1979 in cui si afferma che nel popolo cristiano occorre promuovere un umanesimo cristiano che è saggezza per affermare la dignità di ogni essere umano, la fraternità, l’armonia con la natura, ma soprattutto la centralità del Vangelo.
Noi ci chiediamo in che misura pratiche devozionali spontanee o indirizzate seguano tali indicazioni e quante non diventino piuttosto espressioni di una religiosità di natura individualistica e superstiziosa che cerca un rapporto funzionale e privilegiato con Dio attraverso l’intercessione dei santi o la loro “forza” taumaturgica.
Una valutazione in tal senso va fatta proprio per ” per purificare e rettificare il senso religioso che sta alla base di tali devozioni ” come è chiaramente scritto nel Catechismo della Chiesa Cattolica al passo sopra citato.
di Umberto Berardo