• 14 Marzo 2018

Il partito dell’Appennino ferito

Paolo Piacentini:«Se qualcuno, in questo momento storico, mi dovesse chiedere a quale partito o area politica appartengo, gli risponderei che appartengo all’Appennino. Appartengo a un territorio»

di  Flavia Amabile (da LaStampa.it)

14 marzo 2018

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In un libro Paolo Piacentini, presidente di Federtrek, racconta il suo viaggio a piedi dalla Liguria al Lazio tra paesi in abbandono e piccole storie di rinascita, e chiede ‘un patto tra città e campagna in cui i giovani recitino un ruolo fondamentale’ per salvare l’Italia.

E’una boccata d’ossigeno leggere una frase come questa dopo settimane di  una campagna elettorale dove il territorio è stato un magnifico assente e alla vigilia di un lungo periodo dove continuerà a esserlo. Il mondo dei social trabocca di razzismo, populismo e  maschilismo e intanto un pezzo d’Italia sta morendo nel disinteresse più totale con poche eccezioni come un libro appena pubblicato. Si intitola «Appennino, atto d’amore» (Terre di Mezzo). Lo ha scritto Paolo Piacentini, presidente di Federtrek, un convinto camminatore e profondo conoscitore delle montagne dell’Italia centrale. 

E’ il diario di un mese di cammino a piedi sugli Appennini, 900 chilometri, da Riomaggiore a Castel Madama, passando per Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Abruzzo fino ad arrivare nel Lazio. Il viaggio risale a nove anni fa ma è stato aggiornato in modo da fornire una fotografia attuale, tra abbandono e sporadica rinascita. 

Piacentini accompagna chi legge in un faticoso ma ammirato vagare; ci sono attività sull’orlo della chiusura, paesaggi devastati da fuoristrada e scelte economiche sbagliate ma anche il grande respiro di una terra capace di restituire una carica di energia a chi la sceglie.   

«Appartengo a una terra che ti dà molto e che ha bisogno di essere ricambiata con amore in termini di conoscenza e di cura – scrive – Uno dei mali del presente è il vivere senza la consapevolezza di essere parte della geografia dei luoghi in cui si abita (in Italia lo studio di questa straordinaria disciplina è stato quasi affossato)».  

Ci sono i luoghi del terremoto del 2016-17 che già prima della distruzione e dell’inefficacia delle scelte successive soffrivano dei mali della montagna italiana ma che ora sono in uno stato di profonda agonia. Ci sono i luoghi che hanno unito l’Italia per secoli e che ora rischiano di dividerla come in una drammatica metafora dei movimenti che si agitano nelle faglie sotto terra.  

Ci sarebbe una via d’uscita, spiega nel libro Paolo Piacentinim un patto tra città e campagna in cui i giovani possono e devono recitare un ruolo fondamentale”. Si tratta di «un progetto di ampio respiro, capace di sporcarsi le mani affrontando le contraddizioni del presente».  

E questa è una dichiarazione politica perché «la montagna non vota, ma fa sentire la sua presenza quando viene dimenticata e abbandonata. Dobbiamo avere le idee chiare: va detto con forza che la presenza dell’uomo, equilibrata, sostenibile e capillare, è fondamentale. Non ci può essere cura e manutenzione della montagna se il presidio umano non è diffuso; solo così la ricostruzione post sisma può non dimenticare le piccole frazioni, anche le più sperdute. In questo senso sono agli antipodi di chi teorizza e auspica la vittoria della natura selvaggia sull’uomo. L’Appennino è equilibrio tra uomo e natura e ogni metro della sua terra è permeato dalla storia umana, così come lo sono anche i territori interni alle aree protette». 

di  Flavia Amabile (da LaStampa.it)

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