• 11 Luglio 2018

“Signori, c’e’ un uomo sul tratturo!”

La cultura tra gente comune o con cravatta, in canotta e mutande

di Pierluigi Giorgio

11 luglio 2018

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L’occasione di aver ricevuto – con riconoscente gratitudine – sabato scorso il “Premio Nazionale Hombres Itinerante” alla carriera per l’attività svolta sino ad ora (che naturalmente non termina qui) , mi ha spinto a riflettere sul lungo percorso fatto a tutt’oggi, a ciò che è ancora da fare e a paralleli di comportamento rapportati a comportamenti di ben altra natura: semibuffa, direi.

Ho sempre avuto voglia, già nel passato, di rimescolami alle radici per comprendere e comprendermi in un’identità da recuperare e con l’esempio, tentare di essere umile specchio per altri dalle medesime motivazioni a volte a loro stessi ignote. Ho dato spesso – anche all’apice di un successo personale – strattoni e svolte alla mia vita, sino ad avvertire che di vita non me ne dava più, scegliendo cambi spesso non compresi da altri (il passaggio dallo spettacolo come attore, alla regia; la decisione di lasciare quell’ambiente e la città per il ritorno, il paese, la campagna), ma ho sempre ascoltato la voce del cuore che oggi più che mai so riconoscere e seguire, come d’altro canto, so individuare le mistificazioni.

Già trentadue anni fa, dovendo scrivere una storia sui tratturi, decisi che sarebbe stato meglio prima viversela: m’infilai gli scarponi, presi un bastone donatomi da un pastore, infilai nello zaino quel meraviglioso libro epico “Il Tratturo” di Franco Ciampitti – dimenticato o dai più ignorato – e mi avviai come su una sorta di cordone ombelicale a ritroso lungo le larghe vie erbose della transumanza, della guerra tra Sanniti e Romani, del pellegrinaggio, dello scambio commerciale.

Da lì, qualcuno coniò lo slogan: “Signori, c’è un uomo sul tratturo!” Compresi in quel momento, nelle soste e nei bivacchi, che -allontanandomi sempre più dagli ambienti convenzionali dello spettacolo e dai ruoli “a compartimento stagno”, dovevo mettere a disposizione e gratuitamente il mio lavoro, la mia tecnica a servizio di uno scopo, di una ragione utile: lasciare semi di riflessione sulla necessità -ad esempio in questo caso- di salvaguardare quei percorsi storici: proteggerli dall’invasione dell’asfalto, dalle eccessive concessioni agricole, dall’appropriazione indebita, dai troppi pali elettrici, telefonici ed ora dalle pale eoliche.

Proposi già allora, la possibilità di turismo slow, cultura, sport, lavoro per i residenti e per i giovani, occupazione futura. Incominciai a narrare, a raccontare, a leggere… Ciampitti, settantanovenne, lo venne a sapere e volle raggiungermi e condividere con me alcune soste. L’ultima tappa la ricordo in particolare, quando in lacrime mi abbracciò dicendomi di farne un film: lo accontenterò!… E poi il voluto incontro con la famiglia Colantuono e primo “civile” a condividere la transumanza con loro… Si, riportai la cultura (la narrazione) tra la gente comune offerta in un modo semplice, fruibile, comprensibile.

Trentadue anni dopo, oggi, in collaborazione con I Custodi del Territorio, la Pro-Loco di Santo Stefano, del Cai e di chi mi vuole, mi sono rinfilato quegli scarponi, ho ripreso -e con determinazione- il bastone come un’armatura: ho tra le mani di nuovo il libro di Ciampitti come fosse Bibbia e accompagno gruppi ai quali offro con la narrazione, suggestioni, imput, informazioni, pretesti per “vivere” il percorso, “esserci” e non solo camminare. Attraverso il recupero della suggestione, fascinazione, meraviglia, incanto quasi a sollecitare “quella parte bambina” accantonata o rimossa. Un canovaccio elastico di racconti che cambio a secondo del “respiro” delle persone. Dicono alla fine, che tornando a casa, ognuno porta con sé quasi in dono, il ricordo indelebile di una giornata diversa e il seme della riflessione.

Ben lungi dall’esperienza a cui si è malauguratamente sottoposti nei convegni, incontri letterari, salotti dell’intellighenzia locale, “gabinetti” del pensiero analizzante e della puzza sotto al naso (pur se fanno quelli alla mano) di coloro sempre “in cravatta” anche se solo -come io dico- in canotta e mutande. Saccenti, presenzialisti mai satolli, ghetti di elite selezionata, che godono delle parole elaborate, partorite, della loro masticazione, articolazione, fonetica con personale, abbondante autocompiacimento; lì dove il pubblico (il volgo snobbato) è preso in ostaggio mentre si abbandonano tronfi, beati e trombeggianti, all’ascolto dell’eco del loro stesso suono vocale, della forbita capacità dialettica, dell’appropriato uso di citazioni dotte.

E poi, gli scambi di favori: dalle presentazioni dei libri personali o al privilegio delle prefazioni di quelli appena editi… Gente che usa e poi rigetta! Che quando attinge dalle idee o dai suggerimenti altrui, li usa, se ne appropria, non ringrazia, divide il bottino e condivide incontri con la propria casta e poi -se glielo permetti- ti vomita! Si, proprio quelli che mi fan venire l’orticaria!!! Convinti detentori della cultura scesa in terra, distratti dal proprio ego gigante, non si accorgono della noia che suscitano e dei semicelati, pubblici sbadigli durante le loro reiterate masturbazioni cerebrali. 

Restando in tema, un consiglio per loro e ai politici che ci rappresentano (che dovrebbero rappresentarci!): lasciate per qualche volta i vostri “salotti” e venite sui tratturi a sudare, a calcare e a respirare l’aspro odore del letame. Dormite per qualche notte all’addiaccio con i pastori, ASCOLTATE, bevete alla stessa bottiglia e mangiate allo stesso piatto; infilate la brocca nel pozzo contadino e tirate su la rigenerante dose di UMILTA’ ! Vi assicuro un’esperienza che vi fiaccherà o resterà nella pelle. “Quando uno ha fatto il tratturo, non sa più camminare su altre strade!” scriveva Ciampitti.

di Pierluigi Giorgio

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