• 12 Luglio 2018

La città nella poesia e nella canzone d’autore

Un input per avvicinare alla poesia ed alla musica, ma anche di stimolare alla produzione creativa nel mondo globalizzato in cui viviamo in modo reale o virtuale

di Umberto Berardo

12 luglio 2018

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Abbiamo scelto il tema della città nella poesia e nella canzone d’autore, in quanto avvertiamo che esso è centrale, sentito, voluto, soprattutto, come vedremo, a partire da una certa epoca storica.

In realtà poeti e cantautori hanno per secoli preferito soggetti legati alla natura, alla persona ed alle relazioni umane.

Già Orazio espresse la propensione per i boschi e lo stesso concetto ritroviamo in Petrarca, mentre G. Leopardi immaginava una “Vita solitaria” e G. D’annunzio esprimeva la sua contrarietà per la vita in città che definiva addirittura funesta. 

Occorre attendere la seconda rivoluzione industriale perché la città entri con forza non solo nella poesia, ma anche nella canzone d’autore, nella pittura, nella scultura ed ovviamente nell’architettura.

Sicuramente in tale direzione nei componimenti poetici gioca già un ruolo importante il tema della relazione con il luogo natio, come avviene ad esempio in G. Carducci, G. Pascoli, A. Manzoni, U. Saba o C. Sbarbaro, ma a partire dall’esposizione di Londra del 1851 e da quella di Parigi del 1899 la città irrompe nel mondo della poesia e dell’arte con il totem della merce che per molti finisce per diventare il nuovo idolo da porre al centro della riflessione.

La città stessa diviene così un bene da consumare con pregi e difetti e cattura poeti e scrittori a partire dal simbolismo europeo di Baudelaire, Rimbaud o Verhaeren fino più tardi agli Scapigliati italiani come E. Praga o G. Camerana.

In Gozzano il rapporto con la città diventa lontano e sfuggente, mentre in Corazzini e Campana si entra nella tematica del paesaggio urbano passando dagli aspetti ossessivi alla costruzione di un vero e proprio sogno che sembra quasi concretizzarsi in Charles Bukowski nel componimento ” Una poesia è una città” dove scrive addirittura ” Una poesia è una città, una poesia è una nazione,

una poesia è il mondo …”. 

Con Beppe Panella siamo alla metropoli come spettacolo senza centro né periferia, mentre Alfonso Cardamone enuclea in ” ballata (della città) “,  il tentativo di ” smontare le città ” nelle ” precarie forme d’illusoria consistenza ” per ” puntare l’occhio disarmato a cogliere vendemmie sterili d’eventi “.

Come si vede il rapporto della poesia con la città non è stato né agevole e tantomeno conformista.

Oltre a descriverla nei suoi elementi di vita autonoma, i poeti ne hanno visto anche quelli aridi di solitudine, alienazione, spersonalizzazione individuale e disadattamento fino a cercare una loro trasformazione sconfinante appunto nel desiderio di qualcosa di diverso che si fa strada nel sogno.

È lo stesso sogno che esiste in talune correnti architettoniche che cercano il rimedio ad una modernità spesso sconcertante che ha sostituito in Europa le strutture urbanistiche rinascimentali con un avanguardismo talora mostruoso.

Suggerire una scelta di testi sul rapporto tra poesia e città è alquanto arduo e rischia di isolare talune  voci davvero importanti e degne di citazione; noi tuttavia proviamo ad indirizzare su poesie che hanno molto colpito l’attenzione comune.

Tentiamo allora, oltre ai testi già citati, di suggerire la lettura di “Ouvriers” di Arthur Rimbaud, “La città del mare” di Edgar Allan Poe, “Genova” di Dino Campana, “Il corso all’alba” di Emilio Praga, “Eli! Lamma sabacthani! … ” di Giovanni Camerana, “Torino” di Guido Gozzano, “La città” di Kostantinos Kavafis, “Trieste” di Umberto Saba, “L’ora grigioperla” di G. Villaroel, “La grande città” di Renzo Pezzani, “La città nemica” di Franco Fortini, “La città assente” di Santiago Mutis Duràn, “Dacri, la città del pianto” di Antonio Rubino.

Anche la canzone d’autore ha trovato nella città una fonte d’ispirazione davvero importante.

Qui i testi vanno da quelli romantici e spesso mielosi come “O Paese d’o sole” di Libero Bovio e Vincenzo D’Annibale, “O sole mio” di Capurro, Di Capua e Mazzucchi, “Santa Lucia lontana” di E. A. Mario (pseudonimo di Giovanni Ermete Gaeta), “Roma nun fa la stupida stasera” di Lando Fiorini, “O mia bela Madunina” di Giovanni Danzi e Alfredo Bracchi, fino ad altri impegnati su analisi articolate e complesse di natura sociale quali “Via del Campo” di F, De André, “Il ragazzo della via Gluk” di A. Celentano, “Com’é bella la città” di G. Gaber, “Luci a San Siro” di R. Vecchioni, “Napule é” di P. Daniele, “Una città per cantare” di Ron, “Caruso” di L. Dalla.

La tematica del paesaggio urbano e dei problemi correlati ha dunque attratto poeti e cantautori che hanno sicuramente contribuito a considerazioni sulla struttura dei luoghi, ma anche sui problemi connessi alle nuove relazioni umane negli agglomerati soprattutto delle grandi metropoli.

Il fine di queste riflessioni non è certo quello di analisi definite sul tema e tantomeno di pretese didascaliche quanto piuttosto di porsi come un input per avvicinare alla poesia ed alla musica, ma anche di stimolare alla produzione creativa proprio su un argomento che riteniamo di grande rilievo per l’impegno di poeti e cantautori sul territorio natio e più in generale sul mondo globalizzato in cui viviamo in modo reale o virtuale. 

di Umberto Berardo

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