Il medico che trascorre le ferie in un ospedale dell’Etiopia
Luciano Greco, molisano, è uno di quei medici che non va mai in vacanza
di moliseweb.it
9 novembre 2018
Luciano Greco ha gli occhi celesti come il mare quando è limpido e l’animo gentile. Sembra quasi un uomo di altri tempi, di quelli che partono per il fronte con uno zaino ricco di speranze. Che, poi, in realtà lui una battaglia la combatte. Luciano, infatti, nella vita fa il medico che non va mai in ferie. O meglio, che trascorre la maggior parte delle sue ferie in un ospedale in Africa.
“Dal 2008, mi reco ogni anno per circa tre settimane in Etiopia. Vado a fare il medico per chi mi paga attraverso un sorriso. L’ospedale in cui opero è situato in un villaggio del Tigrai e cura le persone gratuitamente. Per quanto riguarda il Molise, ad iniziare l’attività di volontariato in questo posto è stato Carlo Pietrantuono. Lui ha costruito materialmente la sala operatoria. Poi, di anno in anno si sono aggiunti altri come me. Tuttavia è sempre un’esperienza nuova, che cambia la scala dei valori. Impari quali sono quelli veri”.
E, riflettendo sui racconti di Luciano, è impossibile dire il contrario.
“Una volta, in un villaggio vicino a quello dell’ospedale, ho incontrato una signora molto anziana che aveva tra le braccia un neonato. Ad accompagnarmi c’era una collega del posto e mi disse che il bambino non sarebbe vissuto a lungo. La mamma, infatti, era morta e nessuno era disponibile ad allattarlo. Allora, ho pensato che avremmo potuto comprare una pecora dalla quale l’anziana signora avrebbe potuto prendere il latte da dare al bambino. Ora ha dieci anni, abbiamo salvato una vita con una pecora dal costo di 20 euro. Un altro giorno, invece, un signore è venuto in ospedale con una bambina. Lui non diceva niente e la bambina non si voleva far toccare. Dopo un poco abbiamo capito che la piccola aveva avuto l’asportazione del clitoride e che non stava bene. Durante la permanenza in ospedale, è stata sempre molto cupa ma l’ultimo giorno aveva un accenno di sorriso. È stato estremamente bello. Si tratta di piccole cose che non dimentichi mai”.
Parentesi di umanità che, forse, compensano qualsiasi fatica. “L’acqua non è potabile e l’elettricità non è stabile. In ospedale abbiamo messo noi il Wi-Fe ma prende solamente in un punto e non sempre funziona. Quando ancora non mettevamo internet, delle volte chiamavo ai miei cari in Italia dal telefono dell’ospedale e pagavo gli scatti. Una chiamata di cinque minuti mi veniva a costare 10 euro. Le persone del posto erano sbalordite dal fatto che io spendessi 10 euro per una chiamata. Per loro, infatti, equivalgono al compenso di diversi giorni di lavoro. Penso che tutti, almeno una volta nella vita, dovrebbero fare un’esperienza del genere”.
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