La cura dei luoghi
Oggi non si aiuta più il territorio a resistere alle avversità climatiche. E questo diventa anche un preoccupante problema democratico
di Rossano Pazzagli (da lafonte.tv)
14 gennaio 2019
“I luoghi sono come le persone. Bisogna volergli bene, rispettarli e curarli quando occorre. Non servono grandi opere, ma interventi continui e diffusi che accarezzino la natura e tengano in efficienza le opere dell’uomo: che si tratti di edifici, di ponti, di strade o di altre infrastrutture, bisogna sapere che la loro durata non è eterna e che richiedono un costante monitoraggio e una necessaria manutenzione. Le grandi opere sono, anzi, nemiche del bene. Concentrare l’attenzione su di esse significa indebolire l’ impegno verso la salvaguardia del territorio, che è la risorsa più preziosa, specialmente in un paese come l’Italia, dove l’ incontro tra natura e uomo ha prodotto nel corso dei secoli e dei millenni un paesaggio bello ma fragile, resistente ma sensibile ai cambiamenti climatici e antropici, esposto alle grandi calamità naturali – come i terremoti e le alluvioni – ma anche alle continue manomissioni a cui lo abbiamo sottoposto nel tempo, una pressione crescente che ha raggiunto il suo apice nella seconda metà del ‘900.
Calamità naturali e dissesti idrogeologici sono eventi sempre più frequenti e catastrofici. Mettono a rischio la vita delle persone e impongono costi economici e sociali pesanti per le comunità colpite e per l’intero Paese. Ad ogni stagione si verificano alluvioni, incendi, frane, crolli e altri incidenti, spesso provocando tragedie umane e danni ambientali ed economici rilevanti. Si fa strada l’impressione di un’Italia che crolla. Lungo le coste, come nei terreni agricoli, avanza l’erosione, fino al fenomeno estremo della desertificazione dei suoli; le falde idriche si abbassano o si inquinano, le città sono sovente a rischio ambientale, così come il vasto e diffuso patrimonio culturale del Paese, di cui il paesaggio rappresenta lo specchio fedele, con danni enormi anche per l’economia turistica. Si tratta nel complesso di danni incalcolabili sul piano ambientale, culturale ed economico. Questi danni, che quasi ogni anno interessano varie località, non possono essere spiegati soltanto con l’eccezionalità delle piogge, peraltro normali nella stagione autunnale, o con l’argomento generale del cambiamento climatico, rispetto al quale l’uomo sarebbe impotente. Essi sono innanzitutto la conseguenza di modificazioni apportate al territorio, che lo hanno reso più fragile e impreparato: urbanizzazione di luoghi a rischio idraulico, abbandono del territorio rurale, cementificazione delle co- ste, costruzione di tunnel e parcheggi sotterranei, ecc. Anche quando le cause dei fenomeni sono naturali, i loro danni sono enormemente accresciuti dalla maggiore vulnerabilità del territorio. Per questo diventano sempre più catastrofici. C’è una crescente disattenzione per l’interesse collettivo e la manutenzione del suolo e del paesaggio. Oggi non si aiuta più il territorio a resistere alle avversità climatiche. E questo diventa anche un preoccupante problema democratico, come testimonia la protervia di alcuni poteri centrali o locali quando, spinti da interessi particolari o “superiori”, rifiutano di dare la parola alle popolazioni interessate tramite referendum o altre forme di partecipazione su progetti di opere che stravolgono i luoghi.
Il cambiamento climatico è certamente un tema di grande rilievo a livello planetario; ma è anche evidente che oggi è il territorio a non tenere, a non sopportare più i picchi di piovosità, ad essere maggiormente esposto agli incendi, ad impedire il normale assorbimento delle acque a causa della impermeabilizzazione dei suoli, ad essere divenuto più fragile dal punto di vista idrogeologico. Vuol dire che il territorio è stato reso più vulnerabile da uno sviluppo poco attento alle questioni ambientali e da progetti dissennati. E la natura si prende talvolta le sue vendette, e continuerà a prendersele in futuro se si continua a sovraccaricare il territorio, sempre più somigliante a un povero asino che si sfianca sotto il peso di some troppo pesanti. Vi sono evidenti responsabilità delle istituzioni e dei progettisti, ma anche dei cittadini, che hanno perso il gusto della cura di ciò che hanno intorno, abbagliati da uno stile di vita individualista e consumistico. Di conseguenza occorre rafforzare le politiche pubbliche di governo del territorio, destinarvi più risorse e chiamare anche i privati ad una maggiore cooperazione nella difesa del suolo e del paesaggio, educando alla cura e alla solidarietà, ad una visione collettiva e pubblica del patrimonio territoriale, verso una ritrovata coscienza dei luoghi. La cura del territorio, con la manutenzione di quello che già c’è, è la vera grande opera di cui avrebbe bisogno l’Italia.
di Rossano Pazzagli (da lafonte.tv)