• 24 Gennaio 2019

L’Argentina e l’italiano – 2

Il destino della lingua italiana in Argentina e i risultati della sua fusione con lo spagnolo

di Paola Giunchi

24 gennaio 2019

Back  

Pubblichiamo con piacere e per concessione dell’autrice uno studio di Paola Giunchi, (1986), L’Argentina e l’italiano, «Italiano e oltre», il destino della lingua italiana in Argentina e i risultati della sua fusione con lo spagnolo – Seconda Parte

2. Il cocoliche

Se riflettiamo sul fatto che si è trattato dell’unico caso in cui la componente della popolazione immigrata ha quasi triplicato quella locale, già in gran parte oriunda europea, e se consideriamo che una buona metà degli argentini d’oggi hanno origini italiane, non ci stupiremo di scoprire che l’Argentina sia il paese più italiano dell’America del Sud.

Il primo risultato che si manifestò a livello linguistico come tentativo di avvicinamento ed integrazione dei nostri emigrati al nuovo ambiente, fu l’instaurarsi di un ibrido in cui il lessico dello spagnolo parlato in Argentina si espandeva gradualmente nel sistema morfosintattico italiano. Sin dai primi momenti del loro arrivo i nostri connazionali, la maggioranza dei quali soprattutto sino al 1914 non condividevano tra loro una lingua standard comune, nella necessità di comunicare con i nativi ed anche con gli altri emigrati, svilupparono un sistema aperto a base mista che fu in seguito denominato dagli argentini cocoliche.

Tale fenomeno si manifestava nella tendenza, del tutto naturale in un contesto di emigrazione, ad acquisire le forme lessicali quali nomi, aggettivi e radici verbali dello spagnolo e trasferirle in una versione semplificata e ri-dotta nel sistema morfosintattico della lingua madre, in molti casi il dialetto.

Diversi furono i motivi che impedirono al cocoliche di pidginizzarsi, ossia di acquisire caratteristiche di uniformità e stabilità. Innanzi tutto, benché la situazione che lo produceva si rinnovava costantemente con l’arrivo di nuovi emigrati dall’Italia, non sussistendo forti barriere sociali nella società ricevente, le possibilità di avvicinarsi sempre più alla competenza comunicativa dei parlanti nativi furono ampie. Inoltre, poiché come si è detto una buona parte degli emigrati italiani, soprattutto quelli che arrivarono in Argentina prima del 1914, non disponevano una lingua standard comune a tutti, non si creò un unico cocoliche, ma bensì una grande varietà di versioni regionali e spesso individuali.

Nel determinarsi di questa varietà di continua o più propriamente di interlingue oscillanti tra i diversi dialetti, l’italiano e lo spagnolo locale, in particolare il portelo di Buenos Aires, parlato dai nativi della capitale, molta influenza ha avuto il transfert tra la lingua degli emigranti e lo spagnolo, e la grande coincidenza dei rispettivi sistemi concettuali. Infatti, la mancanza di una barriera concettuale, tra l’italiano e lo spagnolo ha determinato la formazione di una serie illimitata di sistemi aperti, ed innovativi per quanto concerne il lessico, ma alquanto prevedibile a livello fonologico e morfo-sintattico. Pur nella sua estrema instabilità e varietà, il cocoliche si distingue inconfondibilmente per l’insorgere del meccanismo della fossilizzazione (soprattutto a livello fonologico) e di processi di interferenza che hanno dato esito a fenomeni tipici e ricorrenti, sempre imputabili alla relativa similarità tra le lingue degli emigrati e lo spagnolo. Le tracce più marcate del cocoliche, ben presto messe in ridicolo dalla società ricevente, sono l’utilizzazione della labiodentale sonora del sistema fonologico dell’italiano /v/, totalmente assente nello spagnolo, invece della occlusiva bilabiale sonora /b/ e l’utilizzazione della occlusiva velare sorda /k/, invece della fricativa velare sorda /x/, assente nell’italiano e quindi difficile da produrre. Questo fenomeno di riduzione e semplificazione del sistema dello spagnolo sulla base dell’italiano, spiega le forme caratteristiche della lingua dell’emigrante che deformava conejo «coniglio» [conexo] in coneco [koneko]; ojo [oxo] «occhio» in oco fokoi; joven «giovane» [xoven] in coven [koven]. Quando l’intera forma lessicale in italiano era molto simile e quindi poteva agevolmente essere compresa dall’ interlocutore argentino, essa veniva trasferita tout court senza alcuna modificazione come amico per amigo, dovia per debia, viene per vien. Ma l’elemento più stigmatizzato socialmente dai parlanti nativi era la scarsa competenza nell’uso del fonema /s/ presente come marca morfologica del plurale, delle desinenze del verbo ma in distribuzione diversa all’inizio e all’interno di parola. Nel cocoliche si registrava una tendenza generalizzata a omettere la -s in posizione finale; e ad enfatizzarla all’interno di parola, fenomeno di ipercorrettismo quest’ultimo che si verifica anche tra i parlanti nativi di classe medio-bassa. Costanti erano quindi forme del tipo vamo per vamos, va per vas, do per dos, lo chico per los chicos e espero per [espero] mosca per [mohca]. Questi errori tipici e ricorrenti mar-cavano socialmente il modo di parlare dell’emigrante e lo degradavano agli occhi dei nativi. Le sue caratteristiche vennero a costituire gli elementi distintivi del modo di esprimersi dell’emigrante italiano, utilizzati dalla stampa e dal teatro popolare argentino.

Il modo goffo e approssimativo di parlare lo spagnolo dell’emigrato che tentava di comunicare con i parlanti nativi, suscitava ilarità e benevola ironia nell’opinione pubblica e venne sfruttato nel giornalismo e nelle diverse forme letterarie popolari: il sainete, il teatro grottesco, i versi del tango. Il termine cocoliche, con cui abbiamo definito l’ibrido nato dalla fusione tra le lingue degli emigranti, ossia i diversi dialetti e lo spagnolo parlato in Argentina ed in Particolare a Buenos Aires, deriva proprio dal nome di un personaggio comico di un sainete.

Il sainete, genere del teatro popolare di derivazione spagnola ma ampiamente modificato in Argentina e diffuso sino agli anni Trenta, è una sorta di commedia dell’arte con un canovaccio e ruoli fissi ma lasciato all’improvvisazione degli attori. In uno di questi atti unici molto popolari in Argentina il ruolo comico era appunto affidato a Cocolicchio, un emigrante calabrese che si rende ridicolo per il suo atteggiamento ed il modo di esprimersi. Cocolicchio, da cui per adattamento in spagnolo cocoliche, compie ogni sforzo per integrarsi nel nuovo ambiente e nel tentativo di emulare il gaucho, modello di comportamento della società contadina locale, commette una serie di errori che lo rendono goffo agli occhi del pubblico.

Il pasticcio con cui Cocolicchio, al cui comportamento maldestro corrisponde un modo di esprimersi inadeguato, fonde dialetto e argentino diviene il simbolo di diversità che caratterizza la lingua dell’emigrante. Cocoliche è il modo di vestirsi, di atteggiarsi e quindi di esprimersi di chi diverge dalle norme imposte e condivise dalla società.

Nella letteratura popolare che ne rappresenta la situa-zione, l’emigrato si muove negli ambienti che la società dominante ha emarginato: i compadritos ossia i guappi nativi di Buenos Aires, donne di facili costumi e malavitosi. Sfondo pressoché fisso delle loro vicende così nel teatro popolare come nella musica e più esattamente nel tango è il conventillo, la versione argentina dei caseggiati popolari delle nostre città del nord, contraddistinti da ballatoi da cui si accedeva ai singoli alloggi e da un grande cortile. In questo agglomerato urbano di case di origine coloniale trasformate in abitazioni per accogliere le grandi masse di emigrati in condizioni di degrado e povertà molto simili a quelle del paese di provenienza, i nostri connazionali cercarono il loro primo inserimento nel nuovo ambiente dei nostri primi connazionali nel paese più italiano dell’America Latina, è certo che già nel 1607, quindi proprio nel periodo in cui la regione del Rio de La Plata iniziava a popolarsi, a Buenos Aires tra i 600 abitanti censiti oltre 50 provenivano da città e paesi della penisola, ed in particolare da Genova e Venezia. Possiamo quindi affermare con certezza che sin dal primo popolamento l’estesa provincia in cui si trova la capitale, fu meta di naviganti, commercianti ed esploratori italiani. Per molti evidentemente si trattò di un viaggio di sola andata, a giudicare dalle colonie che via via si andarono formando sia sulla costa che all’interno, prima fra tutte la prospera colonia dei marinai liguri di Buenos Aires.

La netta predominanza dei genovesi, trova conferma nei dati ufficiali del primo censimento degli stranieri residenti a Buenos Aires del 1804. Dagli archivi storici in cui sono trascritti i dati relativi alla provenienza, occupazione e condizioni economiche dei censiti, risulta che ben 96 erano nativi italiani: 54 dichiararono di essere genovesi, mentre i rimanenti, in ordine decrescente, indicarono il Piemonte, il Regno Napoletano, l’arcivescovato di Milano, Roma, Venezia, l’Emilia e la Sicilia come loro patria d’origine. Tra essi ci furono anche 15 che, in una sorta di patriottismo ante litteram, si dichiararono semplicemente italiani.

Ciò che forse sorprenderà è che i circa cento italiani emigrati erano distribuiti tra le più svariate classi sociali: commercianti, impiegati, operai, artigiani, braccianti, professionisti ed artisti. In genere prevaleva la tendenza a lavorare da soli o a unirsi ad altri provenienti dalla stessa regione. Negli atti del censimento i loro nomi compaiono già ispanizzati: i vari Giovanni, Stefano e Vincenzo furono registrati come Juan, Esteban e Vicente. Ma non è dato stabilire se ciò manifestasse una loro intenzione di naturalizzarsi argentini e di sentirsi parte integrante della loro nuova patria o se piuttosto non si sia trattato di un adattamento avvenuto nella trascrizione da parte degli addetti che raccoglievano i dati sugli stranieri residenti a Buenos Aires.

La presenza italiana in Argentina che come si è visto vanta radici molto antiche per un paese così giovane, ha assunto proporzioni molto rilevanti nel periodo che va dalla seconda metà del secolo scorso alla prima di quello attuale. Il caso argentino ha costituito un fenomeno uni-co, nel senso che in nessun altro paese del Nuovo Continente l’emigrazione ha mai superato così di gran lunga la popolazione locale. Osservando i dati relativi all’afflusso di emigranti in Argentina nel periodo compreso tra il 1871 e il 1930 ad esempio, si può vedere che gli italiani superano gli spagnoli in tutta la prima fase, addirittura triplicandola nel decennio 1881-1890. Oltre ad essere la più massiccia in senso numerico, l’emigrazione italiana ha costituito anche la componente più significativa, contribuendo in modo determinante alla formazione dell’attuale società argentina.

(Continua)

di Paola Giunchi

Back