Diario di una camminata
San Polo e la chiesetta smarrita
di Pietro Scocca – fb
11 febbraio 2019
Io, Chiara e Vincenzo, il suo papà, siamo amanti della natura e delle lunghe passeggiate. Insieme ne abbiamo intraprese diverse, alcune anche particolarmente impegnative, e quasi tutte culminate sul crinale di uno dei tanti monti molisani.
Ieri pomeriggio, per sfuggire al torpore delle grigie giornate invernali e alla claustrofobia delle nostre case, che durante questo periodo sembrano inspessire i propri muri nel tentativo di abbracciarci, con l’annessa sensazione di soffocamento che talvolta ne diviene, abbiamo deciso di fare una passeggiata naturalistica a San Polo Matese.
Il borgo di San Polo è estremamente vicino al nostro capoluogo, e dopo aver superato poche curve a gomito, ci si ritrova ai suoi piedi. Con le sue quattrocento anime e poco più, il paesino si presenta quasi disabitato al visitatore, ma non per questo privo di fascino: il centro storico si arrocca sulla parte apicale dell’abitato, dal quale spicca una piccola chiesetta più volte rimaneggiata. Caratteristica del borgo e delle rocce circostanti sono i reperti fossili che vi si incontrano, con impronte di conchiglie e altri esseri abissali, ombre di un mondo passato che si è ritirato da queste terre.
Appena giunti nella piccola piazzetta con annesso fontanino, Vincenzo, grazie alle sue peculiari doti oratoriali, nonché alla sua naturale socievolezza, attacca bottone con due simpatici anziani del posto, i quali ci indicano la strada per raggiungere la chiesetta di S. Maria (spero di ricordare bene il nome), meta del nostro viaggio.
“Saranno poco più di quattro chilometri. Sempre dritto, non potete sbagliare”.
Quattro chilometri sembrano pochi alle orecchie di un atleta da tapis roulant, ma Vincenzo, dall’alto della sua lunga esperienza di camminatore montano, ci mette in guardia: “Forse ci conviene guadagnare un po’ di terreno in macchina, visto l’orario e il dislivello del tragitto che ci attende”.
Ma io e Chiara siamo stati temprati dai venti chilometri percorsi tra le brulle montagne intorno a Campitello, con oltre mille metri di dislivello. Dissentiamo, siamo convinti che ce la faremo senza grossi inciampi.
Iniziamo a salire di buon passo: ad ogni metro l’aria si fa più fine, gli alberi sembrano i guardiani del tempo, i prati, le pozzanghere, il silenzio sospingono i nostri sforzi. Il silenzio rotto puntualmente dal nostro amabile chiacchierare, dalla simpatia contagiosa di Vincenzo, dalla Grazia di Chiara.
Siamo in cammino da oltre un’ora e mezza, e della chiesetta nemmeno l’ombra. Cominciamo a dubitare di aver intrapreso la giusta strada.
Il sole, già fiaccato dalle velate ma consistenti nubi, s’abbassa insaziabilmente all’orizzonte. Ci fermiamo su una delle panchine che un signore del posto ha amorevolmente intarsiato di aforismi sulla bellezza e sul rispetto della natura. Dividiamo a spicchi una non troppo saporita arancia, e decidiamo di proseguire ancora per un po’. I panorami mozzano quel poco di fiato che rimane dopo ogni sospiro, la chiazze di neve congelata cominciano ad accompagnarci e ci ricordano che siamo in pieno inverno anche se la giornata è calma ed asciutta.
Dopo aver superato le miniere di manganese, ci addentriamo in un fitto boschetto tutto marrone, ma il giorno si fa sempre più breve, il sole impietoso è sparito dietro il profilo del monte, e la paura di aver sbagliato direzione ci consiglia di tornare sui nostri passi e ridiscendere al paese. Per di più Vincenzo, scherzando, dice a Chiara che da un momento all’altro potrebbe comparire un branco di lupi. E lei, che agli scherzi crede bene fino ad un certo punto, non se lo fa ripetere.
Arriviamo a San Polo quando è ormai buio. Siamo felici, nonostante tutto: abbiamo camminato tanto, respirato aria buona, riempito gli occhi di natura per lo più incontaminata, le orecchie di silenzio e parole buone.
Sostiamo ancora un attimo al piccolo baretto dirimpetto alla piazza prima di ripartire. Una mezza birra noi, un biscotto al cioccolato lei, e la compagnia dell’affabile proprietario del locale, un giovanotto ben piazzato e alto il mio doppio, con gli occhi scuri e aperti al dialogo, al quale facciamo vedere la foto del boschetto dove abbiamo deciso di rigirarci. Ci svela che a poche centinaia di metri avremmo trovato la fantomatica chiesa, non più grande di una cappelletta privata ma assai cara agli abitanti del luogo, che ne venerano la Santa e la raggiungono a piedi ogni cinque d’Agosto.
Più di tutto rimpiangiamo di non esserci potuti abbeverare all’attigua fonte; ma poco importa, sarà l’occasione per tornare.
Per questa sera rincasiamo più sereni, più stanchi, più affamati. Più appagati.
di Pietro Scocca – fb