Il malocchio di zia Maria
I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre
di Vincenzo Colledanchise
26 aprile 2019
Da piccolo abitavo vicino alla casa di Zia Maria. Perennemente vestita di nero, scheletrica e alta, mi incuteva soggezione e paura. Nelle lunghe sere d’inverno mi raccontava favole e filastrocche. Storie di briganti, di fate, di orchi, di streghe, di lupi mannari, di “mazzamarille”, venivano narrate da lei a tutti i bambini del vicinato, forse con intenti pedagogici, per farci stare buoni perchè finiva sempre col minacciare “altrimenti la strega prenderà anche a voi”.
Ad una curiosa concezione magico-superstiziosa si collegava tutto quel mondo di favole e di leggende di zia Maria, ma rari erano anche quei nonni e genitori che non usavano tali forme di suggestione.
Quando ci ammalavamo come primo rimedio i genitori ci mandavano da zia Maria. Allora le malattie nei bambini erano abbastanza numerose e frequenti, ed anche la più lieve indisposizione faceva stare in ansia l’intera famiglia.
Tutte le malattie erano imputate al “malocchio” e in funzione di questa diagnosi curate da zia Maria. Ci si poteva ammalare ed eventualmente morire di “malocchio” diceva lei.
Per combattere il “malocchio” bisognava “incantarlo”, diceva. Prendeva un piatto contenente dell’acqua, faceva la croce recitando, ogni volta che si toccava la parte superiore del piatto, la formula di rito.
Dette le parole, lasciava cadere tre gocce d’olio nell’acqua del piatto; se quest’olio si scioglieva, Zia Maria era certa che si trattava di “invidia”, altrimenti no. Allora si metteva a recitare salmi strani con toni minacciosi. Se il “malocchio” non scompariva neanche con questo “contramalocchio” Zia Maria diceva che doveva trattarsi di un “malocchio ferrato” ossia “malocchio” fatto da una persona che aveva con sé un oggetto di ferro. Seguivano altri riti ancora più tenebrosi.
Io, durante quei riti magici, avevo paura, perché si nominavano insieme santi e streghe. Soprattutto ero convinto che la vera strega era lei: Zia Maria.
di Vincenzo Colledanchise