Categorie errate e sicurezze egocentriche
La Terra si è come divisa tra Paesi votati almeno in parte al progresso, alla democrazia e alla giustizia sociale e altri condannati dall’egoismo umano
di Umberto Berardo
29 aprile 2019
Il secolo scorso nella prima metà è stato attraversato da odiose dittature e spaventosi conflitti di livello mondiale che hanno significato per l’umanità un arretramento pesante nella condivisione dei valori di libertà e di uguaglianza tra gli esseri umani.
Pur permanendo vincente un’ideologia neoliberista legata all’imperialismo, al neocolonialismo e alla soggezione dell’altro per motivi economici legati al proprio incondizionato arricchimento, nel secondo dopoguerra al contrario, almeno nel mondo occidentale, abbiamo assistito indubbiamente a un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro per la popolazione, anche se questo è avvenuto a danno dei poveri e degli abitanti di altri continenti sfruttati in maniera indegna per il benessere di una minoranza.
La Terra si è come divisa tra Paesi votati almeno in parte al progresso, alla democrazia e alla giustizia sociale e altri condannati dall’egoismo umano e dal tradimento delle classi dirigenti locali alla miseria e alla fame.
Con il processo della globalizzazione, che molte sirene davano come un sistema certo di miglioramento del benessere generalizzato, in realtà abbiamo assistito a un’involuzione della tradizione democratica, alla precarizzazione del diritto al lavoro, a una delocalizzazione selvaggia del processo produttivo, alla distruzione dell’agricoltura biologica per incentivare quella industriale delle multinazionali, al deterioramento di un’etica condivisa, all’aumento della violenza, del terrorismo e del crimine fino al processo incontrollato di fenomeni migratori che altro non sono se non la fuga da condizioni di vita intollerabili verso la speranza di un’esistenza accettabile per sé e per la propria famiglia.
Le categorie con cui la politica sta affrontando tali questioni sono desuete e talora pericolose per la convivenza.
La destra parla alla pancia di un elettorato spesso fuori da ogni cognizione di causa e propone soluzioni che appaiono apparentemente vincenti come le chiusure dei confini, la repressione violenta dei reati e una fondamentale xenofobia nei rapporti interetnici.
Ecco allora i decreti sicurezza e quelli sulla legittima difesa che rafforzano e incentivano pulsioni razziste i cui esempi si stanno moltiplicando come appare chiaramente dalle cronache quotidiane.
Abbiamo assistito in questi giorni perfino al tentativo di banalizzare o mistificare in forma negazionista e demagogica il valore della giornata del 25 aprile come festa di liberazione dalla dittatura e dal totalitarismo nazifascisti.
La sinistra o quello che di essa è rimasto si muove a livello empirico e istintivo spesso scimmiottando criteri di analisi e di soluzione ai problemi che nulla hanno a che vedere con il rispetto della dignità delle persone e con la ricostruzione di un tessuto sociale in grado di assicurare un’esistenza decorosa a ogni essere umano.
I partiti che incarnano tale componente politica hanno finito per condividere le logiche della finanziarizzazione dell’economia allontanandosi sempre più da quella parte della popolazione esclusa dal godimento dei diritti civili, sociali e politici.
Un pezzo consistente di quella che molti definiscono come l’elite del mondo intellettuale appare chiaramente orientato dal vento neoliberista che sembra ormai spingere in modo impressionante le politiche di destra nella stragrande maggioranza dei Paesi del mondo.
Sono i soggetti che ispirano provvedimenti legati all’egoismo del “prima…” con il ritorno al sovranismo degli Stati nazionalistici e alle chiusure incondizionate dei confini come se non fossimo tutti abitanti dello stesso pianeta ma di una parte di esso dove chiudersi al proprio benessere egoistico escludendone chiunque altro.
C’è ancora chi si rifugia nel mondo dei confronti spesso polemici e perciò stesso sterili dei social network o ancora in quelli più riservati dei contatti via mail.
La convinzione è quella d’incidere in tal modo nel cambiamento del costume e dei comportamenti mentre spesso si finisce solo nel pettegolezzo e nella dietrologia fine a se stessa.
L’atteggiamento più negativo è infine quello di chi si chiude in angoli di egocentrismo quali possono essere l’interesse personale, familiare, imprenditoriale e di gruppo.
Creandosi alibi di ogni sorta, in questo caso ci si accomoda nel caldo rassicurante del proprio salotto uscendone magari con dichiarazioni di principio, esaltate dai mezzi di comunicazione di massa, cui tuttavia non fa seguito uno stile di vita conseguente ma solo un’ipocrisia declamata per nascondere poi comportamenti esistenziali e politici inaccettabili.
Dominano allora anche gli escamotage dei sistemi di distrazione di massa occupandosi di temi d’importanza marginale per sfuggire ad altri o nascondere questioni di rilievo fondamentale.
Rispetto al benessere di pochi plutocrati e di una borghesia sempre più in difficoltà c’è il ceto dei salariati e soprattutto del precariato, angustiato dalla disoccupazione, dall’inoccupazione e dalla povertà, cui, se vogliono ancora avere un ruolo, sindacati e forze politiche devono rivolgere lo sguardo in una politica d’inclusione cui si è rinunciato da anni.
Mobilitare nelle rivendicazioni tale popolo molto eterogeneo e anche disperso sul piano elettorale non è cosa facile, ma questo fondamentalmente è il compito di una sinistra che non può e non deve rinunciare a gestirne i problemi.
Per questo è davvero importante che finisca la rinuncia all’impegno diretto nella politica come servizio lasciando erroneamente che in essa si esprimano solo professionisti interessati, portaborse e clienti sempre più impegnati a costruire feudi elettorali.
Rispetto al pensiero unico del “politicamente corretto” occorre che ciascuno di noi esca dalla ricerca delle sicurezze personali per trovare nel pensiero divergente, fuori da algoritmi pericolosi e imposti dalle plutocrazie finanziarie, soluzioni adeguate ai problemi degli esclusi dai diritti e coerenti con il principio della giustizia sociale.
Nella giornata del primo maggio sono questi a nostro avviso i temi che il mondo del lavoro deve porre con forza a chi coordina il movimento sindacale e le forze di quella sinistra che per troppo tempo li ha dimenticati.
di Umberto Berardo