Quando i panni si lavavano al fiume
I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre
di Vincenzo Colledanchise
7 maggio 2019
Prima che in paese arrivasse l’acquedotto nel 1961, era una gioia quando la mamma mi proponeva di accompagnarla al fiume dove avrebbe lavato i nostri panni sporchi.
Munita di ampia conca, posta sulla testa con la “spara” per sopportarne meglio il peso, ci portavamo lunga la ripida discesa della Ripitella per raggiungere il fiume, nei soliti posti dove l’acqua scendeva lenta e dove le grandi “lisce” di pietra permettevano strofinare quei panni consunti dallo sporco.
Era uno dei luoghi d’ incontro e di lavoro più frequentati. Lontano o vicino che fosse, veniva raggiunto dalle donne di buon mattino. In quell’acqua fredda e pulita si portavano a lavare tutti i panni accumulati, a volte, per settimane.
Io l’aiutavo, portando il canestro con il pesante sapone scuro e quadrato, fatto in casa con il grasso del maiale, soffice ed abbondante. Nell’altra mano, portavo la “mappina” della colazione e la ciotola d’acqua, quantunque a volte bevevamo anche in alcuni rivoli isolati, la stessa acqua di fiume.
Le donne sistemavano il lavatoio con pietre su cui inginocchiarsi ad una ruvida, ma non troppo, su cui passare i panni, qualcuna preparava la “lisciva” (una soluzione acquosa ricavata dai componenti solubili della cenere) con la quale questi ultimi venivano trattati.
Quelle poche postazioni di lavaggio erano molto ambite, per cui vi era sempre ressa in alcuni tratti del fiume. Era, quello del lavare i panni al fiume, rito antico ed oneroso, ma reso piacevole dallo scambio fra le donne, di ogni tipo di pettegolezzo: vaghe voci di amori e tradimenti o semplici battute per ridere.
Inevitabili liti accadevano per accaparrarsi il cespuglio o le piante di salice che si trovavano nei dintorni per distendere ed asciugare al sole il bucato.
Una volta lavati i loro panni, madide di sudore, lavavano se stesse, esponendo le loro nudità con circospetta prudenza perché i curiosi non mancavano lungo il fiume.
A sera le donne, con i panni piegati, asciugati e posti in cesti portati sulla testa, inebriate dal profumo profondo di acqua e sapone da essi emanato, riprendevano la strada del ritorno in paese.
Qualcuna più stanca, carica dei panni ancora umidi, per l’irta salita si aggrappava alla coda di un asino per alleviare la sua fatica.
di Vincenzo Colledanchise