Il paese molisano che non muore grazie alla street art
Dal 13 al 16 giugno, torna il Cvta’ Street Fest un’originalissima rassegna di street art che vuole salvare l’antico borgo di Civitacampomarano. E ci sta riuscendo
di A.C. La Terra
21 maggio 2019
In arrivo, dal 13 al 16 giugno, la quarta edizione di un’originalissima rassegna di street art che rivitalizza l’antico borgo di Civitacampomarano, meno di 500 anime in provincia di Campobasso, grazie all’opera in real time di artisti di livello mondiale. Organizzato da Alice Pasquini, il Cvta’ Street Fest vedrà cimentarsi sulle mura dei palazzi del paese cinque street artist da tutto il mondo.
Milu Correch, una graffitista argentina nota per i suoi murales e le immagini su larga scala che plasmano un mondo senza limiti o codici scritti; Martin Whatson, artista di strada norvegese conosciuto per i suoi scarabocchi calligrafici in vuoti in scala di grigi; Add Fuel, alias Diogo Machado, artista visuale e illustratore portoghese dedito a lavori di taglio ironico su pannelli di piastrelle, murali dipinti su stencil di grandi dimensioni ed edizioni stampate; Jan Vormann, ricercatore, docente e membro fondatore dei T10 Studios di Berlino, lavora spesso con la Lego e ha creato il progetto dispatchwork, fondato su pezzi di costruzione in plastica usati per riparare e riempire buchi nelle pareti rotte; e infine, dall’Italia, quelli dello Studio Aira, le loro opere sono paesaggi multisensoriali che centrifugano video, grafica, luce, suono, architettura, interattività.
E non solo arte: non mancheranno eventi di musica, cinema, letteratura ed enogastronomia. Un progetto di riqualificazione fortemente voluto e sostenuto dalla comunità locale
La storia di questo festival è emblematica, e segna un’ideale controtendenza rispetto allo spopolamento che affligge queste parti del Molise abbandonata dai giovani. È la storia dell’arte che prova a risollevare un paese in via di estinzione. L’arte che combatte con le sue armi di bellezza e pace il degrado di un’Italia troppo spesso rimossa e svilita.
Era il 2014 quando Alice, osannata street-artist con oltre 2000 opere realizzate in tutto il globo, ricevette una lettera dalla Proloco di questo paesino ormai quasi completamente disabitato, ma pur sempre la sua terra natia. «Alice, fa’ qualcosa, qui stanno scappando tutti» il grido di allarme contro la progressiva diminuzione della popolazione autoctona. Sfida accettata e vinta. Con l’impegno fattivo (e a titolo gratuito) di tanti colleghi della ragazza, star ai quattro angoli del pianeta, e al ritorno d’immagine che ne è conseguito, sono stati aperti esercizi commerciali, si sono insediati nuovi nuclei familiari e migliaia di visitatori si apprestano a cogliere ogni anno “in diretta” la fantasia grafica degli artisti ospiti, sotto lo sguardo benevolo e complice degli abitanti.
Un tripudio di suoni, colori e sapori nei vicoli suggestivi del borgo dove nacque e visse lo scrittore, storico e giornalista Vincenzo Cuoco e che ispirò, per il suo castello angioino, Alessandro Manzoni nel raccontare i luoghi dell’Innominato. Il castello è il simbolo massimo: svetta imperioso nel lato più alto di Civitacampomarano, su una collina di arenaria già in precedenza occupata da un insediamento sannitico. Il nome del castello e del paese rimanda alla probabile esistenza di proprietà terriere di epoca romana (Campus Maurunus). Il castello angioino fece da sfondo a uno degli episodi di tradimento più macroscopici durante i conflitti fra angioini e aragonesi per la conquista del Regno di Napoli: per le sorti della battaglia, si rivelò determinante la decisione del capitano di ventura Paolo di Sangro, al soldo degli angioini, che nel momento cruciale passò con i suoi uomini dalla parte degli aragonesi al grido: “Aragona, Aragona!”. Per il suo tradimento, Paolo ottenne come ricompensa diverse proprietà, tra cui quella di Civitacampomarano.
Questo minuscolo centro adagiato a 520 metri sopra il livello del mare, su un imponente sperone tufaceo al centro del cosiddetto Vallone Grande. Intorno la montagna appenninica, ricca di boschi, sorgenti, laghetti e ruscelli. Il momento-cardine della sua storia c’è stato tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo. In quel periodo superava i tremila abitanti, e non mancava davvero nulla: ospedale, tribunale, scuole superiori, due parrocchie, diverse confraternite, un monte frumentario, l’ufficio del registro e quello di leva. Dal 2011 fa parte dell’associazione nazionale dei borghi autentici d’Italia.
di Maurizio di Fazio (da vanityfair.it)