• 11 Novembre 2020

Una felicità mai avuta

Giuseppe Zio, medico e scrittore, ci regala un racconto sul tempo del Covid, una narrazione avvincente che mescola felicità e dolore, speranza e fragilità

di Giuseppe Zio (da quartadimensione.eu)

11 novembre 2020

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Era stato felice in quei giorni…di una felicità mai avuta. L’aveva sentita prima che arrivasse, quella mattina, e mentre, dopo una corroborante doccia, prendeva il suo caffè, la moglie lo sorprese con un sorriso sbieco sulle labbra.

– Che cosa hai stamattina? Ti vedo diverso!

– Niente…è solo che ho riposato meglio e il sonno profondo ha aiutato i miei sogni a farsi belli.

Non aggiunse altro. Salutò sua moglie e partì per il suo giro consueto che lo portava sulle strade di tutta la costa. Finiti il quotidiano cercare contrade e le sue visite, come ogni mattina si fermava al posto di benzina per fare rifornimento. Scherzò con Domenico mentre metteva alla sua macchina il gasolio e volle fermarsi per un pezzo di pizza e una bevanda che, a quell’ora di mezzo, ci stavano sicuramente bene. Oramai non badava più alle trasformazioni del suo corpo e non rinunciava ai piccoli piaceri che il buon cibo di sempre lo accompagnava.

Quella mattina era di buonumore e vide acceso il computer delle giocate. Pensò tra sé che forse sarebbe stato bello se la felicità, che lo aveva sorpreso al mattino, potesse continuare con una bella vincita.

Si avvicinò allo sportello e chiese di giocare la sua cinquina di numeri che ricordavano giorni di nascite di figli e di moglie, le età e gli anni significativi della propria esistenza. La signora gli consegnò la ricevuta e si mise ad aspettare i cinque minuti dell’estrazione. Non c’era aspettativa o speranza…c’era solo una strana e serena attesa, come quando si è sul ciglio della strada, durante il Giro d’Italia, ad attendere con pazienza e per ore che passi il proprio campione o la maglia rosa.

“E tu vai che io aspetto Bartali…da quella curva spunterà quel naso triste di italiano allegro.” Si sorprese a cantare quella vecchia canzone di Paolo Conte. Era da tempo che non la sentiva ma per uno strano scherzo del destino, quel mattino riaffiorò nella sua memoria come quando si scoprono in soffitta vecchi mobili coperti con le lenzuola per non farli impolverare. Ma, appena tornati alla luce, ti fanno capire che ci sono sempre stati.

Era lì felice ad attendere e il tempo passava sentendo il suo sommesso canticchiare di labbra.

Tornò a dare la ricevuta alla signora che la infilò per sapere come era andata. Tutto successe in un momento lunghissimo, Quasi eterno. Le orecchie non sembravano ancora accettare le parole di stupore che la venditrice di speranze gli stava dicendo: “Ha vinto, dottore, una rendita per tutta la vita che le porterà più di due milioni di euro!”

“E’ vero o si sta prendendo beffe di me?”- rispose la mia voce prima che lui me ne accorgessi e potesse fermarla. La felicità lo teneva intrappolato in un mondo che sembrava un film in bianco e nero.

“E’ tutto vero dottore! Guardi qua! Lei ha infilato l’intera cinquina e il numerone!”

Un altro attimo di benefico spavento che ancora lo portava a barcollare. Si appoggiò al bancone per sorreggersi e incominciò ad avere coscienza di quella felicità che si era anche annunciata.

Il primo istinto fu quello di prendere il telefonino e chiamare sua moglie, ma poi decise di presentarsi a casa con la ricevuta e farle una sorpresa. Tanti guai e tanti mutui sarebbero finiti. Avrebbe potuto pensare ad una casa più grande e più bella, come l’avevano sempre immaginata. Avrebbero fatto dei viaggi e aperto qualche attività. Pensava a tutto questo quando si accorse che aveva percorso quei pochi chilometri che lo separavano da casa. Da quel momento la felicità si trasformò in un abbraccio e si trasmise a sua moglie e ai loro figli. Non c’erano discorsi completi ma balbettii e risate smorzate. Ognuno cercava di mettere dentro a quella felicità inedita i propri sogni. Invitò la moglie a ad andare a mangiare del pesce nel ristorante di un amico, che non frequentava da anni. Volle pregustarsi quella mezza giornata senza alcun pensiero, senza alcun progetto.

La serata passò come tante a guardare sereni un vecchio film in bianco e nero.

Quella felicità c’era ma non li aveva un granché cambiati. Almeno sembrava. Eppure uno strano calore si era impadronito del suo corpo e l’accompagnò per tutta la notte. Ebbe caldo e si scoprì delle coperte in quell’Ottobre che aveva già da tempo aperto le porte ad un duro inverno.

La mattina dopo quel calore era lì, come se quella felicità del giorno precedente avesse voluto mostrasi ancora in quel modo. Non ci fece caso e come sempre ripartì per i suoi giri nei paesi della costa, sapendo oramai che quella vita sarebbe durato ancora per poco.

Tornò a casa e si compiacque del fatto che tutti avevano oramai assunto quella felicità in modo statico e normale, come se tutto quel ben di Dio, che risolveva tutti i nostri problemi, era stato sempre un loro diritto.

Solo lui continuava ad avere questo strano calore addosso.

Passò un altro giorno e, svegliandosi, sentì ancora quel calore, a cui si era aggiunto qualche colpo secco di tosse. Ma tutto sommato poteva ancora andare a lavorare. Che strano: ogni volta che sognava di diventare ricco, si riprometteva di lasciare all’istante quella vita. Eppure adesso voleva andare a lavorare e in qualche modo già ne sentiva l’assenza, ma non voleva darlo a vedere. In fondo un uomo felice e milionario non poteva dare a vedere che gli mancasse il lavoro!

Ma quella sera torno più stanco e più accaldato del solito e gli sembrava che avesse da boccheggiare.

– Hai le gote rosse e sembri febbricitante – gli disse la moglie appena lo vide rientrare, mostrando un velo di apprensione.

– Non preoccuparti… questa è la felicità che fa alzare la febbre! – le disse convinto che non fosse nulla se non una reazione alle emozioni degli ultimi due giorni.

Ma il mattino dopo non riuscì ad alzarsi dal letto per la debolezza che lo stava prendendo per tutto il corpo e, inoltre, si aggiunse un forte senso di oppressione al petto.

– Sicuro di star bene?

– Non preoccuparti… ho solo bisogno di un po’ di riposo e oggi posso pure fare a meno di mettermi in macchina. Anzi da oggi darò le dimissioni e non farò più questo lavoro. Adesso possiamo scegliere quando lavorare, non ti pare?

– Va bene ma io per sicurezza chiamo il nostro medico, il Dott. Gervaso e non pensare che adesso tu la possa fare franca.

Due giorni dopo era ancora a letto ma da un’altra parte: in un reparto ospedaliero di Rianimazione. Tutti giravano attorno a lui con tute e maschere e con guanti, tanto da non riuscire a vedere il volto dei medici e degli infermieri che si prodigavano attorno a lui e ad altri malati. Tutti isolati come dentro ad un bunker dove si combatteva una strana battaglia contro un nemico invisibile e subdolo. Con quel poco di lucidità che la scarsa ossigenazione del suo cervello cercava di capire, di ricordare dove avesse preso il contagio e non riusciva a focalizzare altro che il momento in cui si era fermato al bar della stazione di servizio dove aveva giocato i suoi numeri vincenti. Era lì che la svolta della sua vita era arrivata inaspettata insieme al virus. Sorrise amaro e pensò che almeno, se fosse mancato, lo avrebbe fatto con quella inedita felicità con lo ha accompagnato in tutti quei giorni.

di Giuseppe Zio (da quartadimensione.eu)

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