• 11 Dicembre 2020

EDIZIONE 2001 – LE IMPRESSIONI DEI MARCIATORI

 

VIVERE IL MOLISE PER VIVERVI MEGLIO

Dall’otto all’undici agosto è stata realizzata la settima edizione di ‘Cammina, Molise!’, i cui obiettivi possono sintetizzarsi nell’espressione ‘Vivere il Molise per vivervi meglio’.
Anche quest’anno ‘Marciatori coraggiosi’, nel numero di 130/140 unità, affrontano quotidianamente, per quattro giorni, dai 10 ai 24 chilometri di percorsi variamente accidentati, allo scopo di scoprire una parte del territorio molisano. Provengono da varie regioni d’Italia ed alcuni anche da paesi stranieri; sono giovani e meno giovani che, fedeli all’appuntamento di agosto, si ritrovano in numero crescente di anno in anno, per conoscere nuove caratteristiche fisiche e socio-culturali del Molise.
E’ una regione piccola il Molise e poco conosciuta che racchiude tesori di bellezza nei tanti Comuni che, di giorno, si fanno ammirare arroccati sulle rocce come sentinelle vigili ed intaccabili e, di notte, acquistano il fascino del mistero, segnando l’oscurità di luci e delineando l’andamento ondulato delle alture. Sembrano luoghi lontani, inaccessibili, senza vita, eppure sono ormai collegati da strade asfaltate e raggiungibili attraverso sentieri antichi che tagliano vallate, seguono gli antichi tratturi o le curve di livello delle alture, quelli percorsi dai Marciatori di ‘Cammina, Molise!’; sono abitati da una popolazione anziana e da pochi giovani, volitivi e imprenditivi, i quali con caparbietà continuano a vivervi, per perpetuarne la vita, perché ne riconoscono le potenzialità e la dimensione sociale più umana, quella che si ricerca da parte di chi vive nel caos dei grandi centri.
Sono paesi che hanno resistito nel tempo attraverso complesse vicende millenarie, da cui sono segnati nella differenziazione etnica, gastronomica, culturale.
Conservano la forza e la resistenza dei Sanniti, la mentalità feudale di potere e di rassegnata servitù, la tenacia degli emigranti, l’intelligenza acuta che caratterizza la capacità organizzativa dei contadini e che distingue intellettuali e professionisti, molti dei quali sono costretti a trovare altrove spazi di affermazione.
Hanno risorse che, adeguatamente utilizzate, potrebbero segnare il salto di una qualità di una regione che si pone in alternativa con realtà geografiche compromesse da mali sociali ed ambientali, offrendo l’esempio di una vita semplice, non sofisticata, il contatto con un ambiente naturale sano, quello che dà una carica di energia, di fiducia, di ottimismo, il gusto di vivande e bevande genuine, per i quali la definizione di biologico, oggi tanto inflazionata, non si lega alla moda del momento e ad una pubblicità ossessionante, ma è radicata nell’arte alimentare ereditata dai padri e rispettosa dei lenti processi ciclici della Natura.
Colletorto, S.Giuliano di Puglia, Bonefro sono i paesi della prima tappa, collocati in un terreno sostanzialmente produttivo, i cui abitanti si distinguono per un apprezzabile spirito d’iniziativa, per un’operosità costruttiva nella conduzione di aziende agricole moderne e nel saggio utilizzo dei mezzi tecnologici.
Montelongo e Montorio accolgono i marciatori, nella seconda giornata, in un contesto di festosa accoglienza, mostrando come in piccole realtà sia possibile vivere in amicizia cooperando gioiosamente per renderle più ospitali e tutelarne il decoro; Casacalenda e Larino completano la seconda tappa in una cordiale cornice che racchiude segni storici notevoli ed un fermento culturale teso a valorizzare le risorse locali.
Palata, Acquaviva Collecroce, Montefalcone rendono la terza tappa particolarmente interessante: il gruppo folcloristico ‘la Palatisella’, formato da alunni di scuola media, dà brio all’accoglienza e mostra come il retaggio delle antiche tradizioni possa rafforzare il legame con la propria terra e garantirne la sopravvivenza; molto forte negli Acquavivesi il senso di appartenenza alle origini croate, come si evidenzia nell’appassionata narrazione delle vicende storiche e nel bilinguismo manifesto in tutte le insegne; particolare la posizione di Montefalcone, raccolto sulla sommità di un’altura da cui la vista spazia lontano nella vallata del Trigno e verso i massicci monti dell’Abruzzo.
Salcito e Pietracupa accolgono i marciatori con la leggerezza di un aria purissima che dà benessere e con testimonianze storiche interessanti. La contrada Cappiello di Duronia conclude la tappa con un’accoglienza favolosa e con l’indimenticabile esibizione del gruppo folkloristico ‘lo Scacciapensieri’.
Un attestatodi ammirazione e di ringraziamento per la perfetta organizzazione va all’Associazione ‘La Terra’ di Duronia, a ‘Italia Nostra’ sezione di Isernia, all’Associazione insegnanti diGeografia, sezione Molise, all’Assessorato alla Cultura della Regione Molise e dalla Provincia di Campobasso, alle Comunità montane ed alle amministrazioni comunali, inoltre ai tanti sponsor che hanno dato un sostanziale contributo per la realizzazione di un manifestazione degna di nota.
All’Architetto Giovanni Germano l’augurio di persistere in iniziative che stanno dando dei frutti e che sicuramente lasciano una carica di vitalità nei Marciatori, ma anche negli Amministratori e negli abitanti dei paesi attraversati.

di Enza Santoro Reale


UN VIAGGIO, PER IL CAMBIAMENTO

Egregio architetto,
grazie!
Da ben sette anni, con il “Cammina, Molise!”, la cui organizzazione le richiede immenso lavoro, ci fa cosa veramente gradita.
Il viaggio che si propone, proprio perché a piedi, ci procura attesa e tensione per la ricerca di posti nuovi, e poi tanta sorpresa e tanto stupore.
Nel viaggio, proprio perché attraversiamo i luoghi della diversità, abbiamo l’opportunità di fare una pluralità di esperienze che ci consentono di ritrovare noi stessi, ma anche e soprattutto il desiderio di cambiamento.
Cambiamento, si intende, nel senso che tutti si riappropino delle proprie radici, che tutti operino per lo sviluppo socio-economico e culturale della regione, che tutti si adoperino per aiutare i giovani a superare lo stato di disagio in cui versano.
La CRISI in cui versa la regione, certamente, non è una situazione chiusa a qualsiasi soluzione; essa se accettata e affrontata con coraggio è occasione di crescita e di apertura di “libertà”.
Se sono stata chiara, avrà inteso il Viaggio come metafora del cambiamento e noi viandanti come i protagonisti.
Ognuno faccia la sua parte.
Nel mio cammino quotidiano di insegnante sono accompagnata, costantemente, da ciò che scrisse J. Saramago: “Il viaggio non finisce mai: Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria… Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre.”
Con la speranza che qualcosa cambi, arrivederci all’ VIII Edizione e, di nuovo, grazie!!!.

di Erminia Di Marzo (Campobasso)


ANCHE QUEST’ANNO E’ ANDATA

Graziati dal tempo e dalle temperature, accolti senza troppo entusiasmo dai paesi attraversati, salvo qualche eccezione.
E che dire delle “cibarie”? Meno calorie senz’altro, ma più calore tra i partecipanti. (Vedi brindisi dei “mesi” a Colle dell’Orso, ecc..) Posso permettermi un consiglio? Pur preferendo i percorsi difficili e lunghi ritengo opportuno che siano ridotte le lunghezze ( e in qualche caso le difficoltà) delle camminate, per renderle “accessibili” a tutti o quasi. Se vogliamo inserire nel programma un bel trekking sostanzioso, che ci impegni per tante ore, rinunciamo alle soste pranzo e armiamoci di viveri “al sacco”, per qualche volta saluteremo un paese in meno, ma sarà bello lo stesso cominciare a finire le giornate in festa.
E poi se le guide dicessero meno bugie? Le bugie hanno le gambe corte, perciò non “marciano” bene.
E se Michele e Giovanni provassero a essere pastori più “grintosi” per le loro pecorelle? C’è poca disciplina e quasi nessuno rispetta gli orari! E se invece di riservare i rimproveri sempre ai “primi” si provvedesse a sollecitare i lumaconi di coda? Magari inserendo nel Kit una scatoletta di compresse energetiche! Scherzi a parte io mi ritengo abbastanza soddisfatta e mi impegno a reclutare nuovi marciatori come ho già fatto quest’anno, portando tra le file di “Cammina, Molise!” la Legambiente di Roma, della quale sono felice di far parte.
Un ultimo suggerimento: (sono troppi?) se vi è possibile anticipate la manifestazione ai primi del mese, poiché molti hanno dovuto rinunciare per non “spezzare” le ferie!

Ciao a tutti e grazie!

di Erminia Di Marzo (Campobasso)


QUELLI DEL “CAMMINA, MOLISE!”

Nell’ora più infuocata dell’assolato meriggio il gruppo di marciatori si presentò alle porte del borgo molisano, silenzioso e deserto, cominciò a prepararsi per un ingresso festoso e trionfale, tra un ondeggiare di magliette verdi.
Se per i neofiti del “Cammina, Molise! 2001”, (quest’anno non troppo numerosi) l’apparato e la parata, con tanto di cavalieri e di musica, destavano qualche visibile segno di stupita emozione, gli altri, i veterani delle passate edizioni, ostentavano la sicumera di chi sa come va a finire la festa e già pregustavano l’incontro con i paesani, il discorso del sindaco a la simpatica abbuffata doviziosa di prodotti locali.
Diciamolo, in verità, chi è tornato anche quest’anno non lo ha fatto per ripetere un rito, per filmare una sagra e nemmeno, forse, per lasciarsi suggestionare da atmosfere conviviali altrove impensabili. Per chi è tornato c’è una motivazione in più che ti spinge a passare sopra i limiti organizzativi, il caldo e la stanchezza.
Fra questi marciatori, i veterani in particolare, c’è chi non ha particolari legami con il Molise, forse c’è chi soffre non poco nel doversi accontentare di una dieta a base caciocavalli e sopressate in piena estate, e c’è chi magari preferirebbe alle colline spoglie di vegetazione, sulle quali ci siamo inerpicati quest’anno, le fresche faggete di altre montagne appenniniche. Eppure torna, perché?
Sta di fatto che non si torna in Molise per caso: ci si prepara anche dal punto di vista atletico, ma in particolare dal punto di vista psicologico perché il copione è quasi sempre lo stesso, ma il modo di viverlo è diverso. Insomma i veterani sono quelli che non mollano e che con un’espressione non felice, che ci riporta alle tenzoni politiche, ne rappresentano lo zoccolo duro. Sono loro i nuovi arcadi, i transumanti senza gregge, i viandanti in “goretex”, i messaggeri di una buona novella suggestiva ed impalpabile, i sognatori di sempre. Potevano andare alle Maldive, ma all’esotismo ed al villaggio turistico e globalizzato hanno preferito una vacanza diversa (ammesso che si possa chiamare vacanza rilassante il resistere per ore sotto il sole e riuscire ad arraffare un panino, gentilmente offerto dalla pro loco di turno, sottraendolo al compagno di avventura più imbranato). Goliardia e tensione ideale!
Se si può usare una parola piuttosto impegnativa hanno fatto una scelta di campo, anzi di tempo: in agosto si va in Molise, per ritrovare sé stessi, quegli degli anni passati e qualcuno di nuovo, per arricchire un’esperienza, che cresce nel proprio cuore, anche se pesa sulle gambe.
Il fatto è che ci siamo lasciati alle spalle lo stereotipo del vacanziere, curioso e superficiale, avido e goloso, che tutto vuol vedere, ma che alla fine risulta abbastanza impreparato a confrontarsi ed a capire la realtà culturale, che incontra.
Già la cultura, parola nella quale sempre si inciampa. Per usare un’espressione di Ivan Illich è una di quelle parole di plastica, che talvolta danno prestigio a chi le usa, ma che più spesso banalizzano il linguaggio. Ma i marciatori ormai lo sanno (o dovrebbero saperlo): il piatto che viene loro servito è troppo vario, ricco e condito. Perciò hanno imparato che in una stessa giornata debbono muoversi, senza soccombere, tra le dotte argomentazioni geografiche del professor Lucarelli, i discorsetti ben confezionati dei sindaci, le dissertazioni archeologiche e quelle sui tratturi, gli incontri, mai casuali, con pastori ed agricoltori…oltre il resto. E questo non è cultura?
Ma il merito, oltre le critiche, ce l’hanno, gli organizzatori del “Cammina, Molise!” perché hanno scoperto (con che grado di consapevolezza?) che l’importante è far vivere ai partecipanti un’esperienza personale, che si articola in vari momenti ed in diversi gradi di valore. L’importante è che queste attese e aspettative vengano soddisfatte. Rimangono sullo sfondo (anzi nel sottofondo) quelle che dovrebbero essere le motivazioni ideali e cioè il progetto “vianovista”, il messaggio di risveglio e di rinnovamento delle terre molisane, che dovrebbero scuotere mente, cuore e coscienza dei marciatori. Quelle possono aspettare? Non lo so, per ora godiamoci la festa in questi paesi incantati, che non tollera malinconie e che rappresenta essa stessa un’aspettativa da soddisfare.

di Silvio Vitone


LA FINE DI “CAMMINA, MOLISE!” SAREBBE UNA JATTURA

Caro architetto,
Le rinnovo i ringraziamenti per l’idea del “Cammina, Molise!” e per la grande cura ed impegno usati da Lei e dai Suoi collaboratori nel realizzarla. Anche quest’anno è stato un grande successo, da voi d’altronde ben meritato.
Ancora una volta sono rimasto incantato dalla bellezza dei luoghi visitati, dal loro grande valore storico ed artistico e dalla calda ospitalità degli abitanti. Grazie ancora.
Un timore: sono già diversi anni che si svolge questo bel programma. Poiché il Molise non è infinito, non capiterà che si interromperà per avere ormai esaurite tutte le località visitabili?
Sarebbe una iattura, poiché ormai è abitudine mia portare, dopo il “Cammina, Molise!” la famiglia e qualche altro amico della mia città Trieste a vedere i luoghi precedentemente da me visitati a piedi. Così anche quest’anno siamo tornati a Bonefro, Casacalenda, Larino, Palata e Pietracupa.
Spero proprio non vi stanchiate di organizzare questo programma negli anni futuri.

di Alberto Alberti (Trieste)


QUATTRO GIORNI TRA I PIU’ BELLI DELLA MIA VITA

Cari organizzatori di “cammina, Molise!”,
da 12 anni visito l’Italia una o due volte l’anno: una città per volta, con incursioni nella campagna circostante.
Ma torno sempre in Spagna con una certa insoddisfazione. Nipote di viticoltori borgognesi, il contatto con la terra e i contadini è per me essenziale. Eppure nei viaggi turistici, ci sono le città da vedere con i loro tesori culturali, i paesaggi; la campagna però si scorge dietro un vetro, tranne qualche breve ed occasionale sosta.
Da quando ho saputo che avrei partecipato alla vostra Marcia (grazie all’invito dell’amico Angelo), mi sono allenata nelle pianure sivigliane. Sono quindi arrivata al raduno di Colletorto con un senso d’angoscia: quanti colli da vincere, mio Dio!
Ma questi quattro giorni sono stati tra i più belli della mia vita. Fra di voi, ho trovato gentilezza, educazione, comunicazione, cultura, allegria, amicizia, cooperazione, spiritualità, gastronomia, serietà. In questa scuola di volontà e malgrado la brevità della manifestazione, mi sono fortificata fisicamente e moralmente in contatto con le buone qualità dei partecipanti alla marcia.
Toccare la vostra bella terra per ore con i piedi, con i polmoni pieni d’aria pulita, mi ha fatta sentire parte di lei. Del Molise conoscevo solo Antonio Di Pietro… adesso, non saprei dire per quale miracolo mi sento un po’ molisana. E’ un po’ mia (scusate) questa terra gialla e verde, ondeggiante e con le creste coronate di paesini ad esse aggrappati, per me tutti uguali, ma che voi riconoscete da lontano, da un particolare che mi sfugge; quanta pace dà all’anima questa bella armonia delle sue forme! L’ho toccata e l’ho mangiata, questa terra diventata cibo sulle tavolate attrezzate artisticamente dalle meravigliose e sorridenti donne molisane.
Non finirei mai di vantare i tesori accumulati nella mia memoria durante questi quattro giorni, così pieni da sembrarmi settimane.
Mi resta solo che felicitarmi per la vostra fantastica iniziativa e per la buona organizzazione della Marcia in Molise. Vi ringrazio ancora per avermi dato la possibilità di conoscere al vostra terra.

di Dominique Vaillant (Siviglia – Spagna)


MILLE LIRE…PER RITORNARE NEL MOLISE

Lungo le stradine del centro storico le porte delle abitazioni, a piano terra, presentavano in piedi o coricata una bottiglia di plastica piena d’acqua. Alcuni camminatori cercavano di darne una spiegazione razionale. Era comunque difficile capirne il vero recondito significato. Avevo intuito, però, che ci doveva essere un intendimento scaramantico-magico e funzionale. Ma quale? Quando, però, sei emotivamente interessato al filo degli aspetti marginali dell’esistenza del tessere e valorizzare il cammino sognante della vita, la sorte ti aiuta a captare luoghi, presenze, persone e messaggi che ti guidano ad ampliare la conoscenza della umanità e quindi di te stesso.
Essa ti illumina. Lui era lì. Sicuramente settantenne, in pigiama, canotta e pantofole, in piedi lungo la stradina pavimentata in pietra richiamato dalla caccavella, dalla “tammorra”, dall’organetto e dal canto dei camminatori. Capelli bianchi all’insù. Occhi celesti, intelligenti di uno che ha studiato ed anche sofferto. L’ho salutato. Senza presentazioni con nome e titoli, mi ha invitato ad entrare nella sua casa antica, dignitosa, arredata con essenzialità ultracinquantennale. Si avvertiva che era uno scapolo. La voce all’interno non proveniva dal televisore, ma da un vecchio apparecchio radio forse è perché l’immagine – video disturba la capacità di attivare visioni. Come fa, invece, la magia del sonoro. “Le bottiglie piene di acqua le mettono per impedire ai cani e ai gatti di pisciare davanti alla porta d’ingresso”. L’affermazione mi risultò rispettosa del modo di pensare, del portamento e del carattere degli altri. “Ma non ve ne so dare spiegazione. Se lo fanno significa che funziona”.
Subito, notata la mia capacità all’ascolto, mi ha raccontato di quando giovane idealista, seguì la strada e i sogni della Repubblica di Salò. E tutti i guai subiti di conseguenza. Il ritardo per conseguire la laurea e l’essere stato esaminato all’Università da professori, ex suoi colleghi studenti dal destino più fortunato. Senza recriminazioni! Vittima degli eventi! Forte e dignitoso!
Perciò ritornerò nel Molise!
Peppino e Mario e le altre signore cominciarono a portarci tutte le specialità gastronomiche del paese e quindi avere grandi attenzioni per noi tre seduti e senza tavolo. Erano molto premurosi ed affettuosi. Non volevano che il grande e spontaneo senso di ospitalità potesse apparire appannato. Lo capimmo subito. Tavoli non ce n’erano più. Portarono un capace vassoio. Me lo poggiarono sulle gambe pieno di ogni ben di Dio. Giuseppina, interessata all’arte sacra, e Maria, la dolce e grintosa saracena, sceglievano e mangiavano insieme a me. I bicchieri di vino venivano subito riempiti. Oramai gli amici ospiti s’erano passati la voce. Tutti ci portavano qualcosa. Pino, il ballerino canterino di tango, cominciò ad esibirsi. Anche Mario ballava molto bene. Simpatici ed ospitali.
Perciò ritornerò nel Molise!
La grande pietra era cava! All’interno veniva usata come chiesa. Era stata utilizzata in passato come tribunale dell’Inquisizione. Lì dentro, dopo un processo sommario, venivano immediatamente impiccati gli inquisiti. Sui sedili di legno conficcati nella pietra ascoltavamo il racconto di un alto e robusto prete. Colto e passionale. La pietà aleggiava nell’antro illuminato da finestre a bocca di lupo e da lampade a luce artificiale. La sofferenza dei torturati e dell’umanità si concretizzava in un Cristo di legno mancante di una gamba e di mezzo braccio appeso alla volta penzoloni con una catenella come gli inquisiti impiccati senza croce. Il Cristo l’aveva trovato lui, il prete, in una discarica. L’aveva recuperato alla visione degli uomini. La ruota di un mulino a vento fungeva da altare. L’aveva fatta portare lì. Il suo racconto affascinava. Ogni tanto faceva affermazioni in favore degli oppressi e dei diseredati. Non per mestiere. Lo sentiva profondamente dentro il suo animo.
Perciò ritornerò nel Molise!
Il sole picchiava forte sul tratturo largo 111 metri. La paglietta bianca proteggeva la mia testa.
Al ristoro all’aperto ho mangiato poco. Solo pane e pomidoro. Cercavo un po’ d’ombra. L’ho trovata in una cappellina dove c’era l’effige di una madonna “oliva speciosa in campis”. Sentivo il dolce suono di un flauto. Allucinazione sonora per il caldo? No!
Lo stava suonando lui, il camminatore Alberto, con l’occhio attento allo spartito. Silenzioso mi sono seduto sull’inginocchiatoio. Lui rivolto verso l’altare, io verso l’ingresso con la visiera del cappello sugli occhi per proteggermi dalla violenta e abbagliante luce dell’esterno. Non si era accorto della mia presenza e continuava a suonare! Al termine ho con discrezione applaudito. E’ rimasto sorpreso. Io non sono invece rimasto sorpreso quando ho sentito suonare la stessa melodia nella chiesa-caverna al termine del racconto del prete.
Perciò ritornerò nel Molise!
Ci stavamo infilando, uno alla volta, in un vicolo strettissimo. Una persona di spalle più ampie non riusciva ad attraversarlo. Gli zaini ci davano fastidio. Una donna ci offriva pomidorini rotondi e freschi, saporiti e ricchi di acqua. Subito dopo si è avvicinata un’altra donna anziana che si appoggiava con la mano destra ad un bastone. Dal pugno della sua mano sinistra sporgeva discretamente il lembo di una mille lire. “Figli miei non ho niente da darvi. Prendete questa!”
I due che mi precedevano l’hanno guardata trasecolati. Pensavano ad una elemosina e si sono allontanati meravigliati. L’ho chiamata. “Zia, ti ringraziamo. Ma non abbiamo bisogno di questi soldi. Teneteveli per voi. Vi prego!” E’ andata via pacata. Senza rispondere. Mi sono mortificato. Ho sbagliato. Non le abbiamo dato la possibilità di farci un dono. Forse il più prezioso. Orgoglio. Maledetto orgoglio! Perdonaci prete! Perdonaci Cristo appeso nella caverna.

Perciò ritornerò nel Molise!

di Luigi Fucci


 STORIA DI UN VIAGGIO, VIAGGIO NELLA STORIA

Mi domando perché ad agosto di quest’anno ho sentito il bisogno di mettermi a camminare per 4 giorni, insieme con altre 120 persone, raggiungendo alcuni paesi del Molise, di cui non avrei mai immaginato l’esistenza e che non avrei mai incontrato nella vita, se non scrutando una sia pur particolareggiata carta geografica.
Penso che la motivazione fondamentale sia quella umana e sentimentale di stare insieme ad amici cari ed a persone che condividono gli stessi ideali di vita, dando un senso alla propria storia e scoprendo quella comunità e dei paesi Molisani e Sanniti, di cui si vuole preservare l’integrità culturale e favorire uno sviluppo compatibile con le risorse effettive del territorio.
Il bello di questo viaggio “Cammina, Molise! 2001” è stato quello di lasciarmi trasportare dalla corrente casuale degli incontri con le persone ed i vari conoscitori ed esperti del posto, senza mai perdere le spiegazioni botaniche – economiche – storiche del saggio itinerante, mitico, Prof. Lucarelli, già conosciuto nel 1995 e 1997.
Scoprire alcuni segreti della storia di Collotorto, di S. Giuliano di Puglia, Bonefro, Casacalenda, Larino, Pietracupa e l’esistenza di comunità Croate nel Molise è stato come aprire uno scrigno ed immagazzinare tesori di conoscenze:
storia Romana, Longobarda e Angioina, usi e costumi, frammenti di archeologia (vedi i mosaici romani della città di Larino e la facciata del Duomo).
L’immagine pittorica dei tratturi, come autostrade del passato che consentivano all’economia agropastorale di prosperare e sopravvivere, rimane scolpita nella mente solo se dentro i tratturi ci cammini e ne sai riconoscere il tracciato orografico ed i relativi confini.
Ma la storia dei tratturi è storia dei nostri antenati, è la storia delle nostre radici contadine, di cui forse a volte ci vergogniamo, ormai inseriti irreversibilmente nella cultura urbana piccola e medio-borghese.
E, non far conoscere le nostre radici ai nostri figli, credo che sia un misfatto culturale molto dannoso perpetrato a loro sfavore.
Pertanto mi domando in che cosa abbiamo fallito, se nel corso di questo viaggio, su 120 camminatori, i partecipanti giovani erano costituiti solo da un simpatico dodicenne e da una signorina di 21 anni.
Dove erano i giovani? In che cosa stiamo sbagliando? A quali fattori dobbiamo attribuire la loro assenza?
Sono quesiti seri sui quali dobbiamo interrogarci con preoccupazione.
Forse siamo irrimediabilmente vittime del colonialismo culturale anglosassone, ma noi cinquantenni dobbiamo intestardirci a non far scomparire i nostri dialetti meridionali, perché sono ricchi di parole greche, latine, longobarde, spagnole, francesi e quindi custodi di una storia millenaria.
Altrimenti, il famoso fotografo italoamericano Tony Vaccaro, i cui genitori erano di Bonefro e che è stato testimone dello sbarco in Normandia per la U.S. Army, nonché interprete poliglotta, non avrebbe potuto salvare dalla fucilazione un contadino che aveva tagliato i fili del telefono dell’Armata Statunitense in un “vallone”, per legare le proprie mucche agli alberi e tentare di salvarle dalle battaglie della II guerra mondiale.
Incontrare a Bonefro Tony Vaccaro è stato come vedersi materializzare un pezzo importante della storia Europea, di cui lui è stato documentatore fotografico ufficiale e vi assicuro che ho sentito forte il desiderio, stringendogli la mano, di ringraziarlo per aver contribuito a liberare l’Europa e il mondo intero dal possibile, tragico, dominio della dittatura nazitedesca.
Sarebbe stato brillantissimo ed interessantissimo un dialogo, al riguardo, tra Tony Vaccaro ed il Professore molisano di Duronia Giancarlo D’Amico che insegna italiano a Caen ( in Francia) presso l’Università di Normandia e che, purtroppo, quest’anno non ha potuto partecipare con la sua simpatia alla camminata.
Ma l’operazione culturale che Tony Vaccaro ha voluto compiere è stata quella, finita la guerra, di tornare dall’America a Bonefro sulle tracce della propria storia, di quella dei suoi parenti emigrati negli USA tra la fine del 1800 ed i primi del 1900, sviluppando una collezione di fotografie, scattate negli anni ’50 sul suo paese d’origine, di rara espressività relativamente a diversi momenti della vita quotidiana, lavorativa e religiosa.
Tale mostra era inserita nel contesto di un museo-collezione di storia contadina, organizzata con intelligente meticolosità da un encomiabile professore di filosofia sempre di Bonefro.
Entusiasmante ho trovato l’incontro con la comunità Croata di Acquaviva Collecroce, durante il quale ho scoperto l’etimologia e la genesi delle seguenti tre parole: cravatta, crucco e schiavoni.
Cravatta deriva dallo slavo ‘krvat’ (croato), per il fatto che i soldati croati anticamente portavano al collo una sciarpa.
Crucco deriva dal serbocroato ‘kruh’ (pane), ed il nome dato ai soldati serbocroati inseriti nell’esercito austriaco durante la I guerra mondiale, che chiedevano il pene ai contadini veneti sul fronte di guerra, e da allora il termine ‘crucco’ è diventato sinonimo spregiativo di chi appartiene a popolazioni di lingua tedesca.
Schiavoni non significa grossi schiavi, ma è la modificazione nel linguaggio parlato della parola ‘Slavonia’, cioè degli abitanti di regioni slave che nel corso degli ultimi otto secoli si sono insediati in Italia a seguito di eventi storici accaduti in quelle terre.
Ora, posso capire, ad esempio, perché esiste nel Sannio vicinissimo a Benevento un paese che si chiama Ginestra degli Schiavoni, o perché esiste a Venezia Riva degli Schiavoni.
Mentre facevo queste considerazioni è successa la tragedia di New York e della guerra in Afghanistan e nessuno mi potrà mai convincere che è proprio la non conoscenza della Storia dei popoli, il non rispetto per l’antropologia culturale e gli usi e costumi di tutte le etnie del mondo e l’ignoranza su come sono strutturate le Religioni diverse della nostra, che determineranno sempre future guerre, unitamente al disinteresse sulle condizioni economiche e demografiche nei paesi in via di sviluppo da parte dei paesi dove, addirittura, già ci si configura come società post-industriali.Parlando di religioni, mi viene in mente l’interessantissimo incontro avuto con il parroco di Pietracupa all’interno della chiesa ipogea, scavata nella pietra, dal valore storico immenso, se si considera che quel punto del Molise rappresentava, purtroppo, il luogo più importante dell’Italia meridionale per quanto riguardava le riunioni ed i processi svolti dalla santa Inquisizione nel 1500.
Questa scoperta sulla storia di Pietracupa mi ha colpito moltissimo, così come la visita a Casacalenda, con la perfetta acustica del suo teatro e, che, solo nel suo nome, già viene evocata la storia dai Romani in poi.
Ma come far capire ai nostri giovani l’importanza di conoscere profondamente la storia delle nostre terre rimane un problema in sospeso, da approfondire da parte degli organizzatori e degli amici del ‘Cammina, Molise!’; altrimenti, diventa sempre più crescente il sospetto che questa lodevolissima iniziativa si trasformi in un pretesto per assaggiare e gustare i genuini prodotti tipici che le comunità ci offrono generosamente al nostro arrivo, piuttosto che una occasione di fraterna socializzazione culturale e di stimolo per la rinascita non solo economica del Sannio nel suo complesso.

di Rocco Pettine


“CAMMINA, MOLISE!” Riflessioni a ruota libera           

A volte nella vita le scelte si fanno per esigenza ultima, per caso fortuito, insopportabilità o pura incoscienza ed io, verso la metà di Luglio del 2001, forse vinto dalla stanchezza di un anno initerrotto di lavoro, e da una sana incontrollabile curiosità, ho scelto di iscrivermi a quella manifestazione di cui avevo sì sentito parlare nelle estati duroniesi, ma che in fondo non conoscevo abbastanza bene.
Sapevo che si camminava, si incontrava gente e si visitavano paesi nuovi letti forse solo su di un Atlante…
Ecco, in quel momento, in me è nata l’intraprendenza senza mai lasciarmi sfiorare dal dubbio e mi sono buttato a capofitto in un’impresa che non sapevo mi desse tanto.
Molte volte avevo cercato in passato di mettere in competizione le mie potenzialità e questa volta, il ‘Cammina, Molise!’ mi sembrava davvero un’occasione unica, irripetibile.
Certo, l’insufficiente conoscenza della manifestazione, ha giocato un bel tiro a mio favore ma non si può sempre rinunciare sperando di sapere tutto sulle novità.
Non si può sempre avere a disposizione ogni elemento per effettuare una scelta giusta e ponderata.
…e come in tante altre avventure della vita, mi sono lasciato trasportare dal cuore e almeno in questo caso, con il senno di poi, so di non aver sbagliato.
I mondi lontani che anni indietro ero andato a cercare, anche all’estero, improvvisamente avevano assunto contorni così deboli da farmi rimpiangere tutti quei momenti (e soldi!!!) passati a fare viaggi esotici alla ricerca di me stesso perché in fondo il mio vero IO era lì, a portata di mano, in quella terra sconosciuta che dista pochi chilometri da casa mia ma che infondo, è più ricca di suggestioni di quello che possono regalarti, freddamente, un Tour Operator da catalogo patinato o una Guida Rossa Michelin.
Naturalmente in questa occasione vorrei evitare di fare classico Diario di Bordo ma, quello che ha caratterizzato quei gironi, va al di là di nozioni paesaggistiche o architettoniche che possono essere facilmente scritte su di un foglio di carta.
Diciamo in realtà che il tutto è più legato a momenti, difficilmente ripetibili, odori, sapori e suoni che in molti abbiamo dimenticato, quando invece sono a portata di mano.
Vorrei invece sottolineare quella parte dell’avventura che ha il suono antico e che in certi momenti, vinto dalla stanchezza, avrei preferito non aver iniziato mai, ma che ora sono scritti nel mio cuore a caratteri indelebili e desidererei davvero che in molti approfittassero di questa opportunità per conoscersi meglio..
In tutta franchezza, mi sento in dovere di avvertire che non si tratta proprio di una passeggiata, anzi, si tratta di uno sforzo davvero consistente, soprattutto per chi come me viene da un anno fatto di sedentarietà, scrivania e computer, ma cosa non è faticoso nella vita per assumere poi contorni di vera soddisfazione?
Che cosa passa e lascia un senso di euforia se non è proprio con la fatica e l’impegno che lo abbiamo raggiunto?
Ecco, ogni volta che si rientrava in albergo, con i piedi doloranti, il sudore e tanta voglia solo di dormire, mi domandavo il perché di tanta mia ostinazione e la risposta era proprio lì vicino a me, a quella stanchezza che il giorno dopo, almeno all’inizio, si tramutava in una nuova forza per scoprire e soddisfare quella curiosità che, nel bene e nel male, mi porto appresso da quando sono nato.
Ecco quello che ho imparato, saper contare su di me e mentre il sudore colava copioso e la salita davanti a me era sempre più ardua, io mi incaponivo ed osservavo, cogliendo le voci dei miei compagni di avventura che poi, in fondo, sono stati la vera scoperta.
Sì, gli altri mi hanno galvanizzato ancora di più perché, se da una parte mi vedevo meschino per la poca propensione alla fatica ( e vi assicuro che ne abbiamo sopportato molta) loro, gli altri, nonostante un caldo africano, erano tutti belli pimpanti, allegri, contenti e spensierati…A onore del vero, bisogna sottolineare che sto parlando di gente più grande di me che, a dispetto di indagini conoscitive della Doxa o di studi scientifici estrapolati da un freddo censimento, alle 8 di sera, sembravano che si fossero appena svegliati.
Che forza d’animo e che coraggio!
Li dovete vedere con gli zaini e gli scarponi da montagna che ballavano, cantavano, in un sussiego di sonorità paesane che impegnano molto, almeno con il fiato, e di fiato in quei giorni ne avevamo bisogno davvero molto.
Io camminavo scorgendoli da lontano quando rimanevo indietro, ed è capitato diverse volte (lo dico senza vergogna) e loro lì ad intonare le canzoni, a ballare festanti all’entrata del nuovo paesino come se niente fosse, e pronti già per riprendere il cammino.
Se, li ho amati tutti per quella forza e dentro di me sorridevo pensando a quando avrei raccontato l’avventura agli amici che, venendo da viaggi esotici o da vacanze Last Minute organizzate chissà da chi, non avrebbero di certo capito e forse, anche un po’ compatito.
Ma io sono un testa dura.
Certi valori mi scorrono nelle vene con la stessa potenza trasmessami dai miei genitori che so, in quei momenti, erano fieri di me e dal paese mi seguivano, legati da un cellulare che, in certi punti del Molise, non voleva proprio sapere linea…
E già, la modernità in quei giorni non ci serviva proprio.
Bastavano piedi buoni ed un fazzoletto per coprirsi dal caldo e poi, via, su quelle salite perpendicolari che mostravano solo in lontana quella che sarebbe stata la nostra meta…
Sì perché, manco a farlo apposta, c’era un caldo insoppor5tabile e mai un albero per un poco d’ombra; mai una discesa per arrivare al paese ma sempre una salita, soprattutto contando che spesso ci si arrivava intorno a mezzogiorno.
Paesini minuti ma meravigliosi ci hanno accolto con ogni ben di Dio ed ognuno ha fatto a gara per essere meglio di quello che lo aveva preceduto, regalandoci una ospitalità insospettabile, mista ad orgoglio per le proprie bellezze, culinarie o artistiche; solo Duronia ha VOLTUO DELIBERATAMENTE negarci.
Già, c’era da festeggiare lo scudetto della Roma!!!!!
A Duronia?
A metà agosto?
che vor di’!!
Sono solo C….te!!!
Vecchi Rancori?
Stupide lotte fra casati, contrade e parentele? Invidie, Gelosie?
Non mi interessa perché non si può essere più meschini di così ma, in fondo, non mi sono nemmeno meravigliato di quest’atteggiamento perché solo ora so che il Duroniese sa dare solo questo.
Scusate la vena polemica ma dovevo dirlo.
Io sono un po’ testa matta, soprattutto quando mi toccano quello che amo ma, certe sensazioni debbo esternarle perché vadano a colpire là dove il sole non riesce ancora a fare luce.
Certo ho generalizzato, quando so che non è così per tutti, ma dovevo farlo.
Per fortuna c’è chi ancora riesce a ragionare con il cervello e con il cuore, non solo con il portafoglio, e i quattro giorni del ‘Cammina, Molise!’ farebbero davvero bene a molti per misurarsi, confrontarsi; soprattutto a quelli che dicono di amare le proprie radici ed invece, stanno conducendo Duronia nel dimenticatoio.
Ho finito davvero e ringrazio tutti, compreso chi mi dà l’opportunità di apparire su queste pagine, ma non me ne voglia nessuno se non faccio nomi; sarebbe troppo lungo e rischierei di dimenticare qualcuno o storpiare generalità che conosco a malapena.
Il mio intento era ricordare, tra le righe, proprio tutti e credo che qualcuno si riconoscerà davvero.
Vi ho impressi qui nel cuore, senza distinzione di età o di sesso perché, diciamocelo, siamo stati davvero formidabili e, da Milano fin giù alla Sicilia tutti quelli che hanno partecipato a questa avventura.
Di voi ho delle fotografie stupende che, alla prossima edizione Vi farò vedere.
Negli altri spero di aver infuso parte della mia gioia e della mia curiosità e spero davvero che quel nostro paese, arroccato su quella collina fra sogno e realtà, come ebbi a dire in un mio vecchio scritto, vi illumini e vi faccia davvero fieri di essere ciò che la terra ci ha insegnato e che ha saputo sapientemente regalare.
P.S.
Prima di chiudere aggiungo una piccola postilla.
Un nome su tutti voglio farlo.
Lei, CAMILLA, la nostra cagnetta che ha partecipato con devozione a tutta la sfacchinata e che dalla sua cuccetta dice ancora a tutti: “BAU BAU”, che in linguaggio canino vuol dire: “Grazie e al prossimo ‘Cammina, Molise!’”.