Biologico sì, biologico no
E’ previsto un incremento di superfici, quantità e ricavi, tutto a vantaggio del clima, della biodiversità, del risparmio energetico, di un’agricoltura, non più industrializzata e di allevamenti non più super intensivi
di Pasquale Di Lena
13 gennaio 2021
L’interesse per il biologico impegna sempre più l’informazione, non solo delle testate specializzate o di inserti ad esso dedicati, ma anche dei media nella loro complessità, con le notizie quasi sempre contrastanti, prime fra tutte quelle che riguardano l’Unione europea, che, purtroppo, mostra un gioco che è ricorrente nei governi (a tutti i livelli) e nella prassi politica, quello della mano destra che non sa della mano sinistra e viceversa.
La dimostrazione è nella scelta del programma strategico “Farm to Fork” annunciata dalla presidente della commissione europea”, Ursula von der Leyen, all’inizio della pandemia, che parla di un obiettivo del 25% dell’agricoltura europea coltivata in modo naturale, cioè di un aumento delle aree agricole destinate al biologico del 165% entro il 2030.
In pratica 52,2 milioni di ettari nel 2030 di fronte ai 19,8 milioni attuali, con un aumento delle vendite dagli attuali 52,9 miliardi di euro ai 140 nel 2030, pari a 87 miliardi di euro in più.
Un incremento di superfici, quantità e ricavi, tutto a vantaggio del clima; della biodiversità; del risparmio energetico; di un’agricoltura, non più industrializzata e di allevamenti non più super intensivi; della fertilità dei suoli; del risparmio di acqua, soprattutto potabile; dell’aria pulita; della salute del consumatore, grazie a un’alimentazione sana e naturale; del reddito dei coltivatori/allevatori; di un modo nuovo dei produttori di stare all’interno del filiere, e, con i consumatori, di vivere il mercato.
Se questa è la mano della presidente Ue, c’è da dire che quella del gruppo di lavoro e del Parlamento europeo, che ha, giorni fa, approvato la nuova Pac, contraddice fortemente con la prima, visto che ripropone le scelte del passato, già dichiarate fallite dalla Fao (inizi 2018), che hanno portato a favorire e diffondere un’agricoltura industrializzata. In pratica, a riempire di:concimi ed antiparassitari i magazzini delle aziende agricole; box invivibili le stalle; trattori enormi, inutili, le rimesse; debiti i produttori, e, in questo modo, a renderli sempre più schiavi, non solo delle banche e delle multinazionali, ma, anche, di un nuovo soggetto, ormai padrone del destino stesso di un’azienda, la grande distribuzione.
La Pac che entrerà in vigore nel 2023 e per sette anni regolamenterà le politiche agricole dei Paesi membri, tradisce i propositi della Ursula von der Leyen, con la sua strategia “Fork to Farm”, e rappresenta, di fatto, un altro duro colpo per l’agricoltura, e non solo, per la Terra. Continuare a sostenere questo tipo di agricoltura, che – per quanto mi riguarda non è agricoltura, nel momento in cui le macchine hanno sostituito l’uomo, e, la chimica si è mangiato la biodiversità – vuol dire, in Europa, continuare ad ammalare il clima, il problema dei problemi ancor più del virus.
Una situazione, in sintesi, contraddittoria e, di certo, perdente per il clima, il territorio, l’agricoltura, i coltivatori, gli stessi consumatori.
Sto pensando che non bisogna arrendersi, ma dare spazio e forza alla svolta annunciata dalla Presidente Ue e rendere ancor piè importante e attuale la scelta del biologico, cioè di un’agricoltura non più condizionata dalla chimica e dal mito della quantità, ma rispettosa della natura, della vita che è nel suolo, della biodiversità, e, come tale, in grado di produrre qualità, che è un dono dato alla salute del consumatore.
Sto pensando al biologico abbinato all’ecologia, ovverro all’agroecologia, che va oltre la sola produzione agricola e coinvolge l’intero sviluppo economico, e, con esso, la cultura, la politica, la società. Sto pensando, anche, alla Sovranità alimentare quale necessità di cambiare un sistema nel suo complesso e, così, costruire quel nuovo domani di cui ha bisogno una Terra popolata da oltre 9 miliardi di persone nel 2050. Un appuntamento, che sembra lontano, ma non lo è, tant’è che è nella mente di scienziati e non dei governi dei paesi del mondo. La sottovalutazione grave di queste previsioni creerà ritardi e renderà ancor più pesante il compito e la vita delle prossime generazioni. Più di quanto si possa immaginare.
Torna Il sogno di tanti anni fa – ricorrente in questo periodo segnato da due priorità, salute e cibo di qualità – di un Molise sostenibile, con le sue campagne coltivate in modo naturale, le sue montagne segnate da parchi, e, così, anche il suo Biferno che alimenta il piccolo tratto di mare. Un Molise recintato da alberi, al pari dei percorsi tratturali, e, verde, tanto verde, tutto per far godere gli occhi e la mente, e rallegrare il cuore.
Si tratta di mettere insieme strumenti, programmi e strategie atte a cogliere l’obiettivo di un’agricoltura/zootecnia biologica, sempre più estesa sul territorio molisano per la sostenibilità dello stesso. Un compito non facile, ma. oggi, più che mai da portare avanti con determinazione.
di Pasquale Di Lena