Il gioco del setaccio
Pratica divinatoria popolare
di Giovanni Mascia (da «Utriculus», n. 20 ottobre – dicembre 1996)
2 febbraio 2020
Uno dei principi basilari su cui si basano le usanze e le credenze del popolo è nella diffusa persuasione di poter conoscere il futuro o le cosedistanti e segrete. Non ci si riferisce alla importanza che le pratiche divinatorie ebbero in ambito religioso, culturale e sociopolitico nell’antichità: basti ricordare i luoghi omerici e gli àuguri e gli aruspici del mondo etrusco e romano. Importa ribadire qui il persistere di questa persuasione e delle pratiche ad essa connessa nel patrimonio popolare ditutto il mondo. La base di partenza è data dalla convinzione che effettivamente il futuro si annuncia con tutta una serie di atti premonitori, in forza dei quali si può presagire e predire quello che accadrà. In tale orbita ricadono il volo e il canto degli uccelli, i lampi, i tuoni, gli avvenimenti straordinari; ma anche gli eventi più banali della vita quotidiana, come inciampare sulla soglia di casa, passare sotto una scala appoggiata al muro, vedersi attraversare la strada da un gatto nero, il palpitare dell’orbita oculare, lo stridio della vampa nel fuoco. Al di là del verificarsi di alcuno di questi accadimenti estemporanei, numerosi sono gli strumenti e le pratiche a disposizione degli indovini popolare. Essi vanno dalla sempre più popolare cartomanzia, che si avvale delle carte da gioco, alla oniromanzia, interpretazione dei sogni; dalla chiromanzia, la lettura della mano, alla geomanzia (l’arte di investigare la forma assunta da manciate di sabbia o terra fatte cadere in un piatto, anche nella versione più moderna che s’impernia sui fondi del caffè), alla piromanzia, che cerca di interpretare le forme assunte da fiamme, brace, scintille del fuoco, e via dicendo (1).
Una pratica divinatoria ancora in uso nella prima metà di questo secolo nelle regioni meridionali dell’Italia e oggi pressoché scomparsa è nota con il nome tecnico di coschinomanzia. Il nome di evidente origine greca è composto dal prefisso coscinon, che vale setaccio, crivello, nome approdato anche a Toro, dove con la voce còscino si indica una grossa e larga paniera, una sorta di “crivello, che su l’aia si adopera, oltre che a cribare, a trasportare” (L.A. Trotta, Quarto Saggio della parlata di oro, comparata con la Toscana vivente, Tip. Soliani, Modena 1891, ad vocem; G. Mascia, ‘A tavele de Ture – La tavola di Toro , Lampo, Campobasso1994, p. 173). Il suffisso mantéia vale divinazione ed è adoperato per designare tutte le diverse pratiche divinatorie.
Nella coschinomanzia, avvalendosi di un setaccio che viene ancorato a un perno metallico o guardato contro il sole, l’indovino cerca di individuare l’autore di un furto, un misfatto, o di accertare il realizzarsi di un evento auspicato o temuto. La coschinomanzia è conosciuta anche Toro con il nome di U juche du setacce (o setaccille) e già dal nome ci si può rendere conto della degenerazione sofferta dalla pratica che da divinatoria (quindi quasi sacra)è decaduta nella coscienza popolare a livello di gioco, intrattenimento, eanche in questa forma oramai del tutto in disuso.
La signora A. I. di settantatré anni racconta che ai suoi tempi quello del setaccio era un “gioco” molto diffuso. Da giovinetta, e poi da giovane, insieme alle amiche, lo praticava spesso. Tutte conoscevano il meccanismo. Nessuna, in particolare, ma tutte erano depositarie della tecnica divinatoria, che era patrimonio popolare comune e, in realtà, di davvero semplice applicazione, stando a ciò che riferisce la nostra informatrice. Praticato un foro sul cilindro di legno del setaccio, vi si conficca una forbice chiusa, le lame per intero al di là del foro, all’interno del setaccio, le branche e gli anelli all’esterno, avendo cura di orientare gli anelli della forbice come il cerchio del setaccio e assicurandosi che la forbice sia bene incastrata e non si sfili. La coschinomante e una persona del gruppo, da lei designata, poste una di fronte all’altra, sollevano forbici e setaccio e reggono in sospensione il tutto, avvalendosi solo della punta dei polpastrelli degl’indici della mano destra contrapposti alla base degli anelli della forbice. L’oracolo è ora pronto a dare la sua risposta.
La domanda è ripetuta tre volte, ed è rivolta alla Santissima Trinità nella formula di implorazione: Santjssema Trenetà, djmme se .. Santissima Trinità, dimmi se si verificherà il tale evento oppure se è stato, è o sarà Tizio a compiere o non compiere la tale azione etc. Se durante la formulazione della domanda, ripetuta tre volte, o subito dopo, il setaccio comincia a ruotare secondo l’asse verticale che coincide con le lame delle forbici (favorito in ciò dal più impercettibile tremito degli indici che lo reggono) la riposta oracolare è affermativa. Se, al contrario, gli indici restano ben fermi e quindi anche il setaccio rimane fermo, la risposta è negativa. La nostra informatrice, nel ribadire come il tutto avveniva a livello di puro e semplice divertimento, comunque ci tiene a ricordare lanetta presa di posizione di alcuni missionari francescani a Toro, subito dopo la seconda guerra mondiale. Padre Pancrazio Modugno (uno zio di Domenico Modugno, il cantante – precisa l’informatrice) e il suo confratello Padre Giuseppe rimproverarono i toresi dall’altare e li scongiurarono di non continuare a invocare i santi per il gioco del Cirnillo (questo è il termine che l’informatrice fa profferire ai due francescani).
Invitata a ricordare qualche caso particolarmente significativo de U juche du setacce, A.I. racconta: “Saranno passati venti o trenta anni da quando una mia nipote di Campobasso, ogni volta che mi trovavo a farle visita, mi chiedeva di fare U juche du setacce. Le stava molto a cuore la sorte di una sua amica, infermiera del “Cardarelli”, fidanzata con il primario. L’infermiera aveva 25 o trent’anni, il primario una settantina ed era vedovo: aveva perso la moglie e l’unica figlia in un incidente stradale. Mia nipote temeva che il primario, tra l’altro molto ricco, si prendesse gioco dell’amica. Io a quel tempo non stavo tanto bene e mi dava noia questo gioco. Pure facevo contenta mia nipote, qualche volta anche in presenza dell’amica. E ogni volta il setaccio diceva di sì, che il primario avrebbe sposato l’infermiera. Questo gioco fu ripetute più volte, anche a distanza di mesi, e la risposta fu sempre sì. Infatti, primario e infermiera si sposarono. L’uomo poi morì e lasciò alla nuova moglie tutte le sue ricchezze: quartini a Roma, a Campobasso…”
Il commento di conclusione dell’informatrice riconduce il tutto sui binari del puro divertimento: “Il destino ha voluto così. Io, però, a U juchedu setacce non ci ho mai creduto, anche se a mia nipote e all’amica non l’ho mai detto”(2)
Note:
1 – Ci siamo mossi fin qui sulla falsariga tracciata da Paolo TOSCHI, Il folklore, Universale Studium, Roma 1951, p. 157–8. Altre pratiche divinatorie ricordate da Toschi sono: l’idromanzia, si predice il futuro osservando l’azione dell’acqua sotto l’influsso del sole o di corpi in essa immessi; l’isostromanzia, viene evocato il demonio con l’ausilio di specchi; la geomatria, basata sul simbolismo delle lettere e dei numeri; le pratiche che si fondono sull’osservazione di parti del corpo, oltre alla mano, come la craniomanzia, la spatulomanzia, etc.
2 – Nella raccolta inedita ottocentesca Castelbottaccio. Credenze e pregiudizi raccolti e commentati da Vincenzo De Lisio, al n. 26 del capitolo intitolato “Auguri e sortilegi”, è annotato lo stesso rituale, con la variante in uso in quella località, relativa al solo scongiuro o invocazione. “Per sapere, poi, chi abbia rubata questa o quella cosa, e se sia vero ciò che si dice sul conto di una tale, le femminelle prendono un setaccio – intromettono nel foro del cassino – de lu cierco – le branche delle forbici, e le tengono sospese, ponendo gl’indici sotto gli anella di queste.
Si fa lo scongiuro:
- Spirito di vendetta, dimmi ‘ste cose cosette;
- e poi si domanda, p.e.:
- Jè vero ca Giuvanna è mancarola?
- Lo staccio sta fermo; dunque il sospetto è ingiusto.
- Trippetta m’à ‘rrubbata la gallina?
- Lo staccio non si muove.
- Jè stata Maria de Peccechenta?
- La brama del sapere si sente nel lieve tremito delle dita… Lo staccio gira… Non vi è dubbio. Maria di Piccichenta fu la ladra”
di Giovanni Mascia (da «Utriculus», n. 20 ottobre – dicembre 1996)