• 22 Febbraio 2021

Il discorso programmatico di Mario Draghi

La fotografia sul Mezzogiorno è impietosa e delinea alcune vie per definirne un nuovo sviluppo nella garanzia di legalità e sicurezza nel rafforzamento delle amministrazioni meridionali e nella “preparazione tecnica, legale ed economica dei funzionari pubblici”

di Umberto Berardo

22 febbraio 2021

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Mario Draghi ha tenuto nei due rami del Parlamento un discorso ampio, sincero, pacato, talora schietto ma anche edulcorato in alcuni passaggi e da libro dei sogni in altri.

Forse il merito più importante del nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri è stato quello di aver fotografato con estrema freddezza e preoccupazione i più gravi problemi dell’Italia e della sua popolazione in questo grave momento storico di pandemia e di conseguente crisi economica.

La complessità delle sue linee programmatiche, ad eccezione di taluni punti, ci ha fatto intravvedere molte finalità indeterminate, intenzioni prospettiche e buoni propositi piuttosto che tratti d’interventi concreti per obiettivi di brevissimo respiro utili in immediato per la grave situazione del Paese e funzionali al lasso di tempo limitato di cui il governo dispone.

Francamente l’eccessiva enucleazione dei punti programmatici ci ha dato come la sensazione di un Presidente del Consiglio convinto di avere a disposizione un’intera legislatura per potersi occupare di un numero esorbitante di questioni.

Molti hanno visto la nascita del governo Draghi come una nuova notte della Repubblica e della democrazia e per essi è sicuramente difficile accettare il passaggio programmatico in cui si sostiene che l’attuale “è semplicemente il governo del Paese”, perché in realtà non lo ha scelto certamente la popolazione, ma è il risultato di decisioni di natura verticistica ascrivibili all’oligarchia finanziaria ed avallate, forse obtorto collo, dal Presidente della Repubblica.

Perfino la maggior parte degli analisti legati ad un’informazione vicina a tali lobbies ha appoggiato questa operazione istituzionale nella convinzione tuttavia che il nuovo governo dovesse limitarsi a dipanare taluni problemi contingenti e limitati rimettendo poi ogni decisione sulle questioni più macroscopiche al volere dei cittadini e riportandoli alle urne appena cessati i rischi più elevati della diffusione del Covid-19.

Sembrava scontato dunque che Draghi dovesse affrontare le difficoltà più gravi create dalla pandemia e nella fattispecie la tutela della salute dei cittadini attraverso la vaccinazione, la riorganizzazione della sanità, l’elaborazione di un Recovery Plan razionale con le relative indicazioni attuative, l’impostazione di un piano per la ripresa economica e l’occupazione come anche la promozione della cultura e dell’attività educativa.

Al limite taluni hanno pensato ad un impegno per l’elaborazione di una legge elettorale condivisa in Parlamento per ridare piena libertà espressiva ai cittadini nelle scelte e riportarli a votare secondo le regole previste della Costituzione che sottolinea con chiarezza come la sovranità appartenga al popolo.

Se, come si sostiene, si ha a cuore il bene comune, quest’ultimo impegno dovrebbe occupare governo e Parlamento per cancellare finalmente le tante involuzioni della democrazia che l’Italia ha vissuto negli ultimi decenni.

Davvero poco credibile il passaggio del programma nel quale Draghi si dice in disaccordo sul fallimento della politica altrimenti non si comprenderebbero i quasi unicamente tecnici nei ministeri apicali, dove a decidere le sorti del Paese sarà il sistema plutocratico, e per gli altri dicasteri l’utilizzo di un manuale Cencelli, tenuto tra l’altro in maniera squilibrata sul piano politico, a livello di genere e in rapporto al territorio, con scelte talora davvero incomprensibili.

Il timore di molti è anche quello che il Mezzogiorno rischi molto con la scarsa rappresentanza che ha nel governo.

Draghi parla dell’aumento del debito pubblico e della povertà senza scendere in soluzioni concrete quali ad esempio potrebbero essere l’eliminazione degli sprechi nella pubblica amministrazione e dei privilegi scandalosi nella retribuzione di manager, dipendenti pubblici, magistrati, medici, calciatori, giornalisti e l’elenco potrebbe continuare fino ad occupare molto spazio.

Bene la collocazione dell’Italia nell’Unione Europea e “nel solco delle grandi democrazie occidentali” con una cessione di “sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa” purché gli organismi internazionali diventino tutti davvero democratici, si rinunci al diritto di veto e l’UE sia un organismo rivolto al bene dei popoli piuttosto che un internazionalismo dei benestanti come lo definisce Luciano Canfora nel suo ultimo volume intitolato “la metamorfosi”.

Aspettiamo quindi che si rivedano alcuni trattati e strutture istituzionali internazionali eliminando le norme sull’austerity ma anche certe schifezze di provvedimenti come ad esempio il Bail-in.

Non si esclude il dialogo con la Federazione Russa e con la Cina, pur evidenziando per la prima la violazione dei diritti umani e per la seconda solo le “preoccupazione per l’aumento delle tensioni”.

Si scrive che il “sistema di sicurezza sociale è squilibrato, non proteggendo a sufficienza i cittadini con impieghi a tempo determinato e i lavoratori autonomi” ma non si indica alcuna linea di soluzione al problema se non attraverso un “assegno di riallocazione”, “politiche di formazione dei lavoratori occupati e disoccupati” e rafforzamento delle “dotazioni di personale e digitali dei centri per l’impiego in accordo con le regioni”.

Qui ci saremmo aspettati almeno qualcosa su una ridefinizione più equa del sistema di welfare.

Qualche indicazione concreta si disegna sul piano della vaccinazione, mentre sulla sanità e sulla sua interessante riorganizzazione a livello territoriale e per le acuzie non si trova mai l’aggettivo “pubblica” e questo a noi preoccupa molto così come la mancanza di alcun cenno sulla liberalizzazione degli accessi alle facoltà di medicina.

Anche sulla scuola e sulla globalizzazione, la trasformazione digitale e la transizione ecologica troviamo solo linee generali sulla rimodulazione del calendario scolastico, sulla formazione del personale e sul potenziamento degli istituti tecnici.

Molto sibillino e pertanto preoccupante il passaggio che recita “Occorre infine costruire sull’esperienza di didattica a distanza maturata nello scorso anno sviluppandone le potenzialità con l’impiego di strumenti digitali che potranno essere utilizzati nella didattica in presenza.”

Non vorremmo si stesse pensando anche per l’istruzione alla diffusione di metodologie didattiche funzionali ad interessi aziendali piuttosto che ad un ottimale processo di apprendimento.

Condivisibili, perché come al solito generali, le idee espresse sulla protezione e il futuro dell’ambiente che tuttavia non fanno alcun riferimento alle modalità con cui attuarle.

La fotografia sul Mezzogiorno è impietosa e delinea alcune vie per definirne un nuovo sviluppo nella garanzia di legalità e sicurezza, nell’attrazione d’investimenti, nel credito d’imposta, nel rafforzamento delle amministrazioni meridionali e nella “preparazione tecnica, legale ed economica dei funzionari pubblici”.

Certo colpisce e ferisce malamente i meridionali quella esigenza di legalità e sicurezza quasi che malavita e soprattutto corruzione, cui non si fa alcun cenno se non in qualche replica alla Camera, non siano aspetti presenti in tutti i territori del Paese.

Sul Next Generation EU e soprattutto sul Recovery Plan si scrive unicamente che “gli orientamenti che il Parlamento esprimerà nei prossimi giorni a commento della bozza di Programma presentata dal Governo uscente saranno di importanza fondamentale nella preparazione della sua versione finale”.

Pare di capire che al Parlamento sono richiesti suggerimenti ma non un voto sul documento.

La riforma del fisco e l’amministrazione della giustizia sono i due aspetti su cui si scende in un’analisi abbastanza articolata, ma abbiamo qualche dubbio che questo governo riesca ad occuparsi delle due questioni nei tempi ristretti di cui dispone e tra le opinioni contrastanti dei partiti che lo compongono.

Sul fenomeno delle migrazioni il testo del discorso programmatico di Draghi è molto vago e si parla genericamente di “solidarietà effettiva” e di “diritti dei rifugiati”, anche se nella replica al Senato abbiamo ascoltato qualche volontà più decisa nel chiedere all’UE la redistribuzione equa dei migranti tra i Paesi aderenti all’Unione.

Sulla parità di genere infine le vie indicate rischiano di essere pura ipocrisia dopo la costituzione di un governo che ha riservato alle donne un solo ministero tra quelli preminenti e davvero pochi incarichi di rilievo. 

Non sappiamo se l’indeterminatezza programmatica di Draghi sia dovuta alla necessità di rimanere in stand-by per il voto di fiducia perché in un passaggio si scrive che “nelle prossime settimane rafforzeremo la dimensione strategica del Programma”.

Francamente nella lettura del testo ci preoccupano talune dichiarazioni già evidenziate, ma soprattutto quello che non vi è stato ancora scritto come ad esempio l’articolazione e la destinazione dei fondi europei del Next Generation EU o le modalità di credito alle imprese in difficoltà per le quali si affaccia un’aleatoria e pericolosa distinzione tra imprese sostenibili e non sostenibili.

Esprimere ancora giudizi generici su un governo che non è espressione della volontà popolare ora serve a poco.

L’atteggiamento da tenere è quello di valutare i provvedimenti in essere, soprattutto di natura economica e sociale, cercando di operare per orientarli allo sviluppo del Paese inteso come l’insieme della popolazione, all’equità ed alla giustizia sociale.   

di Umberto Berardo

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