La battaglia decisiva
Per provare a contrastare il cambiamento climatico non si cancelli il paesaggio italiano
di Aldo Giorgio Salvatori
25 febbraio 2021
Una riflessione del presidente dell’Associazione Italiana Wilderness sulla problematica dell’impiego massivo di impianti a fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica in Italia. Distese sterminate di pannelli fotovoltaici nelle campagne e file ininterrotte di pale eoliche su tutti i crinali appenninici dovrebbero garantire (almeno secondo la vulgata mainstream) la riduzione delle emissioni globali di CO2, alla quale si contrappone però la necessità di una difesa della natura e del paesaggio. Nonostante l’esperienza degli ultimi anni abbia dimostrato l’inefficacia di questo (costosissimo) sacrificio del territorio italiano, ogni soluzione alternativa viene trascurata dagli adoratori del nuovo Leviatano eolico, che si riproduce a dismisura e viene accolto dai più come inevitabile o, addirittura, desiderabile e provvidenziale. L’unica certezza che abbiamo, invece, è che, quando la devastazione “ecologica” del paesaggio italiano verrà completata, per ricordare il Bel Paese si dovrà ricorrere alla contemplazione, sofferta, dei dipinti dei paesaggisti italiani del diciannovesimo e ventesimo secolo. E, aggiungiamo noi della Rete della Resistenza sui Crinali, le emissioni globali clima-alteranti, nel frattempo, saranno ulteriormente aumentate.
La battaglia decisiva per salvare la Natura oggi, in Italia, non si combatte più sul fronte della biodiversità, ma nelle campagne, sui monti, intorno agli antichi borghi e nelle aree protette. Nel regno animale abbiamo riconquistato traguardi importanti. La lontra è stata nuovamente avvistata lungo i corsi d’acqua della Liguria occidentale, del Friuli, dell’Abruzzo, la rara foca monaca è tornata a riprodursi nei superstiti tratti nascosti delle coste italiane. Specie preziose che, solo pochi anni fa, si temeva potessero sparire per sempre. Caprioli, cervi, daini, la cui consistenza numerica era ridotta a poche centinaia di esemplari fino a quarant’anni fa, oggi si contano in centinaia di migliaia (caprioli) o decine di migliaia (cervi e daini). E che dire dei trilli, dei gorgheggi, dei richiami rauchi o multiformi delle tante specie selvatiche che, con alcuni problemi di convivenza, si stanno riversando a frotte nelle nostre città? È invece sul Paesaggio, unico, italiano che si svolge, oggi, la battaglia più dura e più insidiosa.
Una battaglia dura, perché chi abbiamo di fronte è un nemico agguerrito ed economicamente potentissimo, insidiosa perché il terreno su cui si combatte è lastricato di trappole e di falsi alleati. Uno scontro decisivo ed epocale, che lascia incredibilmente indifferenti moltissimi italiani e sta provocando la rottura del fronte ambientalista. Le devastazioni e le minacce sono numerose: nuove sciovie in montagna, grappoli di ripetitori televisivi e telefonici sulle colline, discariche abusive diffuse, interrate, nascoste, strade inutili e dannose e, su tutto, avanza, incontrastato, un nuovo e terribile nemico, un Leviatano che gode di numerosi e insospettabili sodali, si riproduce a dismisura e viene accolto dai più come inevitabile o, addirittura, desiderabile e provvidenziale. Sto parlando dei cosiddetti “parchi eolici”, selve di grandi torri alte centinaia di metri, giganti d’acciaio e di cemento.
Producono energia pulita, ma, insieme con i “parchi fotovoltaici”, tutti questi produttori di energia pulita, richiedono, per la loro costruzione, anche ingenti quantità di materiali potenzialmente inquinanti come rame, alluminio, litio, indio, gallio, selenio, cadmio. Non lasciamoci ingannare dai nomi creati per edulcorarne l’impatto, perché sono anche rumorosi e pericolosi per l’avifauna (le pale rotanti delle mega-torri eoliche) e divoratori famelici di suolo, di paesaggi antichi e unici, di panorami meravigliosi.
Sono decine di migliaia i nuovi “parchi eolici” previsti in Italia e in attesa di approvazione pendono progetti per “parchi fotovoltaici”, alcuni di quattro o cinquecento ettari, sottraendo vasti spazi al paesaggio naturale o rurale. Si afferma che fermeranno l’inquinamento, l’immissione di CO2 in atmosfera e l’estrazione dal sottosuolo dei combustibili fossili di cui sono ormai accertate le responsabilità, dirette e indirette, per le molteplici forme di contaminazioni ambientali e per i danni alla salute umana. Non è vero. Per far fronte alla quantità di minerali e di materiali indispensabili per la loro costruzione fonti indipendenti prevedono escavazioni e trivellazioni ancora più massicce nelle viscere della Terra. Nel frattempo è cresciuto del 20 per cento il costo medio della bolletta energetica che tutti noi paghiamo per finanziare gli investimenti in questo settore (fonte Eurostat).
Quando sarà completato il progetto distruttivo che li genera a centinaia, a migliaia, su tutto il territorio nazionale, l’Italia non sarà più la stessa che decantarono i letterati e gli artisti che hanno contribuito a creare, in tutto il mondo, il mito del Bel Paese. Un Bel Paese che aveva già visto, dal dopoguerra in poi, cambiare i suoi connotati ad opera di costruttori e appaltatori senza scrupoli, industriali dimentichi degli insegnamenti di imprenditori illuminati come i Crespi e gli Olivetti.
Insieme con le urbanizzazioni selvagge arrivarono i grandi tralicci dell’Enel, deposti sul terreno lungo linee tracciate con la convenienza del percorso più agevole e mai con quella del rispetto del Paesaggio, poi sono cresciuti come funghi i grandi ripetitori televisivi e telefonici, infine il colpo di grazia con le grandi centrali del vento. Molti ne auspicano la moltiplicazione senza limiti, le reclamano con la stessa ansia con cui si attende la vaccinazione anti-covid, convinti che si tratti della soluzione finale dei problemi creati dagli sconvolgimenti climatici.
E’ il progresso, ci dicono. Non possiamo farne a meno. Un redivivo Giacomo Leopardi, una volta completata la dotazione eolica prevista per generare l’energia “pulita” indispensabile al Paese, aprendo la sua finestra sul panorama di Recanati, non sarebbe più in grado di trarne ispirazione per il suo capolavoro letterario: L’Infinito. Lo sguardo verso l’orizzonte, il volo verso quella linea magica che fa toccare le cime dei colli e dei monti con il cielo, sarà precluso per sempre. L’Infinito sarà finito. Quanta energia produrranno questi Leviatan del terzo millennio?
Le cifre sciorinate dai sostenitori dell’eolico estensivo, tutti entusiasti assertori di quelle “magnifiche sorti e progressive” di cui si faceva beffe il poeta di Recanati, suonano quasi come le puntate di un gioco d’azzardo: alcuni affermano che, continuando con il ritmo attuale di costruzione, nel 2030 raggiungeremo il traguardo del dimezzamento delle emissioni di CO2 in atmosfera; altri sostengono che nel 2050, in base agli impegni presi con la UE, sarà definitivamente completata la transizione ecologica dalle fonti fossili a quelle “pulite”. Nessuno che consideri degno di riflessione il disastro che, a quella data, sarà stato provocato ai danni del Paesaggio italiano. Borghi millenari, territori di pregio, siti archeologici, suggestivi ambienti rurali, tutto, ma proprio tutto sarà avvolto, irrimediabilmente, in uno spaventoso sudario, di ciclopiche dimensioni, di pale rotanti rumorose e inquinanti.
“L’estinzione è per sempre”, recitava un vecchio slogan del WWF. Estinzione, per noi di AIW, non è tragedia che incombe solo sulla fauna e sulla flora selvatiche minacciate dall’impronta violenta e distruttiva dell’uomo dell’era dell’Antropocene, estinzione è anche fine del Paesaggio nazionale, per sempre. Una morte provocata anch’essa dall’intervento arrogante, violento, presuntuoso, dell’Homo sapiens trasformatosi in “Homo ecotecnologicus”, ultima frontiera della sua volontà luciferina di sostituirsi all’Architetto dell’Universo.
Si tace, intanto, sui blackout provocati, in alcune regioni del mondo, dall’improvvisa interruzione di energia proveniente da impianti eolici, un’energia intrinsecamente intermittente come la sua fonte, il vento. E’ accaduto in Texas, recentemente, in occasione di un’ondata di gelo artico che ha causato consumi abnormi dell’energia elettrica indispensabile per alimentare industrie, impianti di riscaldamento ed elettrodomestici, con le conseguenze che sono state ampiamente mostrate dalle cronache televisive. Ma non c’è alternativa, ripetono gli strenui fautori del miracolo eolico e del fotovoltaico. Invece l’alternativa c’è.
Intanto sgombriamo il terreno da un equivoco che induce alcuni a scambiare chi si oppone all’eolico e al fotovoltaico “ovunque e comunque” per trogloditi che vogliono continuare a mantenere accesi i fuochi dell’energia domestica, industriale e veicolare, soltanto con il carbone ed il petrolio. Noi non ci opponiamo all’eolico e al fotovoltaico “tout court”. Ci opponiamo all’eolico e al fotovoltaico selvaggio e indiscriminato, quello che stupra cime immacolate, paesaggi agresti, vestigia della nostra Storia, angoli di natura intatta e perfino aree protette.
L’inquinamento del Paesaggio è nocivo quanto quello dell’acqua, dell’aria, del suolo. Perché non costruire gli impianti eolici in aree industriali dismesse e su isole artificiali “offshore”, come sta facendo, ad esempio, la Danimarca? Si obbietta che i fondali marini danesi, rispetto ai nostri, sono poco profondi, ma le cosiddette piattaforme flottanti, in Italia, sarebbero una soluzione praticabile per ospitare turbine eoliche galleggianti come già sperimentato con successo in Scozia. Perché non ricoprire i tetti dei capannoni industriali di pannelli fotovoltaici come si sta facendo già con le abitazioni civili di nuova costruzione? Forse perché bisognerebbe dividere i lucrosi profitti delle industrie e degli appaltatori di questi impianti con nuovi e scomodi soci nell’impresa?
E a proposito di alternative: Che fine hanno fatto la ricerca e i progetti di impiego diffuso dell’energia da idrogeno? E quelli sulla DAC, il sistema di cattura della CO2 direttamente dall’atmosfera? Infine un cenno alle sorprendenti frontiere offerte dal nuovo nucleare. Intendiamoci, non qualcosa di simile ai fantasmi evocati dal ricordo dei disastri di Chernobyl e di Fukushima, ma gli impianti di nuovissima generazione, prodromi di quel nucleare da fusione che, se si incentiva la ricerca e la sperimentazione, potrebbe portarci, nel medio periodo, a piccole centrali completamente prive di emissioni inquinanti e di scorie radioattive, con il vantaggio di produrre energia pulita, affermano molti ricercatori, senza sottrarre spazio all’ambiente e in quantità costante e infinitamente maggiore di quella che verrebbe prodotta da centinaia di parchi eolici. Un’alternativa sulla quale scommettono oggi perfino gli ambientalisti finlandesi del partito della Lega Verde.
Sull’odioso e insidioso ossimoro dei parchi eolici si potrebbe poi scrivere un romanzo. Qui basti osservare, per chiudere, che dobbiamo subire, oltre al danno, anche la beffa. È stato lanciato perfino un concorso letterario, dall’organizzazione Civita, presidente Gianni Letta, per un componimento breve che esalti la bellezza dei “Parchi Eolici” e l’arricchimento da essi offerto al Paesaggio Italiano. C’è da farsi venire la pelle d’oca. È come affermare che la Gioconda è decisamente più bella dopo lo sfregio “artistico” di Enrico Baj. Esiste la bellezza primigenia del nostro Paesaggio e quella modellata dall’uomo con sapienti interventi di architettura urbana e rurale, quell’armonia, tra uomo e ambiente, cantata dai viaggiatori del passato, come Gregorovius, ma anche dal padre dell’etologia moderna, Konrad Lorenz. Riflettiamo tutti su un rischio enorme e sottovalutato.
Quando la devastazione “ecologica” del Paesaggio italiano verrà completata per ricordare il Bel Paese si dovrà ricorrere alla contemplazione, sofferta, dei dipinti dei paesaggisti italiani del diciannovesimo e ventesimo secolo. Esiste un’estetica del Paesaggio di cui, con timbri diversi, sono cantori contemporanei Vittorio Emiliani e Vittorio Sgarbi. Non esiste una bellezza artificiale del Paesaggio Naturale fatta di acciaio e di cemento. A meno che anche i nostri amici ecologisti che sostengono l’eolico e il fotovoltaico “a tutti i costi” non si siano ispirati all’Inferno artificioso e futuristico di Dubai.
Non è il fantasma di Don Chisciotte a turbare i nostri sonni, ma il timore di non poter lasciare ai nostri figli neppure una tenue traccia dell’antico e irripetibile Paesaggio Italiano.
di Aldo Giorgio Salvatori – Presidente dell’Associazione Italiana Wilderness (da reteresistenzacrinali.it)