• 9 Marzo 2021

Di piccoloborghismo e case a 1 euro: così muoiono i paesi

Dallo stile classico del borgo presepe firmato Stefano Boeri – «Stiamo provando a reinventare questi angoli di paradiso» – al salvatore Daniele Kihlgren – compratore seriale di ruderi che trasforma in Alberghi Diffusi di lusso – fino ad arrivare al progetto di ripopolamento di Zungoli, in Irpinia: attraversiamo il confine tra realtà e retorica che questa pandemia ha decisamente spostato in avanti…

di Maria Fioretti

9 marzo 2021

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Andrà così questo articolo: si muoverà tra un architetto e un salvatore, in mezzo qualche investitore. Cominciamo.
Stefano Boeri – la mente che sta dietro il Bosco Verticale di Milano – dichiara a Repubblica: «La pandemia ci ha fatto riscoprire i borghi storici. Così i piccoli comuni salveranno anche le metropoli». Nulla di nuovo, l’idea si ripete immutata dal marzo scorso. Dalle terre distrutte dal terremoto agli ex comuni minerari del Sulcis. Da Gromo, nella Bergamasca, a Brugnello sul Trebbia, Boeri punta su «Scuole all’aperto, cinema nelle piazze: con gli studenti del Politecnico di Milano stiamo provando a reinventare questi angoli di paradiso».

Eccolo qua, il piccoloborghismo. Lo stile classico del paese presepe, si legge ancora nell’intervista rilasciata ad Alessia Gallione: «Immagino città che diventano arcipelaghi di borghi e borghi storici che tornano a essere piccole città». Già, ma quali sono le condizioni minime del riabitare? Probabilmente non è spostando persone e multinazionali nei territori rurali che si realizzerà questo desiderio che – espresso così – sembra semplicemente una nuova colonizzazione.

Di gusci vuoti, su questa strada lastricata di buone intenzioni, ce ne sono tanti. E arriviamo così a Daniele Kihlgren, l’uomo che salvava i borghi: compratore seriale di paesi diroccati che puntualmente trasforma in Alberghi Diffusi, di lusso però. Sassi di Matera (Le Grotte della Civita), Abruzzo, Molise: solo a Santo Stefano di Sessanio è proprietario di un quinto del comune, recuperato e ridestinato all’ospitalità turistica. Il suo è un esempio di estrazione di valore in termini assoluti, che si manifesta in un’ossessione per la valorizzazione che alla fine lascia lo stesso vuoto, se non una percezione maggiore del decadimento e dello spopolamento. Infatti a Santo Stefano di Sessanio nel 2017 tutti i lavoratori impiegati nell’Hotel diffuso “Sextanio”, si sono ritrovati disoccupati da un giorno all’altro per i pochi introiti dovuti alla scarsità di turisti che foraggiassero le strutture.
Tra retorica e realtà si muove anche Ollolai, paesino nella Barbagia – raccontato da Michela Rovelli per Il Corriere della Sera – che nel 2018 ha messo in vendita le sue case a un euro. Dopo un boom di richieste e il reality show Ollolanda , durante la pandemia è diventato meta di tanti smart worker, anche stranieri, che vogliono lavorare circondati da un bel panorama e dall’odore del buon cibo.

Tutto molto interessante, ma non è che stiamo confondendo il lavoro agile con il nomadismo digitale causato dal Covid? Manager da New York, illustri professori della City, dottorandi universitari e molti altri professionisti, quanto resteranno? Proprio perché non si possono fare previsioni, il Comune ha siglato un protocollo d’intesa con una società che ha sede a Londra per aprire le porte agli investitori inglesi e riqualificare gli immobili, vendendoli poi al pubblico d’Oltre Manica.
Ogni volta che apprendiamo di queste incredibili imprese, noi pensiamo a Cortona, in Toscana, che in trent’anni si è trasformata, tanto. Così tanto da aver perso completamente il tessuto socio economico originario. Il mondo moderno, la globalizzazione, il turismo di massa e le case comprate dagli americani affascinati dal best seller – e dal film – Under the Tuscan Sun , la stanno snaturando. Gli abitanti e l’amministrazione sanno di essere a rischio e non possono permettersi di lasciare che la situazione vada avanti così: bisogna trovare un modo per bilanciare sviluppo economico e conservazione dei borghi storici.
Per ora la priorità è vendere e comprare – rispondendo alle leggi del mercato e dei Bonus statali – alle persone si guarderà poi.

Zungoli, un esempio
Approdiamo in Irpinia. Anche qui è facile dire case a 1 euro, così come è facile dire sold out – lo abbiamo visto – ma arriva il momento in cui le celebrazioni non bastano più e bisogna cominciare a studiare. Mettiamo da parte l’Agenzia delle Entrate e il valore catastale, teniamo da parte anche le tasse da versare: a Zungoli questa iniziativa è in piedi dal 2018 e il Sindaco Paolo Caruso – in una recente intervista a Irpinia TV – ha parlato di un successo da tutto esaurito, con 4mila manifestazioni di interesse, 28 abitazioni già assegnate e una terza graduatoria da scalare. Al 28 agosto 2020, però, nessuna casa è stata venduta.
In questo caso è il Sindaco che ha comprato quasi tutto il paese, che conta 800 abitanti. I circa 90 immobili sono stati tutti acquisiti a patrimonio comunale, 40 sono stati messi in vendita e nel decreto di acquisizione si legge che sono tutti inagibili o inabitabili. In sostanza i proprietari li hanno ceduti. Vanno dunque messi in sicurezza e restaurati, ovviamente – trattandosi di centro storico – bisognerà prima avere il parere positivo della Sovrintendenza per avviare i lavori, parere che non è ancora pervenuto. E qui sorgono le prime domande: questa operazione che costo ha per il Comune? A quali finanziamenti si ha intenzione di accedere per la ristrutturazione? Perché la definizione finanziamenti europei o statali è un po’ vaga. Qual è l’ambizione? Quale la proiezione a lungo termine? Ma soprattutto, dove porterà questo progetto se non alla svendita del patrimonio immobiliare di Zungoli?

Allo stato attuale questo delle case a 1 euro viene definito dall’Amministrazione come un progetto di ripopolamento, nonché di valorizzazione del patrimonio storico, culturale e architettonico. Peccato non si sia registrata alcuna vendita. Probabilmente perché prima bisogna anticipare un bel po’ di soldi per rendere gli immobili agibili, antisismici, per pagare le tasse di successione, per saldare la cauzione, per presentare un progetto – e quindi corrispondere un compenso ai professionisti che lo stileranno – e rispondere poi alla manifestazione di interesse. Un processo alquanto macchinoso e costoso che va fatto necessariamente prima della vendita a 1 euro, simbolico.
Eravamo scettici già tre anni fa, potete leggerne QUI.
All’inizio sono stati i privati a dimostrare la loro volontà di mettere in vendita gli immobili – con scadenza a tre anni – e il Comune non era coinvolto, se non nella pubblicazione del bando. Oggi invece il Comune ha acquisito le unità immobiliari, con tutti gli oneri e gli onori che questo comporta. Ma più passano gli anni, più le case diventano dei ruderi e necessitano di interventi di manutenzione. Più le rinunce si accumulano sulle scrivanie dell’ufficio tecnico. Più gli immobili restano aperti alle vandalizzazioni o diventano delle piccole discariche.
Ma qual è l’offerta di Zungoli? Ci siamo stati la scorsa estate nel Borgo più bello d’Italia, abbiamo fatto il giro del turista, solo con qualche chiacchiera in più per capire come ci si sta da abitanti. Certo qualche ora non basta per dare un giudizio, qui si tratta di andare a viverci. Eppure le strade per arrivarci sono franate – queste si le abbiamo viste – quando nevica è impossibile uscire di casa, per fare compere bisogna cambiare paese, le case sono appiccicate l’una all’altra e hanno i muri portanti in comune, il paese non è collegato bene al resto dei servizi essenziali. Insomma, forse prima di puntare sul turismo, le bandiere arancioni e i riconoscimenti, si potrebbe pensare di renderlo più vivibile per i cittadini che lo attraversano ogni giorno.

Veniamo a noi. Visitare e abitare – lo ricordiamo – sono due cose diverse. Ripopolare significa abitare, vendere le case a chi ha intenzione di trascorrerci al massimo qualche settimana di vacanza è insensato, soprattutto in un piccolo paese a cui mancano i servizi per riuscire a gestire i grandi flussi. E il resto dell’anno si ritroverebbe comunque svuotato. Questo assunto vale per tutti.
Qual è il vantaggio, dunque? Se ci fosse, l’Amministrazione potrebbe pensare di ergersi davvero a modello acquistando la prima casa a 1 euro di Zungoli, ristrutturandola e facendola diventare poi uno spazio di comunità? Oppure, non si poteva cominciare dall’acquisizione di una, magari due, anche tre case per rendersi conto della risposta e poi procedere così, a piccoli passi? Dopotutto è un esperimento. Gli spazi dell’abitare possono essere rifunzionalizzati, non per forza occupati: ogni paese è un progetto.
Fino a qui non ci sembra siano state fornite abbastanza ragioni per restare.

*Mentre questo articolo è online ci scrive Michele Centonze, un dipendente di Sextantio Spa: «Vorrei fare una precisazione. In merito al licenziamento dei dipendenti dell’Albergo Diffuso a Santo Stefano di Sessanio, la proprietà ha deciso di trasformare la struttura alberghiera da annuale in stagionale. Ragion per cui noi dipendenti siamo stati licenziati e riassunti subito dopo, solo per adattare i contratti al nuovo tipo di gestione aziendale. E questa scelta è stata dovuta non al fatto che non ci fossero abbastanza ospiti da sostenere i costi, anzi. Il problema di fondo è stato il terremoto del 2009 dell’Aquila, dopo il quale molte aziende del territorio hanno fatto fatica a riprendersi finanziariamente. Ed è solo per problemi finanziari, non di gestione quotidiana, che si è stati costretti alla trasformazione in stagionale, ma con la volontà di ritornare alla gestione annuale non appena fattibile. E poi, parlare di decadimento e spopolamento a Santo Stefano è quantomeno ingiusto. Grazie all’intervento di Sextantio si è passati da 20 residenti a quasi 150 nel giro di venti anni, da sole 3 strutture ricettive ad oltre 20. Questo approccio di tutela del paesaggio e del patrimonio storico, oltre al suo valore culturale, è diventato progetto trainante per l’economia di un territorio, seppur piccolo»

di Maria Fioretti (da ortcalab.it)

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