“Contro ogni buon senso”
Donatella Di Pietrantonio in un articolo su la Repubblica: “Il mio amore per i borghi e per chi ha scelto di restare”
di Donatella Di Pietrantonio
25 marzo 2021
Dove si lotta contro il gelo e un vento che taglia la faccia, lì ancora ci sono i borghi. A volte si arriva inerpicandosi su strade improbabili, chilometri di tornanti e salite, che fanno vacillare l’intenzione del visitatore. Ma all’improvviso, all’uscita da una curva, si apre il panorama di un paese e ripaga della fatica: aggrappato alla roccia, nemmeno lascia intravedere il confine tra la crosta terrestre e l’opera dell’uomo. Racconta una storia minore, la tenacia di chi ha voluto abitare il proprio luogo di nascita contro ogni buon senso.
Sono innamorata dei borghi. Ogni tanto mi prendo un giorno libero e vado a trovarne due o tre in una zona dell’Abruzzo che non sia quella in cui risiedo. Cammino per vicoli salutando gli anziani sulle porte delle case, ascolto il gocciolare di una fontana, il cigolio di un’imposta, l’odore di una minestra in cottura. Nei paesi non c’è fretta di niente. Si vive al ritmo del sole che sorge, compie il suo arco in cielo e tramonta dietro una montagna. Si dorme nel buio che cala. Il negozio di alimentari vende il pane buono, il formaggio locale, alcuni giornali. Il mondo corre ma lontano, i figli ci vanno e a volte tornano. Tanto necessario per i giovani l’andare, quanto il ritorno per i posti che li hanno aspettati – l’attesa ricordata da Pavese in “La luna e i falò”.
Salgo, l’ultimo tratto a piedi, fino a un borgo fantasma che ha il suggestivo nome di Frattura, a 1260 metri di altezza. Mi chiedo a chi sia venuta l’idea di fondare un abitato qui, sulla nicchia di distacco della frana pleistocenica che sbarrò il fiume Sagittario formando il Lago di Scanno. La storia mi risponderebbe che il castello medioevale era di guardia alla valle, e poi sono state costruite le case. Si sapeva poco, allora, di geologia. Su questo terreno incoerente il sisma del 13 gennaio 1915 ha avuto effetti disastrosi: 105 morti, soprattutto vecchi, donne e 64 bambini.
D’inverno gli uomini in età da lavoro erano in Puglia con le greggi. Conosciuto come il terremoto della Marsica, qui è stato chiamato il terremoto dei bambini. Eppure l’abitato è stato ricostruito poco più a valle: Frattura nuova. Oggi conta poche decine di residenti, ma ancora c’è, a testimoniare l’affezione – nel doppio senso di attaccamento e malattia – dell’uomo per le proprie radici. Il panorama è incomparabile: il lunare Monte Genzana, i folti boschi e il lago che in certi scorci ha forma di cuore. L’aria è pura, quasi come nel Pleistocene.
Restanza, l’ha definita Vito Teti. I restanti abitano – abitiamo – nei paesi. È un legame complesso, in cui si somma passione per i luoghi e svogliatezza o incapacità nell’immaginare la propria vita altrove. Ci piace il poco che c’è, questo scorrere lento, entrare e uscire liberamente dalle porte dei vicini – quando si poteva e quando di nuovo si potrà. Ci piace la verdura fresca dei contadini e il ciclo naturale delle stagioni nelle campagne intorno. Si va a camminare in montagna o sulle colline.
Ci disturba la falsa celebrazione delle nostre bellezze, il gran parlarci addosso della politica che vuole rivitalizzare i borghi ma intanto chiude gli ospedali di prossimità, taglia i servizi, non ripara le strade. Arrabbiati per un po’, superiamo lo scoramento. Non è difficile ritrovare motivazioni e pretesti per restare sotto lo stesso cielo di nuvole e sole. A qualcuno sembriamo sfigati e glielo lasciamo credere.
di Donatella Di Pietrantonio (da la Repubblica del 22.03.21)