I nomi di luogo matesini
Non puri, purissimi accidenti. Infatti hanno sempre un significato pregnante per i riferimenti che contengono alla morfologia dei luoghi o a specie animali o a piante e così via. Una brevissima rassegna dei toponimi presenti nel Parco Nazionale del Matese
di Francesco Manfredi Selvaggi
29 marzo 2021
Per capire come la popolazione ha sentito il suo territorio si possono utilizzare pure i toponimi. Vi sono luoghi sul Matese che hanno ispirato sentimenti di bellezza, vedi il Colle Bellavista, la groppa terminale delle Tre Finestre, tutt’e tre con un’ampia visuale sulla vallata, e Miralago, lì dove è l’omonimo albergo per i villeggianti che desiderano fare una vacanza sul Lago del Matese. In verità, prima della stagione del turismo montano iniziata poco più di un secolo fa i nomi delle due località erano differenti e, di certo, vennero sostituiti per rendere questi luoghi più attraenti, forse in vista dell’affermarsi dell’industria turistica.
Colle Bellavista si chiamava Colle di Mastro Cosimo, mentre Miralago era il Passo del Prete Morto. Per quanto riguarda quest’ultimo è da rilevare che esso è prossimo ad una serie di posti con denominazioni altrettanto tenebrose, a formare una sequenza: l’Impiccato, che è stato il “logo”, il fantoccio appeso ad un palo con una corda al collo, di un ristorante che stava lì, la Fonte del Corvo che insieme alla Grotta delle Cicale, cioè civette, fonte e grotta sono intitolate, se così si può dire, a uccelli, secondo la credenza popolare, di malaugurio, la Valle dell’Inferno.
C’è poi, molto distante, il “ponte del diavolo”, un riferimento al demonio per l’abilità, in qualche modo, diabolica, tanto esso è ardito, necessaria per realizzare lo scavalcamento della gola del Quirino all’Arcichiaro, ma non è niente di originale perché è una espressione utilizzata assai frequentemente per opere simili. Dunque, sulla nostra montagna vi sono tanto toponimi di tipo angelico, legati al godimento delle vedute, quanto demoniaci, nel senso di essere in grado di suscitare paura. Esiste anche il Fosso della Strega, per completezza. Non sono, ovviamente, queste, il piacevole e il tenebroso, le uniche due categorie in cui è possibile suddividere i toponimi matesini.
Anzi, sono minoritarie. La maggioritaria è quella dei nomi legati alla geomorfologia. Proviamo a farne un elenco, pur nella consapevolezza che esso rimarrà incompleto. Oltre le Tre Finestre già citato, vi sono Campo dell’Arco, l’arco naturale scavato nella roccia che sta nel versante campano, Pesco, pietra, Rosso, nell’agro di Monteroduni, Campanarielli, pinnacoli rocciosi a Roccamandolfi, Bocca Muzza, ancora in tale comune, Pianelle, sul lato molisano, e Pianellone, in Campania, la Costa Alta, che per i sammassinesi è «mus pelus», muso peloso, quasi fosse un mento con la barba, il bosco.
Si può ascrivere sia alla geomorfologia sia all’idronomia il torrente La Valle, torrente corso d’acqua, valle un fatto geomorfologico. Pure gli idronimi, anche se in maniera inferiore, sono presenti sulla nostra montagna, a cominciare dalle sorgenti in quota, le falde sospese di Capodacqua, Acquabona e Fonte dei Faggi le principali, passando per la distesa lacustre del Lago del Matese, per i salti, le, con un termine moderno accattivante, Cascate del Rio, per gli accumuli nevosi, anche questi sono corpi idrici, il Fosso e il Pozzo della Neve, per finire con manifestazioni dell’azione dell’acqua in superficie, senza che essa, la protagonista, si faccia scorgere, note come fenomeni carsici, le doline, conchette circolari con relativo inghiottitoio, una è Campo, appunto, Rotondo e i massi rocciosi “cariati” a causa della dissoluzione del carbonato di calcio dovuta agli agenti atmosferici, quali quegli del Bosco di Pietra.
Per rendersi conto di quanta acqua precipita su questo complesso montuoso, precipitazioni allo stato semi-solido, nevose, e liquido, pioggia, che non possono non aver avuto conseguenze sui lineamenti paesaggistici, basta osservare la copiosità delle scaturigini del Biferno, quindi la grandezza dei bacini idrici sotterranei. L’acqua sul Matese è stata presente anche allo stato solido, il ghiaccio, nelle ere più fredde del pianeta e ce lo ricordano i circhi glaciali; il toponimo anfiteatro è davvero recente, da attribuirsi ai gestori dell’impianto di risalita che qui smonta perché in precedenza tutta l’area in cui esso è compreso veniva identificata, nell’insieme, come la cima di m. Miletto e, d’altro canto, i circhi glaciali sono tipici della sommità di un monte, formandosi appena sotto la vetta.
Posto com’è così in alto la sua sagoma è visibile da molto lontano, ma per coglierne la sua essenza di colatoio di detriti bisogna avvicinarsi, magari salendo con la seggiovia. I ghiacciai a qualunque latitudine si stanno ritirando lasciando, però, un’indelebile impronta sul suolo ed è ciò che succede nel nostro massiccio in cui ce ne sono pure di minori, i Circhi dell’Aquilana. A proposito di questo toponimo vediamo che esso contiene un riferimento all’aquila, è una ipotesi che, però, è giustificata dal fatto che tale uccello predilige per nidificare gli angoli montani più impervi.
Il predetto toponimo si può ascrivere sia alla tipologia di quelli morfologici sia agli idronimi sia agli zoonimi. Gli animali connotano molti nomi di luogo e molte sono le specie di animali che si riscontrano nei toponimi del Matese, quasi che, esagerando, siamo al cospetto di uno zoo. Tra gli zoonimi compare il riferimento al cavallo, Sferracavallo, al maiale, monte Porco, al cane, Forca di Cane, alla mucca, Cul di Bove, e Sbregavitelli, bestie addomesticate dall’uomo e, accanto a queste delle razze pericolose per gli esseri umani, il lupo, Passo del Lupo, e l’orso, Campo dell’Orso; vi sono, poi, zoonimi ornitologici, la Fontana dei Palombi e le citate Grotta delle Cicale, Fonte del Corvo e Circhi dell’Aquilana.
A metà tra l’ornitologia e la geomorfologia sono i toponimi Gallinola, per il profilo del monte che assomiglia ad una cresta, e Pietra Palomba, uno spuntone calcareo che vagamente assomiglia ad un colombo pronto a spiccare il volo, proteso com’è sulla valle. Mancano toponimi riguardanti le pecore, nonostante siano i capi di bestiame più numerosi tra quelli che frequentano le praterie d’altitudine; esiste solo Colle del Caprio, colle perché le capre si adattano anche ai terreni scoscesi.
Vi sono toponimi collegati a elementi della natura come il vento, Guado della Borea, e altri rivelatori di particolari usi antropici, Arca di Pane dove si abbeverano gli animali che erano la ricchezza, pecus e pecunia, per la popolazione di quassù (nel fondaco sta l’arca, è poco più di una coincidenza, e nel Fondacone sta Arca di Pane). Non può mancare il classico cima Croce, toponimo ispirato alla religione. Un capitolo a sé, tanto è vasto, è quello dei toponimi “vegetali”: Campo delle Ortiche, quasi ad avvisare che è una zona con piante non commestibili per i bovini e gli ovini, Selva Piana e Bocca della Selva, con selva che sta per bosco, Campo dell’Acero, l’Acerone, la Soglietta degli Abeti, la Fonte dei Faggi, Pinetina, che è un rimboschimento, e, in collina, i Tre Frati che sono alberi monumentali.
di Francesco Manfredi Selvaggi (da ilbenecomune,it)