• 7 Aprile 2021

Visione quadridimensionale del Molise

Letture incrociate spaziali e storiche permettono una comprensione della realtà regionale migliore di quella che si ottiene con analisi distinte. Una scienza che può aiutare in tale lavoro è la Geografia che, purtroppo, rischia di sparire dai curricula scolastici, in combinato con la Storia

di Francesco Manfredi Selvaggi

7 aprile 2021

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Per analizzare i cambiamenti nel paesaggio molisano è bene adottare inizialmente due distinti sistemi di coordinate, basate su due parametri distinti, quello dello spazio e quello del tempo. In seguito vedremo che essi si ricongiungono in un unico criterio di lettura, quello spazio-temporale in cui le due chiavi di interpretazione si confondono, ovverosia si fondono. È un po’ ciò che ci hanno insegnato le avanguardie artistiche del secolo scorso quando con il Cubismo hanno aggiunto alle tre dimensioni canoniche della raffigurazione delle cose, superficie, altezza e volume, descrittive dello spazio, una quarta, appunto la quarta dimensione, che è il tempo il quale è per gli esponenti di tale corrente pittorica (e anche scultorea, vedi il “futurista” Boccioni) il movimento dell’osservatore intorno all’oggetto.

È questo spostamento, che consente la vista all’unisono delle varie facce e di ciò che si intende rappresentare, a dare la visione completa della realtà. La fusione di spazio e tempo non è solo il fondamento dell’arte contemporanea, ma pure di altri campi della cultura dei nostri tempi, compresa la scienza essendo l’essenza della teoria della Relatività. Questa temperia culturale informa ormai da tempo anche il mondo dei paesaggisti, i quali in prevalenza architetti sono abituati, poiché l’architettura partecipa alle questioni figurative insieme a quelle scientifiche, a misurarsi con il tema della simultaneità di spazio e tempo.

Dunque, procediamo. La regione, in senso spaziale, va suddivisa tra basso, medio e alto Molise. Il panorama che abbiamo di fronte è costituito da un’area pianeggiante, oggi la più sviluppata, con insediamenti industriali, in verità in declino, agricoltura intensiva, abitati cresciuti in maniera consistente e, sulla striscia litoranea, aggregati turistici, da una fascia collinare dove, salvo il capoluogo regionale, si avverte un arretramento della presenza umana, da una zona montana, “costituzionalmente” poco popolata in cui il declino demografico appare irreversibile.

È, ciò che si è esposto, un modo di vedere “sincronico”, cioè con tutti i luoghi dei quali si compone la terra in cui viviamo descritti in contemporanea, nel senso sia di età contemporanea sia visti l’uno fianco all’altro. L’ottica “diacronica” è, invece, quella dello studio storico, quindi l’evoluzione, la quale è differente tra ambito e ambito, che ciascuno dei territori ha avuto.

Qui da noi le grandi fasi della storia non hanno interessato nella stessa maniera ogni angolo della regione: da quella sannita in cui la popolazione prediligeva i rilievi montuosi e, perciò, i comprensori più interni a quella romana nella quale gli indigeni vennero costretti a scendere nel piano, nei fondovalle, da quelle medesime “terre alte”, ad arrivare a quella novecentesca in cui si è assistito ad un autentico capovolgimento di fronte perché le trasformazioni hanno interessato, le più consistenti, il Basso Molise, il quale fino ad allora, vale a dire dalla notte dei tempi, non si era mai affacciato sull’ideale palcoscenico della Storia.

Alle mutazioni nel contesto territoriale bassomolisano ha fatto da contrappunto l’immobilità, per non dire immobilismo di quello altomolisano. In definitiva, la storia ha attraversato il Molise in momenti diversi e in punti diversi, magari ritornando sui suoi passi come quando nell’alto medioevo si ritornò, dato che le piane erano diventate inospitali per i frequenti allagamenti, ad abitare in altura, anche se non nei recinti sannitici, oppure allorché nel Secondo Dopoguerra dalla dispersione insediativa nei tanti minuscoli borghi risalenti alla dominazione normanna che sono in collina, con un processo inverso, si è passati ad una concentrazione degli abitanti nei centri di origine romana che sono di pianura.

Da un lato tale vero e proprio saliscendi, da un altro lato lo spostamento degli interessi, innanzitutto economici, e, di conseguenza, delle persone sulla costa. Quest’ultimo è un fenomeno che è avvenuto con tempi rapidissimi, se rapportato alla lentezza delle modificazioni della distribuzione demografica e delle attività intervenute in precedenza.

È come se il Molise nei secoli sia stato composto, scomposto e ricomposto una pluralità di volte. Colui, pertanto, che voglia comprendere a pieno la realtà regionale dovrà muoversi su e giù nella storia e nello spazio assumendo una modalità di osservazione quadridimensionale, simile a quella dei Cubisti o se si vuole dei Futuristi se non fosse che questi ultimi amavano la velocità, per loro la vera novità dei tempi moderni, la quale non si confà al lento fluire, c’è chi la chiama stagnazione, degli avvenimenti dalle nostre parti.

Non veloce, di certo, altrimenti non si colgono i particolari (mettiamo il perché di una contea longobarda che fa capo a un semplice villaggio, è il caso di Pietrabbondante e di Rotello, oppure la ragione per cui, date le identiche caratteristiche dei siti in cui sono sorti, dei municipi di Bovianum e di Saepinum solo il primo ha avuto una continuità di vita, la cittadina odierna, e così via) ma, comunque, dinamico per mettere in relazione fra loro località distanti nel tempo, ad esempio il monastero De Iumento Albo nell’agro di Civitanova, forse “generata” da esso, e nello spazio, i poli opposti della transumanza che sono le montagne dell’Altissimo Molise e le distese pianeggianti a confine con il Tavoliere.

Nel corso di quasi tre millenni, sono dell’VIII secolo a. C. le necropoli di Campochiaro e di Guasto di Castelpetroso, nei quali si è passati dal seminomadismo alla civiltà di oggigiorno, a seconda dei periodi, i fari della Storia, la stiamo di nuovo personificando, hanno illuminato, il palcoscenico di prima, ora un pezzo della regione ora uno differente, lasciando in un cono d’ombra il resto. Si avverte utilizzando la metafora del teatro diventiamo spettatori e, quindi, stiamo fermi, non c’è più richiesto di muoverci.

Si precisa che, inoltre, poiché non siamo in società etnografiche, l’evoluzione storica c’è sempre pure nei posti, quelli in ombra, in cui si crede che non succeda niente. Peraltro la sceneggiatura di questo spettacolo dalla durata plurimillenaria ha previsto pure che una scena, o meglio uno scenario dato che stiamo trattando di paesaggio, sia maggiormente lunga e estesa, in larghezza, comprendendo porzioni di territori attualmente appartenenti a regioni vicine, prendi il Sannio beneventano e il versante campano del Matese, o, al contrario, sia di estensione ridotta, nell’atto, teatrale, in cui il protagonista è il Contado di Molise nel quale non rientrava il circondario di Termoli.

Ispira tenerezza il sogno dei programmatori di Italia ’80, autori del primo piano di sviluppo regionale redatto nel 1971, che azzerando ogni cosa, facendo tabula rasa delle specificità locali, rinunziando a leggere la complessità storica contestualmente a quella geografica, seguendo il mito delle città-regione. Con un atteggiamento illuministico, secondo la logica della Zonizzazione, così come si fa nella pianificazione urbanistica, in un disegno abbastanza astratto stabilirono dove dovessero essere ubicate le industrie, le funzioni direzionali, i servizi per il tempo libero e il turismo, gli agglomerati residenziali (confermando, peraltro, in gran parte quelli esistenti). La forza inerziale della storia che fa “massa critica” con la geografia ha vanificato questo sforzo che non ha tenuto in debito conto il tema dello spazio-tempo.

di Francesco Manfredi Selvaggi (da ilbenecomune.it)

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