“La scatola di latta”
Come “applicare sul campo” le teorie e modelli dello sviluppo, in particolare nel Mezzogiorno d’Italia
di Gianluca Palma
14 maggio 2021
I paesi son più belli, / quando li vai a trovare / senza appuntamenti, / una domenica mattina / mentre si fan la barba / o sono ai fornelli. / Una sera qualunque / quando sono in pigiama / e senza trucco.
L’esperienza che proverò a raccontare nasce dal desiderio di contribuire al benessere del proprio territorio all’indomani di una laurea in Scienze per la cooperazione e lo sviluppo. Come “applicare sul campo” le teorie e modelli dello sviluppo, in particolare nel Mezzogiorno d’Italia?
Nel 2010, dopo gli studi, concepii “La scatola di latta” definendola come uno scrigno di beni comuni, di luoghi, storie e persone «raccolti come fiori, con riguardo e cura», errando per le vie dei paesi, delle frazioni, periferie e campagne del sud della Puglia. Da una parte ci sono i luoghi, dall’altra le persone e al centro ci sono le storie. Insieme ad un gruppo di amici proviamo a custodire la conoscenza, coltivare le relazioni e praticare la restanza.
Con la Scatola di latta promuoviamo occasioni di coinvolgimento delle comunità locali, attraverso passeggiate spontanee e incontri civico-culturali, con un chiaro invito a scoprire la bellezza (e la bruttezza), favorendo un’educazione estetica, critica e poetica fruibili a tutti. Passeggiate ed iniziative itineranti per paesi e paesini, tra paesani e con i paesani, per abilitare i cittadini alla partecipazione culturale a sostegno della valorizzazione diffusa dei patrimoni locali esistenti. Passeggiare per concedersi di “curare lo sguardo”, per scoperchiare prima di custodire, passeggiare per spiare dietro un balcone, per accorgersi di un dettaglio architettonico forse mai davvero osservato. Passeggiare per dare un’alternativa alla “domenica pomeriggio al centro commerciale” o “alle tante solitudini”, perché chissà chi viene stasera, chissà chi spontaneamente leggerà una sua poesia, chi metterà a disposizione la sua arte, chi rivelerà i segreti del suo antico mestiere. Viaggiare insieme nel proprio territorio per ascoltare la spontanea declamazione di un verso di Rocco Scotellaro o per stupirsi, perché accanto ad un noto poeta come Vittorio Bodini, c’è uno scrittore o un’artista locale ancora da scoprire e da svelare.
Iniziative il più possibili spontanee, ma anche inedite e irripetibili, perché difficilmente si ritorna nello stesso paese e, quando accade, il ritorno comporta l’attivazione di altre energie e competenze ad arricchire nuovi sguardi, nuove sinergie e nuove scoperte. “Comunità provvisorie” di persone si ritrovano spontaneamente per conoscere e conoscersi, per ascoltare e ascoltarsi, per raccontare e raccontarsi di storie di erranza ma anche di restanza.
Ad oggi sono circa un centinaio di paesi e frazioni leccesi in “custodia sociale” nella scatola, che si avvia verso il raggiungimento del numero complessivo di paesi battuti a piedi nella provincia leccese che sono 97 comuni e 45 frazioni, senza tralasciare alcune esperienze realizzate fuori dalla regione pugliese, come in Molise, Calabria e in Basilicata, con la prospettiva futura di esportare le storie per condividerle con un pubblico più ampio e imparare dagli “altri”. Le iniziative, libere e senza scopo di lucro, pongono infatti l’accento sul conoscere e sul far conoscere gli usi e costumi del territorio e mirano a stimolare il senso civico, come un approccio “critico” a un certo tipo di turismo, ad una “sana” alimentazione, ai “consumi culturali”, ecc.
Si può viaggiare restando seduti?
Qui di seguito, proverò ad illustrare le altre iniziative che promuoviamo da circa una decina d’anni. La rassegna “La poesia nelle piccole cose”, è caratterizzata da incontri che accompagnano le persone nelle case di “persone stra-ordinarie”, nelle aziende e nelle botteghe degli artisti/artigiani invitando ad osservare, conoscere, ascoltare e “festeggiare” questi luoghi/persone quando sono in vita (e non quando non ci sono più). Ad esempio, abbiamo conosciuto un giovane agricoltore che recupera la canapa sia per uso alimentare che edilizio. Oppure abbiamo “pascolato” e pranzato con i pastori che preservano e allevano le capre joniche, una razza in via d’estinzione. Finanche l’imprenditore tornato nella propria terra che produce succo e vernice dai melograni.
Sono poi nate le “Storie di Restanze e Partenze”: incontri in cui i residenti, i ritornanti, gli stranieri, i richiedenti asilo raccontano perché partono, perché restano, perché vengono o tornano in Salento. Un confronto non sempre facile, ma che ha reso possibile superare i pregiudizi ed essere più accoglienti l’uno con l’altro, favorendo contaminazioni culturali ed emotive e incoraggiando una sorta di identità “glocale” aperta “all’altro” e meno arroccata su abitudini localistiche.
“Storie di ordinaria resilienza e di straordinario amore” è il titolo della rassegna articolata in più appuntamenti che affrontano il tema della morte, della sofferenza, della disabilità e delle difficoltà quotidiane della vita. Come anche le visite ai cimiteri per conoscere le storie di che non c’è più ma che può rivivere attraverso la narrazione dei “vivi”.
Poi c’è il progetto de “Le tesi del Salento”: un portale nel quale aziende, agenzie per la ricerca di personale qualificato, giornalisti, case editrici, studi legali, commercialisti, liberi professionisti e lettori interessati potranno leggere i lavori di tesi e i relativi curricula e contattare gli stessi autori per proporre loro opportunità di lavoro, consulenze, contatti e progetti. Spesso questi lavori, e prima di tutto questi talenti, non vengono valorizzati adeguatamente o non trovano un luogo né virtuale né “territoriale” che dia spazio alle proprie idee. Riunire in un portale le tesi dei “cervelli salentini” sparsi in tutto il mondo è un modo per conoscere studi e ricerche di particolare rilievo e creare una comunità professionale mettendo in rete la realtà socio-economica con i laureati di ieri, oggi e domani. E per mettere in circolo questo sapere organizziamo degli aperitivi a “base di tesi di laurea” nel quale viene favorito l’incontro fa i laureati, la comunità e le persone interessate.
Segnaliamo anche il progetto civico-letterario “LibrInScatola”. Dalle piazzette alle chiese, dalle corti ai palazzi storici, dai fari alle torri costiere, dalle masserie fino in aperta campagna. Infiniti posti si rivelano adatti per promuovere la cultura. E infiniti modi si possono sperimentare per diffondere produzioni culturali e favorire il sapere, stimolare il rispetto per la cultura dei luoghi, nello spirito della relazione e del confronto. Da questa considerazione nasce “LibrInScatola”, per creare una piattaforma condivisa di conoscenza. In modo conviviale, gli ospiti presentano un proprio libro/opera, dialogano con un interlocutore e con i presenti. Contribuiscono così alla costruzione dal basso dell’“archivio della Scatola”, luogo fisico e immateriale che raccoglie lo “storico” delle presentazioni effettuate, e incoraggia lo studio e la ricerca.
Fra l’iniziative più recenti “Quante storie per una Littorina”: l’idea è quella di viaggiare con il treno (littorina in molti casi) delle ferrovie Sud Est che collega i paesini delle province di Lecce con quelli di Brindisi e di Taranto. Le littorine, solitamente poco usate – vuoi per la lentezza, vuoi perché spesso è abitudine prendere la macchina – in giorni “di normale quotidianità” vengono “animate” da artisti, poeti, psicoterapeuti, che accompagnavano i viaggiatori a intrecciare il paesaggio visto dal finestrino – landscape – al paesaggio interiore – mindscape. Un viaggio di conoscenza di sé e dell’altro, dunque, nella cornice di un territorio da pensare e da ripensare. E un’occasione per far conoscere e sensibilizzare i residenti all’utilizzo del treno e un modo per spronare l’amministrazione pubblica/privata ad offrire migliori sevizi e collegamenti.
Nel 2020 è partito il tour di “Quante storie in una scatola”: un viaggio fotografico, poetico, civico fra i luoghi, le storie e le persone belle del Meridione. Se le passeggiate sono per i “camminatori”, “Quante storie in una scatola” sarà l’occasione per trascorrere convivialmente del tempo e viaggiare “con i piedi per terra”. Durante questi incontri da una parte si racconteranno ai partecipanti le storie di persone e di luoghi “custodite nella scatola” da circa dieci anni e dall’altra si accoglieranno le loro impressioni e riflessioni.
Siamo quello che scopriamo e custodiamo
Tutte queste iniziative generano e fanno scoprire storie di beni comuni materiali e immateriali, tangibili e intangibili, manifesti e nascosti, di difficile censimento. Storie di grande ricchezza e valore sociale, particolarmente meritevoli di essere ri-conosciute, preservate e custodite gelosamente per salvaguardarne la memoria. Storie che assicurano nuove immersioni nell’immaginario e che, in una immensa rete di scambi, innescano processi creativi che rimodulano il rapporto delle comunità con il territorio di appartenenza.
I partecipanti spesso non sono guide turistiche nel senso tradizionalmente inteso, ma dei genius loci che praticano “invasioni dolci” per realizzare ponti e contaminazioni fra contesti, organizzazioni e persone diverse e, quindi, per sviluppare quel capitale sociale che rafforza e crea i legami nelle comunità e un’affezione ai luoghi. Gli incontri e gli eventi della Scatola di latta sono gratuiti o con un contributo di com-partecipazione volontario, con l’azione propositiva, estranea alla logica dei bandi e dei finanziamenti, di «sperimentare una forma alternativa non istituzionalizzata» di coinvolgimento delle comunità “offline e online”, favorendo processi partecipativi e stimolando sul territorio il networking fra gli attori del territorio.
Si cerca, da un lato, di “rammendare”, nel senso di riallacciare le risorse e le competenze di cui è ricco il territorio per ricucire relazioni di fiducia e di reciprocità, permettendo quel “baratto culturale” tra persone che mettono a disposizione i propri saperi, conoscenze e arti; dall’altro di facilitare connessioni e opportunità per progettualità d’azione con altri attori sui territori. Un lavoro di tessitura di relazioni, che partendo dalla costruzione stessa della comunità ne promuove la “capacitazione”. Memoria e identità di paesi, paesini e paesani, custodite gelosamente in una scatola di latta: beni comuni di cui occuparsi per una responsabile maturità civile e sociale.
Ci sono tutte le componenti per una “infrastrutturazione” culturale tra territori e comunità.
Come si chiama quell’attitudine, / a prendere in mano i batticuori altrui, / i brillii dei cervelli, / l’artetica delle mani, / i piè veloci, / i nasi sopraffini, / l’udito fino, / occhi che guardano oltre il giardino, / la pelle colorata, / e provare a rammendare con ago e filo / le affinità e benedire le differenze. / È una missione o una condanna, / amare i paesaggi, i paesi, i paesani, / gli anziani bambini, / le lune quasi piene, / una corte dietro un angolo, / una baita su in montagna, / una barchetta in riva al mare, / una bottega al centro, / un’associazione no profit in periferia? / Ripongo l’ago e filo, / e quel che resta in una Scatola di latta.
Daìmon: A scuola per restare
Cadono gli ultimi petali dell’estate, / rincasano le luminarie dalla festa / e sfioriscono i paesi / fra saluti ed addii. / Qui rimarranno i Don Chisciotte / e i Sancio Panza assieme ai mulini al vento, le torri costiere, / i muretti a secco, / i gatti e gli anziani / a lottare contro l’inquinamento, / l’incuria, lo spopolamento, / la fuga degli ulivi / e l’emorragia della braccia e dei cervelli.
I paesi sono i luoghi ideali in cui sperimentare politiche innovative da un punto di vista civico, sociale ed economico, in cui tessere nuove comunità e costruire insieme il futuro. È da questo presupposto che nel gennaio 2020 abbiamo presentato a livello nazionale “Daìmon: A scuola per restare”. Una scuola che non terminerà mai: itinerante, multidisciplinare, inclusiva, gratuita e accessibile a grandi e piccini; senza porte e finestre, senza pagelle e attestati, senza compiti e calendari da rispettare; con “luoghi di apprendimento” disseminati nei campi, nelle cantine e nelle botteghe, diffusa nei paesi e nei paesaggi d’Italia. Una scuola adatta a chi vorrà abitare poeticamente e civicamente i propri territori e a chi vorrà conferire pienezza al proprio re-stare.
Da decenni l’Italia è vittima del calo demografico e dello spopolamento per abbandono volontario o forzato da parte dei suoi abitanti. Ma è in atto anche una migrazione interna che, come una bussola, è pressoché unidirezionale e riguarda uno spostamento massivo di cittadini dalle regioni del Sud a quelle del Nord Italia. Interi paesi sono diventati – o stanno diventando – luoghi fantasma, mentre le città medio-grandi si apprestano a diventare metropoli prive di spazio vitale. È fondamentale preservare il patrimonio culturale e naturale dei piccoli centri, per tutelarne la produzione agricola, culturale, artigianale, enogastronomica, economica.
A partire da queste osservazioni, l’antropologo calabrese Vito Teti ha coniato il concetto di “restanza”, un rimando alle parole “erranza” e “lontananza”. Non pigrizia, né per così dire “resistenza passiva” o tantomeno rassegnata: bensì un atteggiamento attivo e propositivo, da praticare nella quotidianità: lavorando a una ridefinizione continua dell’ambiente, recuperando e rigenerando il paesaggio in relazione alla presenza dell’uomo, in piena armonia. La nostra idea è che si possa restare anche con un entusiasmo del viaggiatore. Emozionarsi, entusiasmarsi nel vivere il proprio paese ogni giorno (o quasi), cogliendo l’invisibile, ciò che spesso ci sfugge, trovando nuovi significati, rinnovando con propositività, rispetto e cura per il territorio. Il primo passo da fare è imparare ad abitare se stessi, per poi provare a sviluppare una sensibilità civica.
I paesi rappresentano una grande risorsa e una grande opportunità. Non sono un residuato del passato o un’eredità di un “piccolo mondo antico” avulso dal presente. Anzi, i piccoli comuni possono essere un luogo dove si possono sperimentare politiche innovative dal punto di vista civico, sociale ed economico, dove si possono costruire nuove relazioni con i luoghi e le comunità, dove si può (e si deve) parlare di futuro immaginarlo e costruirlo insieme.
Di sicuro il futuro dell’umanità sarà ancora costituito da cammini e spostamenti. L’etica della restanza non promette una rivoluzione, ma indica la strada per costruire avamposti contro l’impoverimento culturale e per erigere zone di accoglienza verticale e orizzontale – caminetti o luoghi di ristoro – da offrire ai viandanti: indica la strada per creare rete, scambio di saperi, corrispondenze e quindi arricchimento.
Ed è proprio questo che la scuola chiede in luogo di una quota di partecipazione: un baratto in sapere, manufatti, tempo, ospitalità, prodotti o edificanti segreti per un abitare consapevole. Daìmon, la scuola per restare, si propone di andare a conoscere alcune delle persone che già vivono in maniera responsabile i propri territori, favorendo occasioni di confronto fra diverse comunità, approcci, individualità. I partecipanti, inoltre, saranno chiamati a ricoprire il duplice ruolo di corsisti e maestri, apprendendo, condividendo e contaminando saperi e pensieri. È importante sottolineare che questo percorso non ha una scadenza. Noi vorremmo sensibilizzare le persone a re-stare, con il trattino, cioè a rimanere nel luogo dove vivono – non necessariamente dove sono nati – prima conoscendo poi valorizzando il paesaggio, la cultura, il cibo, le pratiche, le tradizioni di quel territorio. Non vogliamo però che soprattutto i giovani rimangano in un posto senza davvero volerlo e magari sognando di emigrare. Promuoviamo perciò la consapevolezza anche psicologica del rimanere: chi resta può dare una mano a sviluppare l’economia, la nostra è una filosofia ma vuole far quadrare anche i conti. Non siamo nostalgici né campanilistici, quello lo lasciamo a chi pensa di voler tracciare confini tra noi e gli altri. Abbandoniamo la logica della competizione: tutti i territori hanno qualcosa da dire e da offrire alle persone, in primo luogo a chi ci abita.
Dalla pubblicazione del manifesto della Scuola nel gennaio 2020, ad oggi hanno aderito oltre 500 persone/realtà: come docenti, come alunni, come collaboratori da ogni parte d’Italia [1]. Un pescatore offre di fare lezione di mare in barca, un pastore ci aspetta per la transumanza in Molise, una professoressa calabrese vuole organizzare un treno della filosofia. Le possibilità sono innumerevoli e non sempre collegate ai festival o agli eventi speciali poiché l’idea è che tutti i luoghi possiedono ricchezze dal lunedì alla domenica, se solo c’è la voglia di scoprirli. A fine febbraio 2020 la Scuola della Restanza è “uscita” dai confini della Puglia per approdare in Basilicata, luoghi di “lezione” Pisticci e San Mauro Forte (Matera).
Durante i due giorni di “scuola” abbiamo visto insieme ai partecipanti (arrivati da diverse parti del sud Italia) il documentario Vado verso dove Vengo [2] a cura di Luigi Vitelli, che racconta otto storie di partenze e ritorni dalla Basilicata e incontrato realtà resilienti e attive nel comune di Pisticci. Molti conoscono già i Calanchi di Aliano, dove si tiene il festival di Paesologia organizzato da Franco Arminio. Noi abbiamo incontrato un gruppo di ragazzi che da anni organizzano un altro festival nei Calanchi di Pisticci, di teatro e tutto in acustica. Poi siamo andati a San Mauro Forte e conosciuto una Cooperativa di Comunità che sta recuperando grani antichi. Inoltre, abbiamo ascoltato un poeta che vive in una “casa grotta”, Alfonso Guida, che ci ha commossi con le sue immagini di paesi, di abbandono e di restanze.
Ad agosto 2020 abbiamo organizzato quattro giornate “di studio” in provincia di Cosenza partendo da Civita per incontrare la comunità Arbëreshë grazie a Stefania Emmanuele di BorgoSlow e poi proseguendo gli incontri a Longobardi, Fiumefreddo Bruzio e Belmonte Calabro. Durante queste giornate abbiamo fatto rete con le seguenti realtà:
– La Rivoluzione delle Seppie: un gruppo attivo di giovani professionisti internazionali che opera in Calabria e interessato ad esplorare i confini della pratica e dell’educazione. Attraverso la ricerca, la progettazione, il design e la formazione, Le Seppie, hanno come obiettivo quello di migliorare il tessuto culturale della comunità, di promuovere l’integrazione sociale e lo sviluppo del territorio.
– BorgoSlow: una community di buone pratiche nei borghi, connotate da senso di cura e rispetto del territorio e progetti di innovazione sociale.
– Borgo di fiume: un albergo diffuso che offre ai viaggiatori lo stile di vita del borgo in ambienti riportati agli antichi splendori. L’enosteria con l’orto “Il Convivio” propone prodotti “identitari” e a km zero.
Entrambi le occasioni sono state stimolanti e hanno dato modo di sperimentare una sorta di “turismo civico” dove persone e realtà affini alle finalità della scuola si sono incontrate e hanno fatto rete. E da maggio 2020 (causa COVID) abbiamo promosso circa 20 incontri “online” su tematiche attinenti alla scuola con ospiti di ogni parte d’Italia, fra cui: Vito Teti, Rossano Pazzagli, Antonio De Rossi, Francesco Mauro Minervino, Emilio Leo, Emanuele Felice, Giusy Cannella, Nicola Grato, Beatrice Zerbini, Marco Bussone, Luca Bertinotti, Laura Pavia, Agostino Riitano, Francesco Bevilacqua, Michele Citoni, Claudia Fabris, Giuseppe Milano, Michele Marziani, e tanti altri cittadini italiani[3]. Nell’ultimo incontro di martedì 13 aprile abbiamo avuto il piacere di fare un “viaggio etnografico alla scoperta di piccole patrie, comunità e l’antropologo giardiniere” ascoltando alcune “esperienze sul campo” delle antropologhe culturali: Ballacchino Katia, Bindi Letizia, Broccolini Alessandra curatrici del libro Ri-tornare pratiche etnografiche tra comunità e patrimoni culturali (Pàtron editore Bologna,2020).
Seguiamo il nostro demone
La vita è tutta qua, / raccolta in un fazzoletto. / Puoi trovarci fiori e sassi / qualche monetina / un paio di foto / pezzetti di uno specchio rotto / e il profumo del cuscino. / Lacrime di gioia e di dolore, / di amori sbocciati e appassiti, / di legami intrecciati e spirati. / La vita è un fazzoletto riposto / nel taschino affianco al cuore.
Abbiamo scelto di dare alla nostra scuola il nome Daìmon, dal lessico del sentire greco. Era lo spirito guida che accompagnava gli eroi greci a compiere il loro destino, a realizzare pienamente la loro individualità, il loro essere eccezione; nel caso di Antigone era Filía: Amore.
Daìmon era ed è il nostro demone: lo sguardo interiore che porta al riconoscimento; viatico e volano per la realizzazione della nostra pienezza. I segni di daìmon poi sono gli stessi che definiscono (con l’aggiunta di una congiunzione) la parola diaméno, che in greco classico significa restare.
L’auspicio è quello di disseminare la Restanza ovunque possa attecchire, partendo dal basso ma chiedendo alla politica di non abbandonare i piccoli paesi, lasciandoci per esempio le Poste, una farmacia, una scuola, tutti presidii fondamentali. Ai cittadini invece tocca tirarsi su le maniche, non abbandonarsi al cinismo e al pessimismo, e rivitalizzare i luoghi che vedono ogni giorno senza magari conoscere la loro storia, il loro valore, la loro intrinseca bellezza. Per cui (il nostro è anche un augurio): restiamo seguendo il nostro demone, nella piena realizzazione – anche civica – della nostra singolarità.
di Gianluca Palma