• 28 Maggio 2021

Chiesette agresti in Molise

Grani di una corona di rosario che conferiscono sacralità ai contesti paesaggistici 

di Francesco Manfredi-Selvaggi

28 maggio 2021

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Le cappelle disseminate nell’agro conferiscono sacralità ai contesti paesaggistici di tante zone del Molise. Esse non vanno lette come componenti del paesaggio, che è qualcosa di intrinsecamente grande, non come episodi a sé stanti, ma nel loro insieme a formare una sequenza di riferimenti religiosi per la popolazione non solo del comune in cui sono ubicate.

Ci sono tanti modi per raggruppare gli edifici di culto extraurbani, i quali secondo il criterio che si intende utilizzare possono appartenere ad uno o più gruppi. I tipi di aggregazione che qui si propongono sono molteplici, ma, di certo, non esauriscono le possibilità di formazione di insiemi coerenti. È ovvio, inoltre, che così come è consentito procedere all’unificazione degli edifici di culto racchiudendoli in una medesima categoria, alla stessa maniera è legittima la scomposizione di quelle che si ritengono unità ben definite, mettiamo le architetture romaniche, in più sottogruppi.

Infine, è utile a volte riunire fra loro chiese rurali ed urbane aventi alcuni aspetti in comune, anche per far emergere le singolarità dipendenti dalla loro collocazione geografica, se nell’agro oppure in un abitato. Terminato questo lungo e doveroso preambolo procediamo al riconoscimento di ripartizioni delle strutture religiose presenti in campagna, cominciando da quelle dedicate alla Madonna che sono le maggiormente numerose. Secondo le leggi dell’insiemistica un blocco è suddivisibile, di regola, in parti ed è ciò che succede per le chiesette mariane se si adopera quale metodo di distinzione quello onomastico.

Innanzitutto, si rileva che in certi casi per la Madre di Dio si utilizza l’appellativo di Madonna, in altri di Santa e in ulteriori casi, indifferentemente, di questo o di quello: a Castelpetroso si usa dire Madonna Addolorata piuttosto che S. Maria Addolorata, mentre a S. Massimo apparirebbe strano chiamare la cappella situata sull’omonima collina Madonna delle Fratte e non come è abituale da secoli, S. Maria delle Fratte, per non citare che due esempi rappresentativi di opposte tendenze. Succede pure che il riferimento sia indistinto, essendo impiegati in modo equivalente Madonna o S. Maria e l’esemplificazione è la chiesa vicina al castello Monforte conosciuta tanto come S. Maria del Monte quanto Madonna del Monte o come si dice qui a Campobasso “dei monti”.

Madonna significa signora e ciò sembra voler stabilire una qualche distanza tra il fedele e la “mamma” di Gesù, mentre la pronuncia del nome proprio Maria crea un rapporto di maggiore familiarità; Madonna, in altri termini, è più formale e risponde al clima del tempo della Controriforma che spinse verso la sua introduzione generalizzata. Ciò, comunque, non significa, va precisato, che le chiese intitolate alla Madonna siano più recenti di quelle il cui nome è legato a Maria.

La Madre del Signore ha numerosi titoli ed Ella viene celebrata in una pluralità di giorni dell’anno liturgico, ognuno per ciascuno degli attributi che possiede, i principali dei quali sono Addolorata, Immacolata, Vergine, Assunta, del Rosario. Ad ognuno di questi corrisponde nel Molise una chiesa la quale può essere ubicata nel contesto agricolo o insediativo. Ci sono anche associazioni del nome di Maria con eventi prodigiosi dei quali è protagonista come della Libera in molti Comuni, del Carmine, a Capracotta di Loreto. La Madonna delle Stelle, in una sola occasione, nel perimetro comunale di S. Angelo Limosano, è adottato forse perché suggerita dal sito che è lontano da fonti luminose le quali rischiano di offuscare la visione del firmamento.

Esistono, poi, denominazioni, per così dire, geografiche che vanno da quella di Faifoli (il municipio romano di Fagifulae), delle Fratte, già citata, e delle Macchie (Vinchiaturo) che sono peraltro dei sinonimi, della Strada (il Braccio tratturale Cortile-Centocelle), de Foras (fuori che significa in campagna), della Difesa (una località di Casacalenda sottratta nell’epoca feudale al pascolo degli animali), di Canneto (quello del greto del Trigno), oltre alla Madonna del Monte che sta pure in cima a Cercemaggiore.

Figurativamente, è come se nel paesaggio molisano si accendesse una luce lungo il corso delle stagioni, ora qui ora là, ora in un tale borgo ora in un talaltro comprensorio agreste, in corrispondenza di ognuna delle tantissime festività mariane, contribuendo a conferire ad esso una intensa sacralità. Le chiese con la dedicazione a Maria ci aiutano addirittura a leggere la conformazione paesaggistica di certi tratti (nell’area matesina e nella valle del Fortore) del nostro ambito regionale e non solo, e ciò è legato alla leggenda delle 7 Sorelle, tutte e sette la stessa, sempre Maria, tramandata dalla notte dei tempi, le quali si traguardano a vista, la prima con la seconda e a seguire, formando una autentica catena; gli edifici di culto marcano punti salienti della morfologia territoriale, venendo a costituire dei capisaldi che favoriscono l’orientamento dell’osservatore, che aiutano, detto diversamente, la comprensione del sistema paesaggistico.

Il paesaggio, nell’accezione più profonda di tale vocabolo, è un termine che contiene in sé pure accezioni semantiche, cioè la carica di senso che i luoghi possiedono. La religiosità popolare informa la percezione (che non è solo riferita alle cose sensibili, comprendendo quelle emozionali) di quanto ci circonda, lo abbiamo constatato in riferimento alle 7 Sorelle e lo riscontriamo anche a proposito delle cappelle poste a delimitare le fasce altitudinali superiori del massiccio del Matese.

Tale montagna, nella sua fascia centrale, quella che va da Sepino a Monteroduni, è cinta, immaginificamente, da una sorta di cintura sacra fatta di episodi culturali posti al di sopra degli insediamenti abitativi e, dunque, a diretto contatto con la parte più elevata del rilievo montano. Si parte dal monastero di S. Croce, del quale non rimane più nulla, nel territorio sepinese, si passa per la chiesa di S. Nicola a Guardiaregia e si prosegue per la cappellina di Fonte S. Maria a S. Polo e per l’eremo di S. Egidio di Boiano e quindi per il convento di S. Nicola di cui resta ben poco, appena prima di Campitello, per raggiungere, in conclusione, S. Maria in Altopede nell’isernino; sono equiparabili a granelli di un rosario che si recita guardando la cima del monte, senza che niente si frapponga alla vista, sommità sormontata da una croce che ne rappresenta la consacrazione.

Seppure opere minime queste erano particolarmente significative per la gente del posto che si aggrappava alla fede per affrontare le avversità della vita; la secolarizzazione in corso non ci permette di coglierne a pieno la pregnanza. Tirando le fila di quanto esposto, si vede che nei nostri quadri paesaggistici ha un forte peso la componente religiosa che abbiamo scomposto nella fase di analisi per gruppi di chiese sulla base del loro nome e alla fine ricomposto in un insieme unitario, appunto nella fase di sintesi, ed insieme al paesaggio che è per sua natura unitario.

di Francesco Manfredi-Selvaggi

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