Dedica a Larino
Una tesi d laurea che parla di Larino e riporta le “Indagini sul lessico dell’alimentazione e dei riti nel dialetto di Larino”
di Pasquale Di Lena
1 giugno 2021
Una ricerca ricca, minuziosa, con ben sette delle 191 pagine che compongono la tesi, dedicate alla bibliografia. Tesi discussa alcune settimane fa presso il Dipartimento di Lettere, Arti e Scienze sociali de l’Università degli studi “G. D’Annunzio” Chieti-Pescara, da Carla Mammarella, dopo la frequentazione del “Corso di laurea magistrale in filologia linguistica e tradizioni letterarie”.
Un lavoro premiato con 110 e lode, che apre una finestra su Larino, il suo territorio, le sue radici. Le più preziose, quali sono quelle che rappresentano più di altre l’identità di ogni larinese, quali la lingua e le tradizioni. Il dialetto, la lingua parlata, un tempo ovunque: nella piazza, davanti alla Cattedrale, nei vicoli, nei campi e nelle case. Le tradizioni, memoria e ritualità a significare la continuità con il passato, essenziale per vivere il presente, sognare e costruire il domani, avendo pieno rispetto del tempo, l’elemento decisivo che ritma il racconto delle stagioni, e, con le stagioni, quello della biodiversità, che è vita e certezza di domani. Il dialetto e le tradizioni, ovvero le fonti dell’incontro, del dialogo, della conoscenza, della partecipazione, della comunicazione, della cultura che, con il tempo, trasforma la sorgente in rivolo, ruscello, fiume, mare, e, poi, in pioggia, acqua, vita per noi e gli altri protagonisti della natura, i vegetali e gli animali. Il dialetto di Larino che assomiglia a quello di Casacalenda, Montorio nei Frentani, Guardialfiera, Lupara, Rotello, ma che non è uguale, soprattutto nell’accentuazione che rende diverso il suono delle parole, al pari del terreno, dell’esposizione, del paesaggio, e così, dei profumi, dei sapori di un prodotto o di un piatto.
Un lavoro minuzioso – come veniva sottolineato all’inizio – attento e, anche, puntuale, visto che arriva in un periodo particolare, in cui non è a rischio solo il dialetto, ma l’italiano, la lingua nazionale, assalita da inglesismi che la snaturano e, spesso, la cancellano insieme con i suoi mille e mille dialetti espressioni di mille e mille territori diversi, i contenitori preziosi di risorse e di valori, come storia, cultura, ambienti, paesaggi, tradizioni. Tutto per colpa di un sistema, quello del denaro, che ha come finalità primaria la ricerca della uniformità, l’ossessione di azzerare, partendo dalla identità di ognuno, le diversità per una visione del mondo e della vita, che, con la sola voglia di distruggere e depredare, non contempla il senso del limite e del finito. Ecco che la ricerca di Carla Mammarella, la sua tesi di laurea appare come una perla rara, una scintilla che fa pensare alla luce e, come tale, diventa speranza, voglia di domani. Un domani possibile partendo da quello che il territorio ha e può dare con la riscoperta del luogo e delle radici che esso esprime, il dialetto e le tradizioni, quali elementi di socializzazione, forza di una comunità che, con la regola dello scambio, mette a disposizione di altre la propria identità.
“Non un dizionario in dialetto e neanche un testo di dialettologia – come tiene a precisare Carla – ma una rigorosa indagine linguistica corredata da una corretta trascrizione fonetica”, che può aiutare, visto che non è per niente facile, a scrivere il dialetto chi ne resta affascinato. Elemento centrale di tutto il lavoro è il cibo con i suoi ingredienti , le sue lavorazioni e trasformazioni, gli strumenti utilizzati, i piatti realizzati, i luoghi e le occasioni di consumo., quali, appunto, le tradizioni e i riti, da quelli gioiosi (lo sposalizio e non solo) a quello triste della morte (ù recùnzele), o, le feste e le grandi tavolate, a partire da quella riservata al sacrificio del maiale, e, a seguire, quella dedicata a san Giuseppe, per continuare con la Pasqua e la pasquetta, san Primiano e san Pardo, le trebbiatura, la vendemmia , la grande Fiera di Ottobre, la raccolta delle olive, le feste natalizie. Senza dimenticare la storia del Molise e di Larino, con un riferimento particolare ai Sanniti e ai Frentani, e, quella del territorio, del cibo. Ben 30 interviste fatte a donne e uomini di Larino, molto interessanti, e un pensiero particolare ai larinesi lontani, che un tempo sono partiti senza più tornare.
Le parole che descrivono il carro della festa di san Pardo e, per chiudere, quelle che ancora resistono e quelle, invece, non più in uso. Una tesi che è già un libro. Un lavoro prezioso, ancor più oggi, che merita di essere pubblicato e diffuso, perché ricco, non solo di riflessioni sulla fonetica, ma, anche, di curiosità che facilitano e rendono piacevole e interessante la sua lettura. Una bella dedica di Carla alla sua Larino, nel momento in cui questa città ha bisogno di cure e attenzioni, prima di tutto dei suoi abitanti, per una vera rinascita che serve, e non poco, all’intero Molise.
di Pasquale Di Lena (da La Fonte/giugno)