Democrazia è cambiamento
Sempre più maturano le grandi contraddizioni di questa nostra epoca
di Famiano Crucianelli (da la fonte.tv)
12 ottobre 2021
Sono giorni che mi giro fra le mani una foto sfocata di famiglia di più di 60 anni fa. Mi appassionano i volti e le storie di quella piccola tribù. Mia nonna della seconda metà dell’800, gli adulti che sono nati dopo la prima guerra mondiale e noi bambini che siamo cresciuti dopo la seconda guerra mondiale. Le espressioni dei volti, le posizioni dei corpi sono diversi, si coglie una sottile emozione generale che ognuno interpreta a modo suo, d’altronde a quei tempi nelle vite delle persone semplici la fotografia era un piccolo evento. Quel che più mi colpisce e sorprende in quella foto in bianco e nero è il sentimento che comunica: speranza, coraggio e sfrontatezza. Questo era lo sguardo verso il futuro di quelle generazioni, di quegli anziani, di quegli adulti e di quei ragazzini di tanti decenni fa. Quello sguardo in questi ultimi decenni è mutato radicalmente sino a divenire inquieto, incerto, timoroso del presente e del futuro. Perché? Cosa è accaduto di tanto profondo che ha quasi mutato l’antropologia delle nostre società? Perché la grande maggioranza delle persone, salvo il gotha dei ricchi, ha uno sguardo cupo e opaco?
In molti, in primo luogo i reazionari di ieri e di oggi, spiegano che questo nuovo mondo nevrotico e triste sia il risultato della rivoluzione tecnologica e della crisi dei centri nervosi antichi della nostra civiltà come la famiglia, la religione, le certezze della sessualità e tanto altro. È una verità non solo parziale, ma anche faziosa. Quella che viene offerta al grande pubblico è una manipolazione della storia; si riferiscono questi manipolatori a quel grande movimento ideale e sociale della fine degli anni ‘60 che ha scosso i fondamenti ideologici ed economici del sistema di allora. Se andiamo a rileggere con equilibrio quegli anni e i fatti che sono seguiti, la realtà è ben diversa, il bilancio che se ne trae è contraddittorio e non privo di amarezze. Una rivoluzione incompiuta quella del ‘68 che ha prodotto prima grandi conquiste sociali, poi una modernizzazione del sistema, per poi finire suo malgrado nel buco nero della globalizzazione.
Le ragioni di questa parabola sono diverse, complesse e distribuite nel tempo; ne voglio richiamare solo due essenzialmente politiche. In primo luogo l’ottusità della sinistra storica di fronte ai grandi mutamenti strutturali del dopoguerra e di fronte alla domanda di cambiamenti radicali che veniva dai movimenti studenteschi ed operai della fine degli anni ‘60.
In secondo luogo, ed è particolarmente grave, la responsabilità di quelle forze democratiche, di sinistra e progressiste che nella metà degli anni ‘90 pur governando le grandi società dell’Occidente, dagli Stati Uniti ai grandi paesi europei, nulla fecero per cambiare il verso ad una globalizzazione del sistema mondiale. Si sono dilatati i confini storici dello sviluppo economico e della penetrazione finanziaria, ma al pari si sono compromessi diritti e conquiste sociali nelle metropoli dell’Occidente.
I guai dei nostri giorni vengono non solo dalla fisiologia e dalle patologie proprie del sistema capitalistico, ma anche dalle incomprensioni, dagli errori e dall’ opportunismo di quanti avevano il dovere di cambiare senza perdere l’anima della democrazia e della giustizia sociale. L’insostenibile tristezza dell’animo, la precarietà e la povertà sociale, la viltà e la miseria delle classi dirigenti, il tramonto della politica e della democrazia, la solitudine degli operai hanno alla base queste elementari ragioni e queste responsabilità. Riprendere la via dei grandi diritti sociali ed economici, ridare una dignità al lavoro, trovare nell’ambiente le vie di un nuovo sviluppo, ritrovare certezza e speranza nel futuro non è cosa semplice e tantomeno facile, ma è il compito che abbiamo dinnanzi.
Qualcosa di nuovo e di interessante ha iniziato a muoversi. Si muovono gli operai che non accettano di essere trattati come rifiuti sociali, manifestano i giovani che più di altri patiscono il collasso ambientale, si organizzano migliaia e migliaia di volontari che nelle loro opere di bene tengono accesa la fiammella di un altro mondo. Soprattutto sempre più maturano le grandi contraddizioni di questa nostra epoca: in Cina, come nel 2008 negli Stati Uniti, è esplosa la grande crisi finanziaria del colosso immobiliare Evergrande, simbolo del nuovo capitalismo. Sempre in Cina è all’ordine del giorno il futuro incerto di centinaia e centinaia di milioni di anziani e l’inquinamento ambientale è ben oltre il livello di guardia. Insomma affiorano nuove e moderne contraddizioni nella più grande economia del mondo. Ma oltre i confini cinesi le cose non vanno certo meglio.
La democrazia nei paesi occidentali è ormai un ricordo del passato e la protesta nelle forme più diverse inizia ad espandersi nelle metropoli storiche del capitalismo. Nel mondo la crisi del mutamento climatico così come la pandemia obbligano tutti a cambiamenti radicali. E infine siamo di fronte al paradosso di ricchi che diventano sempre più ricchi e di poveri che diventano sempre più poveri.
Cambiare non solo è necessario, ma iniziano a vedersi i primi sentieri di questo cambiamento. Due sono le condizioni essenziali da tenere a mente: pensare e operare nel sistema mondo. Dopo l’internazionale del “capitale” si passi a una nuova globalizzazione dei diritti che affermino la dignità dell’uomo e la salute della natura. In secondo luogo è decisivo che si agisca nei territori dove partecipazione democratica e cambiamento si possono sposare in una sola idea, in un solo movimento.
di Famiano Crucianelli (da la fonte.tv)