Malocchio
I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre
di Vincenzo Colledanchise
4 novembre 2021
Da piccolo abitavo vicino alla casa di Zia Maria. Perennemente vestita di nero, scheletrica, mi incuteva molta soggezione e paura.
Nelle lunghe sere d’inverno mi raccontava favole e filastrocche. Storie di briganti, di fate, di streghe, di lupi mannari, di fantasiosi “mazzamarille”, venivano narrate da lei a tutti i bambini del vicinato, forse con intenti pedagogici, per farci stare buoni perchè finiva sempre col minacciare “altrimenti la strega prenderà anche a voi”.
Quando ci si ammalava come primo rimedio i genitori ci mandavano da lei.
Dominava la superstizione e tutte le malattie erano imputate al “malocchio” e in funzione di questa diagnosi curate da zia Maria. Ci si poteva ammalare ed eventualmente morire di “malocchio” diceva lei.
Per combattere il “malocchio” bisognava “incantarlo”, diceva. Prendeva un piatto contenente dell’acqua, faceva la croce recitando ogni volta che si toccava la parte superiore del piatto, la formula di rito.
Dette le parole, lasciava cadere tre gocce d’olio nell’acqua del piatto; se quest’olio si scioglieva, Zia Maria era certa che si trattava di “invidia”.
Allora si metteva a recitare salmi strani con toni minacciosi. Se il “malocchio” non scompariva neanche con questo “contramalocchio” Zia Maria diceva che doveva trattarsi di un “malocchio ferrato”
Seguivano altri riti ancora più tenebrosi.
Io, durante quei riti magici, avevo paura, perché si nominavano insieme santi e streghe. Soprattutto ero convinto che la vera strega era lei: Zia Maria.
di Vincenzo Colledanchise